PROTOCOLE DE RÊVES

TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI

LUNEDI 28 GENNAIO

HANNA SCHYGULLA
PROTOCOLE DE RÊVES (prima milanese)

Lunedì 28 gennaio al Teatro degli Arcimboldi (viale dell’Innovazione, 20 – Milano) sarà di scena per la prima volta a Milano lo spettacolo di Hanna Schygulla “Protocole de Rêves” che vedrà testi, canzoni e video di Hanna Schygulla, su testi di R. W. Fassbinder, Jorge Luis Borges, Calderon de la Barca, Arthur Rimbaud, Heiner Müller, Bertolt Brecht, Jean-Claude Carriére. Al piano Jean-Marie Senia.

Lo spettacolo avrà inizio alle ore 21.00, il prezzo del biglietto varia da 30,00 a 15,00 euro (sono previste riduzioni per giovani, gruppi ed anziani). Per informazioni al pubblico tel. 02.641142212/214.

Lo spettacolo è composto da continui ingressi e uscite della Schygulla su video proiettati su di un tulle: la sua presenza in scena diventa un prolungamento dei temi di ciascun sogno. Le proiezioni sono accompagnate da testi recitati dall’attrice tedesca e da canzoni composte e interpretate da Jean-Marie Senia. Il pianoforte accompagna le immagini, talora fondendosi al sonoro originale.
Lo spettacolo è nato grazie ad un’iniziativa del MOMA di New York per i 60 anni di Hanna Schygulla ed è stato presentato negli Stati Uniti nel Gennaio 2004 nell’ambito di una retrospettiva sull’autrice e Fassbinder.
Hanna Schygulla, dopo venticinque anni, ritrova in un baule nella sua casa paterna i filmati, le note e gli appunti di un film che doveva fare con Fassbinder.

Con questo lavoro, “Protocole de rêves (sogni)”, Hanna Schygulla rivela un progetto cinematografico irrealizzato, ma fa conoscere anche immagini, parole e suoni di una dimensione sia onirica sia intima di se stessa.

LA VEDOVA SCALTRA

Con questo post apriamo la nuova sezione dedicata ai consigli teatrali per i nostri lettori (sì, lo so, il teatro non è il cinema, ci arrivavano un sacco di segnalazioni in redazione e non sapevamo cosa farci, ok?).

STAGIONE TEATRALE 2007-2008
CATTOLICA
TEATRO DELLA REGINA
COMUNICATO STAMPA
Lunedì 28 e martedì 29 gennaio 2008
Associazione Teatrale Pistoiese, Tauma, La Biennale di Venezia
Raffaella Azim in

LA VEDOVA SCALTRA

adattamento dal testo di Carlo Goldoni a cura di Lina Wertmüller
in collaborazione con Tiziana Masucci
regia Lina Wertmüller
scene e costumi Enrico Job
musiche originali Italo Greco, Lucio Gregoretti e Gabriele Miracle
con Giovanni Costantino, Elena D’Anna, Francesco Feletti, Massimo Grigò, Roberto Valerio
e con Gianni Cannavacciuolo nel ruolo di Arlecchino

Dopo la realizzazione de Il Processo di Kafka, prosegue il progetto di rivisitazione di grandi testi del passato, realizzato dall’Associazione Teatrale Pistoiese insieme all’attrice Raffaella Azim e all’Associazione Tauma.
In occasione del 300° anniversario della nascita di Carlo Goldoni, la scelta è caduta su La Vedova Scaltra.
Lo spettacolo, che ha inaugurato nel luglio scorso il 39° Festival Internazionale di Teatro della Biennale di Venezia 2007, vede il ritorno di Lina Wertmüller al teatro.
Per la nota regista cinematografica, conosciuta e apprezzata anche all’estero, è questo il primo incontro con un testo della tradizione teatrale italiana classica.

