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Nessuno ucciderà  mai le penne stilografiche!

TUTTI I VINCITORI DEL X CONCORSO INTERNAZIONALE “CASTELLO DI DUINO”

Riceviamo e pubblichiamo:

duino premiazione

 

 

DUINO – Taglia il traguardo della decima edizione uno dei più importanti premi letterari riservati ai giovani, il Concorso Internazionale di poesia e teatro Castello di Duino. Nei suoi dieci anni di vita il concorso, riservato ai poeti fino ai 30 anni di età, con una graduatoria speciale per i giovanissimi, una sezione riservata alle scuole e una sezione teatrale, ha coinvolto ben 10000 giovani poeti e un pubblico sempre più numeroso e appassionato. Nell’edizione di quest’anno a cimentarsi sul tema “Io/Tu: Alterità, dualità, fusione o separazione” sono stati ben 950 concorrenti, provenienti da 90 Paesi di ogni angolo del globo. Tanti di questi giovani autori arriveranno a Trieste, dal 18 al 23 marzo, per partecipare ai numerosi incontri in calendario per la “Festa della letteratura e della poesia”, che culmineranno con la cerimonia di premiazione del concorso, che ancora una volta si terrà al Castello di Duino.  A giudicare questi poeti in erba, valutandone le poesie nella loro lingua madre, una giuria internazionale composta da critici letterari, poeti e docenti universitari di letterature comparate: Cristina  Benussi, Marji Čuk, Arben Dedja, Antonio Della Rocca, Pietro U. Dini, Julius Franzot, Franco Gatti, Irini Karavalaki, Tomaso Kemeny, Giancarlo Micheli, Isabella Panfido, Sandro Pecchiari, Ana Cecilia Prenz, Marina Bartolucci Sedmak, Enaam Slaiby, Ingrid Stratti, Iza Strselecka e Anna Zoppellari. E a spuntarla quest’anno, aggiudicandosi la prestigiosa medaglia del Presidente della Repubblica, è un giovane autore turco, Neslişah Aslan, con la poesia “Zümrüd-ü anka” (Una fenice). Resta in Italia, e per la prima volta proprio a Duino, il primo premio del concorso, 500 euro vinti da Silvia Meterc con il componimento “Le strade”. Ex aequo per il secondo gradino del podio, sul quale salgono il cinese Chen Yue Jie, con la poesia “Solo. Triste” e l’italiano Daniele Campanaro, di Latina, con “Bunker”, aggiudicandosi 250 euro ciascuno. E’ spagnolo invece il terzo classificato, Pérez Oscar Lazarus, che con “Distancias” (Distanze) vince 500 euro. Va all’Ungheria la Targa Centro UNESCO di Trieste, vinta da Hamóri Eszter con “Fuga a due voci”, mentre la Targa Alut va alla Bosnia, con Halid Bulić e la sua “Poslanica imperatoru” (Messaggio all’imperatore). La Targa dedicata a Sergio Penco, compianto membro della giuria, generoso e raffinato poeta amico dei giovani, va a due poeti under 16: Džiho Naida (Bosnia), con “Silver girl” e Khalid Abudawas (USA), con “Palestinian Fears”. Saranno assegnate inoltre delle menzioni speciali a poeti davvero giovanissimi, dagli otto ai 14 anni. E premi per la sezione teatrale del concorso, che richiedeva l’invio di un monologo o dialogo tra due personaggi, e per i progetti scuola. A testimonianza del forte impegno civile che caratterizza il concorso, promosso dall’Associazione di volontariato “Poesia e Solidarietà” di Trieste presieduta dalla professoressa Gabriella Valera Gruber, parte dei premi in denaro sarà devoluta dai vincitori a progetti umanitari nel loro Paese d’origine e, per volontà di Antonietta Risolo, titolare della Casa Editrice Ibiskos Risolo, anche il ricavato del libro che raccoglierà le poesie dei vincitori andrà alla Fondazione Luchetta Ota D’Angelo Hrovatin.

