Dirotta verso il mare

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Dirotta Su Cuba – Jaz
Jazzet/Edel
[ITA 2005]

La vita a volte è veramente strana. Dopo aver assistito all’ingresso in redazione di Pipolo, c’è chi ci spinge a far concorrenza ai nostri cugini di Musicboom . Noi riconosciamo a loro il primato in fatto di musica, ma ci prendiamo la libertà di ricevere un disco, accettarlo e addirittura recensirlo.
L’anomalia giunge dai Dirotta Su Cuba, storico gruppo italiano che si è sempre aggirato tra i meandri della black music, del funk e dell’acid jazz, i quali fanno pervenire in redazione un delizioso kit che comprende, oltre al cd racchiuso in un interessante packaging, un nécessaire monodose per farsi un cuba libre, subito fatto sparire dal webmaster, oltretutto prima di mezzogiorno.
Ci fu un’epoca a cavallo tra ’900 e 2000 in cui si poté assistere all’esplosione della cosiddetta lounge music: ogni giorno uscivano decine di ristampe di music libraries risalenti agli anni ’60 e ’70, ossia raccolte di temi usati in televisione o nel cinema per stacchetti, per la connotazione di momenti standard festaioli o erotici, accanto a raccolte di canzoni vere e proprie e temi tratti da commedie all’italiana, poliziotteschi, soft porno ed altro. Tutto questo era imparentato con il concomitante recupero dell’exotica e della bachelor pad music che andava da Esquivel a Les Baxter fino alla bossa nova più dozzinale, ma divertente. Gruppi contemporanei iniziarono ad ispirarsi a quelle atmosfere: saltarono fuori dei personaggi tipo i Pizzicato Five, i Fantastic Plastic Machine, i Combustible Edison e un’etichetta come la tedesca Bungalow la faceva da padrona. Quelle cose mi piacevano molto, ma in capo a un paio d’anni tutto diventò una fotocopia di una fotocopia di una fotocopia.
Qualche anno prima era esploso l’acid jazz (il jazz da ballare per la generazione acid house): sarebbero troppi i nomi da citare, ma ricordiamoci di etichette come la Talking Loud oppure l’eponima Acid Jazz. Anche in questo frangente tutto diventò sciacquatura di piatti in breve tempo.
Detto ciò, non riesco a capire l’operazione dei Dirotta su Cuba; Jaz non è un disco di Donald Byrd tipo Street Lady che rimane al di fuori delle mode e del tempo, così come non è un Timmy Thomas o un Quincy Jones d’annata, nonostante il fatto che in Fantom Beat (il titolo d’apertura e probabilmente il pezzo migliore) riecheggi tutto questo, quasi un Soul Bossa Nova accelerato.
Il resto del disco paga un tributo importante all’acid jazz più vocale e soulful alla Brand New Heavies, alla lounge music e alla bossa nova, con un uso più che discreto dell’elettronica e dei campionamenti, in brevi e improvvise accelerazioni drum ‘n’ bass “light”, con un emergere più deciso dei fiati altrove, in sonorità quasi big band (L’Iguana. No, Iggy non penso che c’entri qualcosa), e della chitarra acustica in pezzi decisamente bossa come Italy. Il piatto forte è rappresentato dalla nuova cantante Marquica (unica partner in crime del fondatore Rossano Gentili), che dice di ispirarsi a Ella Fitzgerald, a Billie Holiday e a Mina, compie agili equilibrismi vocali ma manca di dinamica, di maturità tecnica e stilistica pur risultando sexy e accattivante, così come sembra acerbo tutto il lavoro (nonostante la lunga carriera), penalizzato da una produzione troppo lineare e compressa.
Se Jaz fosse uscito esattamente dieci anni fa, probabilmente avrei gridato al “miracolo italiano” perché avrebbe rappresentato un prodotto di punta, piuttosto in linea con quello che accadeva nel mondo all’epoca, mentre trovo che oggi sia un’esperienza fine a se stessa e un po’ lontana dal tastare il polso pulsante di questi anni; ciò non toglie il fatto che sia un disco piacevole se ci si limita a cinque ascolti (tralasciando alcuni testi al limite dell’imbarazzante: son malato immaginario/mangio pizza fuori orario/son nato in Italy) e se si ripone il cd in un cassetto per tirarlo fuori con i primi caldi che inducono una maggiore tolleranza, e trasferirlo direttamente nel lettore cd dell’auto, pronti a far rotta verso il mare.

3/5