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Uomini che odiano le donne

Ring del 01 06 2009

 
 
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  • Questo ring è stato letto 8665 volte
 
 
 
 
 
 
 
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Contro

Recensione contro

Sherlock Holmes a caccia di misogini (la redattrice non ha letto il romanzo)

di Chiara Orlandi

La nuova pellicola del danese Niels Arden Oplev, tratta dall'ormai celeberrimo romanzo di Stieg Larsson, arriva nelle sale italiane il 29 maggio e inaugura la trilogia denominata "Millennium". La spy-story intorno ai segreti della famiglia Vanger prosegue infatti con altri due film: La ragazza che giocava con il fuoco e La regina dei castelli di carta, le cui uscite sono previste rispettivamente per l'autunno del 2009 e per la primavera successiva.


Dopo la condanna a qualche mese di carcere per aver indagato sui traffici illeciti del potente di turno, la carriera del giornalista Mikael Blomkvist (Michael Nyqvist) sembra irrimediabilmente chiusa, quando viene ingaggiato dal vecchio Vanger per investigare su un caso irrisolto da quasi quarant'anni. Si tratta della scomparsa della nipote Harriet, allora adolescente, avvenuta in circostanze misteriose durante una riunione di famiglia sull'isola abitata dalla famiglia Vanger. Lo zio ultraottantenne è convinto che la ragazza sia stata assassinata da un componente della numerosa e ambigua famiglia, un vero e proprio clan che nasconde terribili segreti. Tocca a Mikael, affiancato dall'indomito genio di una hacker professionista, Lisbeth Salander (Noomi Rapace) trovare il bandolo della matassa e, possibilmente, uscirne incolume. Parallelamente alla crisi lavorativa di Mikael la storia racconta la drammatica vicenda di Lisbeth, vittima degli abusi di un sadico tutore e in cerca di una "giusta" vendetta, in senso morale, che la risoluzione del caso Vanger potrebbe amaramente concedere. Tra fotografie d'epoca e ricordi annebbiati l'investigazione procede con qualche doveroso colpo di scena intervallato da poco sorprendenti rivelazioni d'identità.


Agli appassionati della serie Twin Peaks Uomini che odiano le donne non riserva particolari sorprese dal momento che la storia possiede moltissimi lati in comune con il popolare serial: giovane donna assassinata, investigatore esterno che indaga in un piccolo paesino sperduto, ambiguità familiari, una miscela irrinunciabile di sesso e morte, rimandi alla simbologia religiosa. I segreti di Twin Peaks riservavano però ben altre soddisfazioni… E come non citare il pluripremiato La ragazza del lago con Toni Servillo tratto da un racconto norvegese? Il film di Oplev è un puro giallo realizzato sulla struttura deduttiva e mischiato con l'immagine sempre affascinante della saga familiare che, senza scomodare gli illustri Buddenbrook, sembra riproporre i Tenenbaum in chiave Dynasty. Non conosco il libro, però devo aggiungere che purtroppo la versione cinematografica non approfondisce granché i singoli personaggi del clan Vanger. Piuttosto la mia ammirazione va tutta per la splendida protagonista femminile interpretata da Noomi Rapace, un'attrice poco nota e autodidatta che è stata in grado di dar vita a una magnifica Lisbeth, ragazza così inaspettatamente forte da ripudiare ogni forma di compassione del mondo esterno nei propri confronti.