Per la sezione riservata al teatro invece, che richiedeva l’invio di un monologo o dialogo tra due personaggi, la giuria composta da Giuliana Artico, Paolo Quazzolo, Gianfranco Sodomaco, Fabrizio Stefanini e Giuliano Zannier, assegna il primo premio a Michael Crisantemi (Terni) e al suo “Dialogo di un clandestino errante nel Mediterraneo”. “Diviso due” di Davide Potente (Bollate, Milano) si aggiudica il secondo premio, mentre il terzo gradino del podio se lo spartiscono Pippo Zarrella  di Salerno, con “Sbarca tu che sbarco anch’io” e Daniele Francia, di Genova, con “L’uomo senza fantasia”.

Concorso Internazionale di Poesia Castello di Duino 

Trieste – Duino (varie sedi)

18-23 marzo 2014

http://home.castellodiduinopoesia.org

Immersioni Libri

Riceviamo e pubblichiamo:

4 e 5 maggio 2013

presso il Coworking SPQwoRk

Via di Portonaccio 23b – Roma

 

Stanza 101 Agenzia di Comunicazione e Libra 2.0 presentano: Immersioni Libri, sabato 4 e domenica 5 maggio 2013 presso il Coworking SPQwoRk, in via di Portonaccio 23b. Due giornate  per tuffarsi nel mondo della lettura e della scrittura, con un ampio spazio dedicato alle case editrici e al bookcrossing, incontri con scrittori e fumettisti, laboratorio poetico per bambini, musica live, workshop, reading e tantissimi ospiti: la scrittrice Isabella Borghese che presenterà il suo nuovo romanzo Dalla sua parte; Bruno Ballardini, esperto di comunicazione, saggista e blogger de Il Fatto Quotidiano, la Scuola Internazionale di Comics, Vincenzo Sparagna, direttore delle riviste Frigidaire e Il Nuovo Male, il fumettista Toni Bruno. Da non dimenticare la musica live dei Malo, con il loro ultimo disco Il bene e il Malo, e della musicista Alice Clarini. Le Associazioni Culturali Monteverde Legge e Libra 2.0 ci racconteranno il loro impegno di promozione alla lettura.

Durante le due giornate, tutti i visitatori potranno scambiare i propri libri con quelli esposti nell’allestimento del Coworking, grazie alla campagna: Tuffati nello scambio…porta un libro anche tu!

 

Lo spazio industrial del Coworking SPQwoRk di Via di Portonaccio, sarà anche la cornice del workshop Gli strumenti di web marketing per le case editrici a cura dall’Agenzia di Comunicazione Stanza 101, e del workshop Dalla Stampa ai caratteri mobili a cura della Stamperia del Tevere.

 

Immersioni Libri fa parte de Il maggio dei libri, campagna nazionale promossa dal Centro per il libro e la lettura del Ministero per i Beni e le Attività Culturali in collaborazione con l’Associazione Italiana Editori, sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica e con il patrocinio della Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO.

 

Per info e contatti:

Ufficio Stampa Stanza 101 Multimedia Service

ufficiostampa@stanza101.it – tel. 339 3551343

Cabrera Infante tradotto da Gordiano Lupi

Gordiano Lupi, con un certo orgoglio, ci invia questa mail:

TORNA IN ITALIA GUILLERMO CABRERA INFANTE
Ho il piacere di annunciare il mio libro più importante, anche se sono solo il traduttore.
Cabrera infante è il Proust cubano. Tradurlo era il sogno della mia vita. Adesso avverato.
La ninfa incostante - romanzo postunmo di un Premio Cervantes tanto caro a Mario Vargas Llosa – esce a NOVEMBRE per MINIMUM FAX. In calce trovate la scheda del libro e in allegato copertina. In basso il link a Ufficio Stampa Minimum Fax.
Grazie per l’attenzione e per l’eventuale diffusione della notizia.
La ninfa incostante – di Guillermo Cabrera Infante
Minimum Fax/Sur, 2012 – Pag. 300 – Euro 15 – 978-88-97505-14-3
Traduzione di Gordiano Lupi
Un romanzo geniale: Letteratura, con la L maiuscola (El País). Estela Morris, la conturbante ninfa del titolo di questa storia nostalgica e spassosa, solare e rocambolesca, ha appena sedici anni quando il protagonista del romanzo (dichiaratamente autobiografico) la incontra sulla calle 23 dell’Avana e si lascia convincere per amore a diventare suo complice in un delitto… Nelle parole dello stesso Cabrera Infante, «Estela è il sogno della mia Avana di tanti anni fa, quando credevo in un mondo migliore. Era il mio sogno d’amore, che rivivo ogni notte quando ripenso alla mia Cuba, isola incantata di cui ero esploratore e guida. In quel periodo L’Avana era il centro del mio universo, percorrerla era un viaggio intergalattico tra due soli, ed Estela era una bambina vestita da eroina francese». Il romanzo postumo di un grande narratore, una pirotecnia di calembour e gag comiche, uno scrittore da riscoprire. Con un saggio di Mario Vargas Llosa.
Scheda Libro Ufficio Stampa Minimum Fax:
http://www.minimumfax.com/ufficiostampa/scheda_libro/580

Presentazione del libro «Il cavaliere della fame». Mastru Juanne nella poesia sarda e nelle tradizioni popolari.

L’Istituto Superiore Etnografico della Sardegna ci invia questo comunicato:

Il cavaliere della fame - foto di Salvatore Ligios

Il cavaliere della fame - foto di Salvatore Ligios

Si terrà mercoledì prossimo 14 marzo, alle ore 17, presso la Biblioteca dell’ISRE, in via Papandrea, 6 a Nuoro, la presentazione dell’ultimo libro edito dall’Istituto Superiore Etnografico della Sardegna.

Si tratta di un saggio-antologia, intitolato «Il cavaliere della fame». L’autore, Salvatore Tola, vi ha riunito 18 testi poetici in sardo, risalenti all’Ottocento e alla prima metà del Novecento, che hanno per protagonista Mastru Juanne, l’originale rappresentazione della fame che veniva messa in scena per esorcizzare un dramma così frequente in quegli anni, e anche per riderne, se possibile. Simile ai vari Cancioffàli, Giolzi e Don Conte che animano le feste di Carnevale, sembra che non sia stato «importato» da fuori, ma ideato dai poeti isolani. I versi sono accompagnati da un saggio introduttivo e seguiti dalla traduzione in italiano.

La manifestazione si aprirà con il saluto delle Autorità, seguiranno le relazioni di Paolo Pillonca e Natalino Piras. Sarà presente l’autore.

INFO:
Istituto Superiore Etnografico della Sardegna
Via Papandrea, 6

08100 NUORO
Telefono: 0784 242900 – fax: 0784 37484

http://www.isresardegna.it/

e-mail: isresardegna@isresardegna.org

Mangia la zuppa, amore

I nostri amici de “IL FOGLIO LETTERARIO EDIZIONI” ci inviano il seguente comunicato:

mangia la zuppa amorePRESENTATO AL PREMIO STREGA 2011

BORIS VIRANI

Mangia la zuppa, amore

Pag. 150 – Euro 12,00

ISBN 9788876063121

Non c’è più speranza di vedere qualcosa di nuovo che non possa essere ricondotto alla mia paletta e al mio secchiello, non riesco più a creare qualcosa di diverso da quel nano laggiù, quel cane, quella pietra, questi discorsi, la piazza, la birra alla spina, le spine della birra alla spina, i miei compagni, quella persiana, questi discorsi. Sempre la stessa roba, origami mentali unti e segnati dai solchi delle piegature, tutte cose previste e aspettate proprio lì, in quel punto e in quel momento, tutte cose che posso paragonare ad altre cose, tutte cose che posso incolonnare dietro altri volti, immagini, tazze da tè o esperienze già vissute, e mi sento solo e malato, un panico che cammina con un manico nel palato e con un magone che sale dal pancreas.