Quello di Carlo Goldoni è un secolo agitato e rivoluzionario, sul crinale fra l’ “ancienne regime” e i tempi nuovi. In quella Venezia, pullulante di artisti e avventurieri provenienti da ogni parte d’Europa, dove sotto una facciata austera perfino il libertinaggio entrava e usciva dai conventi, il nostro Carlo Goldoni s’incapriccia di questa “vedova”.
Testo di transizione tra la commedia dell’arte e la commedia nova. E’ un’idea carica di echi sensuali ma anche di segreti e profondi simbolismi. L’idea non è solo quella di una vedovella in cerca di marito, ma vi s’intrecciano due percorsi: quello dei cavalieri vogliosi di conquistare una preda e quello della donna che cerca un uomo, un vero uomo.
L’incrocio tra i desideri dei pretendenti e quelli della vedova è l’avventurosa partita da percorrere.
Maritata giovanissima a un signore anziano e ricco, ha avuto con l’amore un rapporto di sopportata dedizione all’autunno del suo “Sior Consorte”.
Per questo Job ha immaginato al centro dell’azione un letto. Non è solo un rimando al Settecento in cui le “Femme des Lettres” come Madame de La Fayette o Madame de Sevigny ricevevano, ma un letto simbolo di tutte le voluttà che per lei è sempre rimasto vuoto, e la sua vasta dimensione è lì a sottolineare soprattutto quel vuoto. C’è il letto e lei in quel letto, con tutta la cabala del gioco della vita. Lei, nel candore che, malgrado la vedovanza, rende quel letto quasi verginale, denso di sogni, di solitudine che l’amore, quello vero sensuale, non ha mai riempito, che è centro di un gioco che non si può più sbagliare.
Quattro cavalieri europei che la penna goldoniana dipinge nobili e benestanti, desiderosi della dama, navigano con grazia le acque della galanteria e del corteggiamento.
Anche se sotto i loro sofisticati nasi, senza che se ne avvedano, si stanno infatti preparando sconvolgimenti rivoluzionari e ghigliottine che distruggeranno ogni incipriata eleganza.
Qui si sente circolare un’aria segreta che sa di Romanticismo, che ha il profumo di un vero autentico sentimento.
È interessante che nella sua ultima analisi Rosaura enunci soprattutto i difetti del prescelto, di quell’ ”uomo”, di quel conte innamoratissimo e geloso, pronto al duello o alla rinunzia in cui la nostra vedova sente l’eco di un vero autentico sentimento.
Nella rielaborazione sono stati eliminati, oltre alla sorella di Rosaura, alcuni personaggi-maschere come Pantalone e il Dottor Balanzone. Un testo più asciutto, nel quale la polemica tra vecchio e nuovo, si concentra su Arlecchino. E’ lui il testimone della “Commedia dell’Arte”, la maschera su cui si riversano tutti i difetti degli italiani ma che con la simpatia e l’allegria riesce a farsi amare.
Il nostro Arlecchino, anticipando il “Servo di due padroni”, ne serve addirittura quattro ma in realtà serve solo Rosaura.
All’inizio Rosaura è anche Venezia. Come Rosaura si prende gioco dei suoi pretendenti, così Venezia tiene sulle spine i suoi figli adorati, dal carattere litigioso e criticone.
Se si dovesse fare un analisi di questo testo alla maniera degli studi del sistema Stanislawski, il “Seme” illuminante di tutta l’opera secondo me sarebbe la parola : “Amore”.
Sempre sotto l’aria leggera della commedia innovatrice, Goldoni fa circolare intorno alla sua vedova un sostanziale “bisogno d’amore”.
Provate a leggere il testo analizzandolo alla luce di un diverso “ Seme”: con “Mondanità”, oppure “Famiglia”, o anche “ Solitudine”. Si vedrebbe subito a quante differenti letture si presta questa commedia.
Se il seme fosse: “ Mondanità”, ovvero lotta per una mondana posizione sociale, gli intrighi dei nostri personaggi si svolgerebbero pizzicando corde del tutto diverse: ambizione, lotte per salire la scala sociale.
O se il Seme conduttore fosse “ Famiglia”, tutta l’azione si strutturerebbe nel desiderio di costruire un nucleo familiare e Rosaura cercherebbe un padre per i suoi figli.
Nella casa della nostra appassionata ma saggia vedova, i valori sono diversi, freschi, autentici e ritrova l’amore come senso centrale della vita.
Secondo noi la lettura più interessante e forse anche la più appropriata per questa “Vedova” è proprio con il “seme dell’Amore”, soffio purificante che anticipa il grande vento del Romanticismo, anche addensatore di quei nuvoloni “Sturm und drang” che cambieranno per sempre i cieli della cultura europea.
Fuori forse impazza il Carnevale.
Lina Job Wertmüller

Un’idea di scenografia per “La vedova scaltra”