Come nelle migliori tradizioni dell'hard boiled novel l'autore sfrutta l'espediente dell'"enigma in camera chiusa" per mettere a nudo le nefandezze della corruzione che lo circonda; in tal caso Stieg Larsson - morto prematuramente nel 2004 - vorrebbe denunciare le incongruenze di un mondo perbenista dove, ora e sempre, le persone non sono ciò che appaiono. L'investigazione diverrebbe dunque la metafora per portare alla luce i lati nascosti di una famiglia borghese dall'immacolata apparenza. Ma l'ambizione di creare un'opera che non sia di solo intrattenimento non pare raggiungere appieno lo scopo originario. In definitiva, da spettatrice, mi chiedo per quale motivo gli uomini vengono allevati a pane e misoginia? Qual è la matrice di questo immenso odio? Cosa li spinge a violentare, uccidere, disprezzare il corpo della Donna? Durante il film si assiste a una pseudo-confessione del presunto colpevole in cui si specifica che una delle ragioni è proprio il desiderio primordiale di sesso, di una prevaricazione di tipo sensuale. Ebbene questo è tutto; la questione viene liquidata abbastanza velocemente da lasciare in sospeso le domande sopra poste. Certamente il film non vuole essere un trattato di psicanalisi però sarebbe stato evidentemente più esaustivo fornire (almeno provarci…) qualche ipotesi, invece di miscelare dubbie suggestioni religiose all'ultracitato fanatismo nazista. L'assassinio di una donna sembra un fumigante rituale da officiare nella più totale normalità e mi chiedo perché le medesime considerazioni non riguardino le vittime maschili. Ritorno dunque all'insolito personaggio di Lisbeth, al suo voler celare la verità dolorosa agli uomini tutti, anche a quelli che l'amano, sottolineando l'inutilità delle esternazioni, atte a suscitare soltanto compassione e null'altro. Il suo atteggiamento vuole forse suggerire che per cambiare l'humus culturale ci vuole ben altro che la pietà maschile? La questione rimane aperta, magari (spero) per i successivi episodi; sta di fatto che, sebbene sia complessivamente un buon film, Uomini che odiano le donne è solo, e appunto, la messa in scena di uomini che odiano le donne, e basta. Ritengo invece sia doveroso puntualizzare a gran voce che la "normalizzazione" dello stupro in risposta a una qualsivoglia provocazione sessuale - come alcuni reietti italiani hanno dichiarato - equivale a dire che il lupo si avventa sull'agnello proprio perché questi è di fatto un agnello. Tautologia? No, la definirei ignoranza sessista indegna persino di una unità biologica mononeuronale.


Oltre al fatto che David Lynch e Marc Frost avrebbero titolo per chiedere i diritti d'autore mi domando quale sia il vero messaggio della Millennium Trilogy di Stieg Larsson filtrata dall'opera registica di Oplev: Inquietante neutralità o vacillante presa di posizione?

 
 
 
 
 
 
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A favore

Recensione a favore

Panni sporchi di svastiche (la redattrice ha letto il romanzo)

di Sara Troilo

 

Finalmente arriva anche sugli schermi italiani l'attesissima trasposizione del romanzo di culto degli ultimi anni: Uomini che odiano le donne di Stieg Larsson, compianto giornalista e scrittore svedese. Quella a cui ho assistito è stata una proiezione circondata da altre/i trenta lettrici e lettori del romanzo, il silenzio ha regnato in sala a testimonianza del fatto che la lettura è un atto portatore di estrema civlità. Avendo trascorso giorni bellissimi sulle 676 pagine del romanzo da cui è stato tratto il film (2287 pagine per tutta la trilogia), l'aspettativa era alta e il timore grande. La scelta del regista danese Niels Arden Oplev è stata quella di concedere spazio ai momenti salienti dell'investigazione tralasciando il ritratto a tutto tondo dei personaggi. Una scelta coraggiosa che raggiunge l'obiettivo di condensare la vicenda in tempi cinematografici senza saltare passaggi importanti della narrazione. Probabilemente la produzione avrà anche deciso di rivolgersi ai lettori di Larsson che di Lisbeth Salander e Mikael Blomkvist ne sanno ormai più che del loro stesso gruppo sanguigno e di fronte ad una qualsiasi decisione tanto di cappello dal momento che la tendenza imperante è rivolgersi a chiunque respiri tentando di accalappiarlo. Con ciò non sto dicendo che chi non ha letto il romanzo non può accostarsi alla visione del film, ma solo che il taglio è decisamente a favore dei lettori.


Mikael Blomkvist (Michael Nyqvist) è un giornalista che ha perso una causa contro il magnate Hans-Erik Wennerström per essere caduto in un tranello ideato dallo stesso finanziere e che sta per scontare un periodo di distacco dalla rivista Millennium, di cui è l'anima, proprio per evitare di comprometterla. Mikael viene immediatamente reclutato dal milionario Erik Vanger che gli affida il compito di indagare sulla morte della nipote Harriet avvenuta più di trent'anni prima sull'isola di Hedestad in un momento in cui il collegamento con la terraferma era sospeso a causa di un incidente, come in un tipico soggetto di Agatha Christie. Ma il signor Vanger non assume la gente a caso, prima di affidarsi a Blomkvist infatti commissiona un'approfondita indagine sul conto del giornalista alla società Milton Security che a sua volta la affida alla migliore ricercatrice dello staff: Lisbeth Salander (Noomi Rapace). Ecco il link tra i due protagonisti, tanto basta allo spettatore che si deve accontentare di questa violenta irruzione di Lisbeth nella vita privata di Mikael veicolata dall'irruzione nel suo computer. Mikael indaga sui Vanger, Lisbeth indaga su Mikael mentre tenta di contenere i danni che il nuovo tutore, Nils Bjurman, le procura, ma ovviamente i due sono destinati ad incontrarsi, uniti da un forte senso della giustizia anche se declinato in modo opposto.