Sono un fuso orario che aspetta un altro fuso orario, in questa orologio, mentre fuori il tostapane albeggia. Sono un affamato che aspetta la zuppa, in questa cucina, mentre fuori piovono piccioni. Sono un amico dei cani che aspetta la campagna, in questo negozio di animali, mentre fuori le biciclette scampanellano. Sono un malato che aspetta un infermiere, in questo ospedale, mentre fuori la gente si taglia i capelli. Sono un venditore di aspirapolveri che aspetta l’indirizzo, in questa città, mentre fuori la prostata vede il mondo. Sono un elefante che aspetta un taxi, in questo deserto, mentre fuori il coinquilino guida una carovana. Sono un attore che aspetta di andare in scena, in questa vita, mentre fuori i manichini giocano a biliardo. Sono io e aspetto, in questo mio mondo, e intanto ammazzo il tempo: lascio cadere una monetina e la raccolgo.

Un mondo monodimensionale di cartone, costituito da un appartamento lunare e da una torre storta, è la scenografia di uno spettacolo improvvisato e volutamente banale. Sul palcoscenico si muovono un ragazzo, una ragazza, una bicicletta e un cane, circondati da una civiltà di piccioni e di manichini, fra i quali spiccano un coinquilino robot, un cacciatore metropolitano e un proprietario insetto. Uno spicchio di umanità inizialmente irriconoscibile nel profumo familiare di una strana zuppa che satura l’aria creando confusione, confusione che poi mano a mano si dirada lasciando spazio a un finale inaspettatamente lucido. Una semplicità caotica fine a se stessa, labirinti di parole, di contraddizioni e di nessi apparentemente incomprensibili, ecco il libro dell’esordiente Boris Virani, presentato al premio Strega 2011.

Boris Virani nasce una ventina d’anni fa a Pistoia. Questo è il suo primo libro. Piacerebbe a Raymond Queneau e a Guillermo Cabrera Infante.

Riflessioni su Tideland, di Terry Gilliam

NdA: Queste riflessioni contengono rivelazioni sul finale e su alcuni punti chiave della trama, a chi ritiene che ciò possa non far apprezzare appieno il film si consiglia di leggerle dopo la sua visione

Prendete la sensazione di doloroso straniamento del finale di Brazil, moltiplicatela per 10 e per un’ora e minuti e avrete Tideland.
Sembra un giusto contrappasso contro la convenzionalità quasi buonista di I Fratelli Grimm, che a questo punto inizio a vedere come un film per fare cassa.
Probabilmente la differenza chiave rispetto a Brazil è che in quel caso siamo all’interno di un oniricità resa manifesta dall’esasperazione dell’assurdo e che come tale consente il distaccio, nel caso di Tideland, invece, periodicamente compare un frammento di realtà che ci fa rendere conto che stiamo assistendo sì a un prodotto di fantasia, ma calato nella realtà con cui interagiamo quotidianamente. Il primo frammento che mi viene in mente è lo svenimento di Jeliza-Rose, ma anche il mugolare del suo stomaco per la fame.

A mio parere, un elemento molto importante per questa interpretazione è proprio il finale, che è possibile vedere come conferma irreparabile dell’alienazione di Jeliza Rose, cosa che elimina completamente la sensazione liberatoria della tanto attesa irruzione della realtà nell’onirismo. Ovvero, finalmente un mondo che vorrei definire “normale” irrompe nella “vita” di Jeliza Rose, ma da subito si instilla il dubbio che chi l’ha trovata sia una persona sola che non potrà essere un punto di riferimento per lei (“Ci prenderemo cura l’una dell’altra”) e, soprattutto, mentre la povera bambina nella prima parte del film si mostrava reattiva e molto più attenta alla realtà rispetto ai suoi genitori (per esempio, non vuole bruciare il corpo per timore delle conseguenza, si preoccupa delle reazioni della gente sul pullmann), nel finale appare ormai passiva e assente. Davanti a una persona che potrebbe regalarle quell’abbraccio che Dell le nega, non lo cerca più, continua invece a parlare del suo mondo immaginario non notando (qui si vede il cambiamento che denota lo scollamento irreparabile dalla realtà) la preoccupazione della persona che la accoglie. Infine, mangiando l’arancia in modo assente, non sembra nemmeno rendersi conto dell’evento risolutore che le è capitato, i suoi occhi svaniscono nell’oscurità animati dalle sue lucciole immaginarie, che annegano come la sua gioiosa fantasia nell’oscura tragedia degli eventi che le sono capitati fino a quel momento.