Ho sempre preferito lasciarmi suggerire le scenografie da quanto a me pareva l’essenza di un
testo, anziché riferirmi alle indicazioni dell’autore, solitamente poco portato a immaginare un’espressività anche visiva di ciò che ha scritto.
Così ecco per “La vedova scaltra” una mia idea “non verista”.
Le scene tradizionali per le commedie di Goldoni non sono che la semplice descrizione dei veri ambienti necessari all’azione. Spesso tuttavia qualche complicazione c’è: per esempio i frequenti cambi di scena e, senza il sostegno esemplificatore di una qualunque sintesi drammaturgica, da quinte e graticcia, è un continuo andare e venire di oggetti d’arredamento e tele dipinte.
In questa commedia giovanile, Goldoni ha già raggiunto però una sensibilità così acuta, profonda e geniale da anticipare in pieno Settecento femminismo e romanticismo. Il personaggio di Rosaura ha infatti la determinata scaltrezza di scegliere, tra i quattro pretendenti messi alla prova, proprio come avrebbe fatto una fanciulla romantica, quello più squattrinato, l’unico però che le ha dimostrato d’amarla solo per amore.
Ecco dunque un’interessante drammaturgia che ha in sé una possibile sintesi scenografica.
A volte, nel Settecento le dame usavano ricevere la mattina per la Conversazione continuando a starsene pigramente sdraiate a letto. Dato storico che mi ha suggerito il fulcro significativo attorno al quale far ruotare l’intera commedia: il grande letto dell’inappagata sensualità della vedova di un novantaquattrenne, tanto vecchio da far addirittura, e più che ragionevolmente, supporre che abbia lasciato vergine la sua bella sposa, forse ancora adolescente.
La solitudine di Rosaura, il sentimento della sua frustrata bellezza e il desiderio dei pretendenti che aspirano a possederla, hanno smisuratamente ingigantito nella mia immaginazione le proporzioni di questo desolato talamo vedovile, intorno al quale, nel cerchio sopraelevato di una lignea, “lussuosa”, dorata casa-paravento cui si accede salendo alcuni gradini come attorno ad un’ara, convengono le seduttrici speranze e le verbali cortesie dei quattro pretendenti.
A destra e a sinistra del proscenio, due piccoli tavoli di bar suggeriscono la strada sulla quale, oltre alla casa di Rosaura, si affaccia pure la locanda in cui lavora Arlecchino.
Nel realizzare questa idea di scenografia per “La vedova”, con Giorgio Gori e i suoi ottimi collaboratori, ci siamo comportati come artigiani del Settecento, ispirandoci all’Arte Povera di un secolo in cui le materie non sono quasi mai quelle che sembrano; in cui l’oro è doratura, il marmo è stucco trattato a marmoridea, e una tappezzeria non è il tessuto damasco che sembra, ma una pittura che ne finge la preziosità, magari su rozze tavole di legno, e così le architetture di Venezia non sono come sembrano dei grandi disegni dipinti in bianco e nero, ma sagome di piccoli disegni fatti a tavolino ingigantiti con moderne tecniche fotografiche, anziché con un pantografo come sarebbe stato più d’epoca e più corretto.
Nonostante queste ingannevoli eredità, il finto lusso di settecentesche eleganze appartenute al marito e le divertite megaproporzioni immaginate da me per rappresentare la solitudine e le frustrazioni vissute in un triste matrimonio, dall’alto del vasto e sensuale deserto di lenzuola e cuscini del suo letto, con inaspettata, sorprendente intuizione romantica e femminile saggezza, alla fine Rosaura saprà dare concretamente forma al proprio futuro.
Enrico Job

Biglietti: Platea, Palchi 1° e 2° ordine intero € 20,00 ridotto € 18,00 /// Galleria intero € 18,00 ridotto € 16,00 /// Palchi 3° ordine unico € 16,00

INFORMAZIONI E PRENOTAZIONI
TEATRO DELLA REGINA Piazza della Repubblica – 47841 Cattolica (RN) – Tel. 0541/833528 – 968214; PRENOTAZIONI TELEFONICHE dalle 17.30 alle 19.30 dal secondo giorno di prevendita.
Tel. 0541/833528 – 0541/ 968214

Cadde

Una cosa mi colpisce sempre di questo paese: l’incredibile scarsa qualità dell’informazione.

E’ qualcosa di macroscopicamente incivile eppure nessuno sembra farci caso, probabilmente per il semplice fatto che se sono tutti conniventi nessuno può informare davvero sull’inadeguatezza dell’informazione, e la cosa appare quindi “invisibile”.

La cosa va dedotta.

Alcuni uomini, se così si può dire, dell’Udeur, ad esempio, hanno passato gli ultimi giorni a raccogliere le peggiori offese conosciute per le strade di Roma. Venduti, traditori, ladri, visicidi… di tutto.
Appena mettevano il naso fuori dalle auto blu ecco là le signore, con le buste della spesa in mano, pronte a mandarli a cagare per la loro brillante scelta di riconsegnare il paese nelle mani del nano psicopatico.

Nessun tg ne ha fatto parola.

Nessuno.

Solo Blob ha mandato in onda le immagini di uno spaurito Fabris che cercava di reggere l’incalzare delle accuse della gente, di quella vera.

Che schifo.