La narrazione procede piuttosto lenta, con un sano ritmo nordeuropeo per dirla meglio, accelerando laddove l'azione si fa predominante eppure è sempre serrata, non cede mai a momenti superflui e tutto ciò che appare sullo schermo sembra misurato con il contagocce, come se il film fosse un vero e proprio distillato del romanzo. Chi ha letto il libro riconosce luoghi e personaggi al primo sguardo, riconosce il pacco che viene aperto all'inizio del film, la sagoma di Lisbeth che appare con la sua camminata decisa (e lì il cuore fa un salto, Lisbeth fatta di carne è un'amozione fortissima), lo sguardo di Mikael. Chi non ha letto il romanzo ha a sua disposizione ogni elemento per seguire la storia, ma si perde il bello di questo film e cioè l'estrema complicità con il lettore. Il consiglio di leggere il romanzo prima di guardare il film però è troppo banale e tocca sorvolare.


La scelta degli attori per questa prima parte della trilogia di Millennium è soddisfacente. Prevale su tutti ancora una volta Lisbeth interpretata da Noomi Rapace che convince in pieno dando corpo alle idiosincrasie, alle paure, alla chiusura e alla rabbia del personaggio senza il timore di non apparire attraente. Non sembrerà un'adolescente come la nostra Pippi Calzelunghe cresciuta, non sarà mai nemmeno una rossa tinta di nero convincente, ma la grinta è proprio quella di Lisbeth come anche il suo essere scostante e spietata. Una vera donna che odia gli uomini che odiano le donne. Mikael interpretato da Michael Nyqvist all'inizio spiazza dal momento che un girl toy del suo calibro ce lo si immagina ben più attraente, ma anche lui regala al personaggio quello sguardo in grado di conquistare e di far capitolare frotte di donne che ci si immagina facilmente addosso a Kalle Blomkvist come anche quel misto di tenerezza e forza unito al rispetto delle distanze messe dagli interlocutori. Lascia un po' perplessi Erika Berger interpretata da Lena Endre che dovrebbe assomigliare ad una Laura Palmer cresciuta e diventata oltremodo affascinante, ma che nelle poche inquadrature a lei dedicate non risplende per niente, anzi inquieta.


Bello, ma manchevole il taglio complessivo dato al film, piuttosto netta si persegue la convinzione di puntare tutta l'attenzione sull'indagine su Harriet Vanger seguendo i topoi del giallo classico, salvo poi infrangere le regole con incursioni nei computer altrui da parte dell'hacker Lisbeth e dare un taglio ideologico e sociale alle conclusioni. Una vera e propria boccata di aria fresca questo film che, per una volta, trasporta gli spettatori lontani dalla patina untuosa e omologatrice di Hollywood che avrebbe trasformato Lisbeth in un'avvenente post adolescente con traumi che supera a forza di amplessi, Mikael in un improbabile piacione senza traccia di impegno politico nelle vene, la Berger in una Michelle Pfeiffer e il Vanger in un ottuagenario noioso (mantendo stavolta un po' il ruolo del romanzo) ma anche melenso. Di certo la fagocitazione prima o poi avverrà, teniamoci stretta la versione europea. Teniamoci ancor più stretti i romanzi di Larsson che ha trasposto nella fiction il proprio impegno femminista e non violento degno di un uomo che ha dedicato l'intera vita alla causa antinazista e in difesa delle donne, sempre più spesso vittime di violenza da parte degli uomini. I numeri che cita a questo proposito proprio nel primo capitolo della trilogia sono inquietanti e si riferiscono alla Svezia, nazione in cui le donne hanno ottenuto pari diritti di governare il Paese e di lavorare. C'è da chiedersi se in Italia i numeri siano inferiori davvero o se lo siano piuttosto le denunce a causa di una subcultura che ancora incolpa le donne delle violenze subite e le invita caldamente a vergognarsi lavando i panni sporchi in famiglia o in tv se lo stupro avviene fuori casa e in concomitanza con le elezioni. La grande, enorme, pecca del film è proprio quella di smorzare il tono di denuncia del romanzo che nasconde dati e personaggi reali dietro a nomi di finzione. Speriamo che i prossimi due capitoli siano più coraggiosi di questo, per ora: viva Lisbeth, abbasso gli uomini che odiano le donne.

 
 
 
 
 
 
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