Vedendo il finale in quest’ottica, si può quindi pensare che tutto il film rappresenti la genesi di un individuo disturbato. Questo perché non c’è svolta o risoluzione nell’animo di Jeliza-Rose nemmeno quando viene a contatto col reale. Rimarrà sempre ad ammirare quelle sue luci immaginarie nell’oscurità, mentre tutto continuerà ad accaderle attorno, anche quando potrebbe permettersi di viverlo attivamente.

E’ irrilevante pensare alla storia come potenzialmente vera o falsa. Anche se si trattasse di un allegoria, è coerente nel rappresentare un archetipo delle tragedie che possono generare, nella nostra realtà, deviazioni mentali che non permetteranno mai agli individui che le subiscono di entrare nella società.

Se accettiamo queste interpretazioni non possiamo che rendere onore a Gilliam per la sua lucida e terrificante creazione, rara e tragicamente bella come le migliori opere d’arte, romantiche e violente.

Italiani, Brava Gente


Sono vivamente preoccupato. Così come sono convinto di una cosa: fino a che una nazione non viene a patti con le pieghe più oscure del proprio passato, compiendo una netta transizione dall’ignorare/negare alla piena consapevolezza degli errori commessi, essa non sarà mai una nazione adulta bensì una compagine infantile e frammentaria, priva di coscienza civile e politica, incapace di autodeterminazione, inadatta alla democrazia e perennemente alla ricerca di figure genitoriali “forti” o presunte tali, anche se queste ultime sono palesemente menzognere tigri di carta, ulteriori esempi di infantile capricciosità ed irresponsabilità.
In questo paese si buttano nonne dal balcone, si abbandonano cani in autostrada, si abbandonano bambini in macchina, nei parcheggi, per poter concedersi qualche ora in una sala bingo, si spendono un sacco di soldi per i cosmetici, per la chirurgia estetica, per la “difesa”, per i telefoni cellulari. La polizia pesta sempre più volentieri, mentre si approvano leggi che consentiranno l’innestarsi di un nuovo trend: la pistola come regalo per compleanni, natali, anniversari di nozze. Questo è un paese disgustoso.
Nel Giorno della Memoria, chi intende arrivare all’equiparazione per legge di partigiani e repubblichini lacché dei nazisti, momentaneamente tace. Forse è il momento di ricordare ancora una volta, a chi sostiene che Mussolini inviava gli oppositori in villeggiatura (e si dimentica di inserirlo in un manifesto “contro le dittature”), che il regime fascista ebbe una parte attiva nello sterminio di ebrei, zingari, omosessuali, testimoni di Geova, malati mentali.
Sono capitato su un post in Usenet che rimandava a questo libro di Angelo del Boca, un libro che andrebbe fatto circolare nelle scuole al posto di trionfalistici e balilleschi sussidiari corretti e rivisti da una nuova progenie di “storici” revisionisti, competenti quanto Luca Giurato.
La quarta di copertina di Italiani, Brava Gente, Neri Pozza, dice:

Negli anni che vanno dall’unità del nostro Paese alla fine della seconda guerra mondiale si sono verificati molti episodi nei quali gli italiani si sono rivelati capaci di indicibili crudeltà. In genere le stragi sono state compiute da «uomini comuni», non particolarmente fanatici, non addestrati alle liquidazioni in massa. Uomini che hanno agito per spirito di disciplina, per emulazione o perché persuasi di essere nel giusto eliminando coloro che ritenevano «barbari» o «subumani».
Angelo Del Boca esamina, in questo libro, gli episodi più efferati, quelli che costituiscono senza dubbio le pagine più buie della nostra storia nazionale: i massacri di intere popolazioni del meridione d’Italia durante la cosiddetta «guerra al brigantaggio»; l’edificazione nell’isola di Nocra, in Eritrea, di un sistema carcerario fra i più mostruosi; le rapine e gli eccidi compiuti in Cina nel corso della lotta ai boxers; le deportazioni in Italia di migliaia di libici dopo la «sanguinosa giornata» di Sciara Sciat; lo schiavismo applicato in Somalia lungo le rive dei grandi fiumi; la creazione nella Sirtica di quindici lager mortiferi per debellare la resistenza di Omar el-Mukhtàr in Cirenaica; l’impiego in Etiopia dell’iprite e di altre armi chimiche proibite per accelerare la resa delle armate del Negus; lo sterminio di duemila monaci e diaconi nella città conventuale di Debrà Libanòs; la consegna ai nazisti, da parte delle autorità fasciste di Salò, di migliaia di ebrei, votati a sicura morte.
È vero che nell’ultimo secolo e mezzo molti altri popoli si sono macchiati di imprese delittuose, quasi in ogni parte del mondo. Tuttavia, soltanto gli italiani hanno gettato un velo sulle pagine nere della loro storia ricorrendo ossessivamente e puerilmente a uno strumento autoconsolatorio: il mito degli «italiani brava gente», un mito duro a morire che ci vuole «diversi», più tolleranti, più generosi, più gioviali degli altri, e perciò incapaci di atti crudeli.
Con la sua scrittura chiara e documentata, Angelo Del Boca mostra invece come dietro questo paravento protettivo di ostentato e falso buonismo si siano consumati, negli ultimi cent’anni, in Italia, in Europa e nelle colonie d’oltremare, i crimini peggiori, gli eccidi più barbari. Crimini ed eccidi commessi da uomini che non hanno diritto ad alcuna clemenza, tantomeno all’autoassoluzione

Letio Brevis

Paul Ekman, psicologo, professore di psicologia alla University of California Medical School, ha consacrato una vita allo studio delle emozioni primarie e alle manifestazioni di esse attraverso le espressioni facciali. Adottando un approccio etologico ha cercato di dimostrare, andando contro il paradigma antropologico (e contro Margaret Mead stessa) e riagganciandosi a Darwin, che le espressioni facciali non sono culturalmente determinate, ma si tratta di schemi innati, biologicamente determinati ed universalmente diffusi.
Molto interessanti al riguardo, sono gli studi sulla menzogna, di cui cercherò di dare un’idea per sommi capi citando un paio di paragrafi dal libro di Ekman I Volti della Menzogna, Firenze, Giunti
Ad esempio:

L’attiva falsificazione. Quando nasce una emozione i muscoli facciali si attivano in maniera automatica : per abitudine o per scelta si può riuscire ad impedire queste espressioni nascondendole attraverso una maschera, una ‘emozione finta’, che in genere è il sorriso.

Asimmetria. In una espressione facciale asimmetrica le stesse azioni compaiono nelle due metà del viso, ma sono più intense su una parte anziché nell’altra. Una spiegazione di questa asimmetria potrebbe essere cercata nel fatto che l’emisfero cerebrale destro sia più specializzato del sinistro nel trattamento delle emozioni: dato che l’emisfero destro controlla gran parte dei muscoli della metà sinistra del viso e il sinistro quelli della metà destra, le emozioni si mostrano con maggiore intensità sulla parte sinistra del volto. In questo senso le espressioni contorte, in cui l’azione dei muscoli è un po’ più accentuata su una metà del viso possono essere un segno rivelatore della falsità del sentimento manifestato. L’asimmetria è indizio di una emozione poco sentita, un’espressione volontaria della muscolatura.

Tempo. Le espressioni di lunga durata (dai 10 secondi in su) sono probabilmente false perché le espressioni autentiche non durano così a lungo : la mimica che esprime emozioni davvero sentite non resta sul viso più di qualche secondo. Se la sorpresa è autentica tutti i tempi, di attacco e di stacco, sono brevissimi, inferiori al secondo.

Ancora, chiedo aiuto a Francesca Garofoli ed ecco un estratto da un articolo apparso su Galileo del 29 gennaio 2000:

(…)”Il poligrafo rivela le emozioni non le bugie”, spiega Ekman. “Molte persone innocenti, a cui viene richiesto il test del poligrafo, potrebbero mostrarsi spaventate dall’eventualità di essere fraintesi. Questo potrebbe dunque farle sembrare colpevoli, timorose di essere scoperte”.
Se dunque una delle mancanze del poligrafo è quella di rivelare la presenza di un’emozione, ma non necessariamente di una bugia, il Facial Action Coding System (Facs), ideato e creato da Ekman e Friesen nel 1978, può ovviare a questo problema. Il sistema fornisce un metodo di misurazione oggettivo della contrazione dei muscoli facciali, solitamente coinvolti nell’espressione di tutte le differenti emozioni. Dopo aver esaminato quasi cinquemila videoregistrazioni di diverse espressioni, è stato costruito un tabulato dove sono elencate le singole “unità” facciali coinvolte in un movimento. Sono state inoltre determinate la durata di ogni contrazione muscolare, la loro intensità e le eventuali asimmetrie bilaterali.
Apparentemente il Facs è un sistema descrittivo, ma i suoi tabulati permettono un’anticipazione di quali unità si debbano necessariamente attivare in risposta a una specifica emozione. Per esempio, il sorriso prevede la contrazione del muscolo gran zigomatico, affinché gli angoli della bocca si sollevino, e del muscolo orbicolare dell’occhio, affinché le orbite oculari si restringano. Ma se il sorriso non è autentico, cosa accade? Assistiamo soltanto alla contrazione del muscolo gran zigomatico. Questo non è che un esempio lampante, ma quando si tratta di individuare una bugia, bisogna esaminare i micro-movimenti: come un muscolo che si contrae quando non dovrebbe o, al contrario, che non si contrae affatto pur dovendo; una contrazione troppo breve o, viceversa, troppo lunga; le eventuali asimmetrie tra la parte destra e quella sinistra del volto.
Il Facs diventa così un efficace indicatore di bugie, perché rivela tutte le contraddizioni e le inesattezze espressive del volto. Quando infatti la nostra concentrazione è rivolta alla cura delle parole o degli atteggiamenti, al fine di ingannare qualcuno, le emozioni sono controllate, ponderate, e ciò comporta inevitabilmente un’alterazione dei normali schemi espressivi. Ma quanto è affidabile questo sistema? “E’ un sistema molto preciso per misurare i movimenti facciali, che ha dato ottimi riscontri nel distinguere la verità dalla menzogna”, conferma Ekman, “ma il suo margine di errore è del 10 per cento: troppo alto per essere usato come prova in un tribunale”.
Non andrà bene ai fini giuridici, ma può essere un eccellente metodo investigativo a uso personale, tanto che i suoi schemi interpretativi delle emozioni sono stati raccolti in un archivio, chiamato “Facsaid” (Facial Action Coding System Affect Interpretation Database – http://nirc.com/facsaidmenu.html). Presto potrebbe diventare addirittura un sistema automatizzato: “Due équipe di esperti di computer”, spiega Ekman, “stanno attualmente lavorando per fare in modo che una macchina, un computer appunto, esamini autonomamente e automaticamente i dati del Facs. Ma si tratta di un lavoro che richiederà ancora cinque anni prima di giungere al termine”.
Nel frattempo, l’ultimo libro di Paul Ekman – “La seduzione delle bugie” (Di Renzo editore, 1999) – può essere una lettura istruttiva per quanti sono a caccia di bugie. Senza dimenticare, però, che la bugia non sempre è un crimine: “La verità a volte può essere usata in modo distruttivo”, aggiunge Ekman. “Anche se ogni tanto mentire è necessario per proteggere qualcuno dal dolore. Ma la maggior parte delle bugie, se scoperte, distruggono la fiducia. L’unico modo per sapere se è veramente necessario mentire è chiedersi: se la persona a cui sto mentendo lo scoprisse, potrebbe sentirsi tradita o ferita? Valeva la pena – conclude Ekman – di perdere la sua fiducia?”

E rendere obbligatorio il test per chi ricopre qualunque incarico pubblico, nonché per i vertici delle grandi aziende? Think about it.