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Celebrando Werner

di Carlo Griseri

Sono le 11.35 del 15 gennaio quando Werner Herzog fa il suo ingresso nella sala 3 del Cinema Massimo di Torino, luogo preposto all'atteso incontro con la stampa organizzato dal Museo Nazionale del Cinema. Ad accoglierlo, decine di giornalisti e di telecamere. Per l'occasione è stato organizzato un servizio di navetta da Milano (sparsi tra le poltrone della sala, erano visibili alcuni tra i volti più noti del "gotha" della critica cinematografica italiana, come Enrico Ghezzi e Paolo Mereghetti). Torino ha deciso di omaggiare il cineasta tedesco con uno sforzo organizzativo senza precedenti, dal titolo Segni di vita. Werner Herzog e il cinema: una completa retrospettiva della produzione del regista, una mostra interattiva, un cine-concerto dal vivo e un workshop (quest'ultimo, purtroppo, a numero chiuso). Un'iniziativa che ha richiesto un anno e mezzo di lavoro e che è stata resa possibile solamente dalla collaborazione tra diversi enti locali: oltre al Museo del Cinema, la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, la Scuola Holden e il Teatro Regio. L'incontro con la stampa - durato, con qualche pausa, circa due ore - è stata l'occasione per approfondire la conoscenza del "maestro" e anche per togliersi alcune curiosità sulla sua lunga carriera (45 anni di attività festeggiati proprio in questa occasione).

"Si tratta del più grande omaggio al mio lavoro mai realizzato", ha esordito il cineasta tedesco, visibilmente soddisfatto.  In una delle prime domande poste, il cinema del regista viene definito "cinema della follia". Una definizione che viene ritenuta pertinente da lui stesso. "E' giusto definirlo così: è un tema che ha molta importanza nei miei film, in pellicole come Echi da un regno oscuro o Aguirre, ad esempio. Il pericolo però è che alla gente possa venire il dubbio se io sia o meno sano di mente! Il mio lavoro, in effetti, comporta una parte di follia, si ha a che fare costantemente con l'immaginario…". Definire Werner Herzog non è facile: regista di fiction, documentarista, o semplicemente artista? "Il primo problema a questo riguardo è che io fatico molto a considerarmi un artista. Faccio fatica anche a definire la distinzione tra fiction e documentario… so che ci sono, ma non sono a mio agio nel definirle. Non dimentichiamo, poi, che sono anche scrittore - e credo che i miei libri sopravvivranno ai miei film - e ho fatto anche alcuni film da attore. Ho inoltre allestito opere liriche, e so anche cucinare!".

Una delle leggende che per prima ha cercato conferme a Torino è stata quella della "ipnosi di gruppo" fatta realizzare sul cast di Cuore di vetro. "Verissimo! Erano tutti ipnotizzati, volevo sperimentare questa soluzione: devo ammettere che è molto facile lavorare con attori ipnotizzati!". In quegli anni Herzog ha anche esteso l'esperienza, arrivando a organizzare proiezioni dei suoi film a un pubblico che veniva ipnotizzato prima della visione. "Era un progetto interessante, ma ho dovuto rinunciare perché è troppo rischioso mettere sotto ipnosi persone che non si conoscono, qualcuno potrebbe anche vivere esperienze di psicosi". Altre curiosità sono sorte negli anni dalla visione delle pellicole del cineasta. In Rintocchi dal profondo c'è una scena in cui alcuni pellegrini russi si recano strisciando su un lago ghiacciato per cercare di vedere la città sotto il ghiaccio: si è trattato di un'invenzione narrativa? "Non è tutto inventato - ha confidato Herzog - nell'anima dei russi quel mito esiste. Mia moglie ha origini siberiane e comprendo quindi bene l'animo di quel popolo: molti russi, tra l'altro, mi hanno confidato di essersi sentiti meglio rappresentati da quella scena che da tanti altri film. L'immagine del pellegrino che striscia sul ghiaccio è inventata: è l'essenza stessa del mio lavoro, io non invento per ingannare, ma per portare lo spettatore più vicino alla verità più vera, più estatica. Per questo faccio cinema".

Una tra le dichiarazioni più oscure e note del regista venne rilasciata alla stampa tedesca negli anni '70: "Girare un film è più una questione di atletica che non di estetica". "Quella - ha spiegato - è una dichiarazione da prendere con le pinze! In quel periodo ero tempestato da domande sui miei film dai giornalisti tedeschi, tutti interessati a cercare significati reconditi nel mio lavoro e a farmi domande sull'estetica delle mie pellicole. Mi avevano stancato e così ho dato loro quella risposta provocatoria e assurda: se la ginnastica fosse così importante Alessandro Del Piero sarebbe il miglior regista del mondo!". A proposito del calciatore juventino, Herzog ha tenuto a precisare quanto ammiri "la sua comprensione dello spazio, il modo in cui si muove sul campo quando non ha la palla al piede. Il migliore in questo era Franco Baresi". Spontanea dalla platea, dato l'argomento preso dalla discussione, la richiesta di un suo giudizio relativo al film di Douglas Gordon su Zinedine Zidane (Zidane, un ritratto del XXI secolo, NdR). "Non ho visto il film, mi spiace. Ma posso dire che Zidane era molto più impressionante con la palla nei piedi, Baresi invece senza".

La sua visita torinese lo ha portato a contatto con il Museo Nazionale del Cinema. "Non ho ancora avuto modo di visitarlo interamente (ormai lo avrà fatto, NdR), ma la mia prima impressione è che sia una cosa unica al mondo. La cosa straordinaria è essere riusciti a dare sostanza al progetto, riempire degnamente uno spazio così spettacolare. Semplicemente incredibile". Le domande si susseguono, e qualcuno non resiste alla tentazione di chiedere al cineasta del suo rapporto con l'inconscio, personale e collettivo. "Non mi piace guardare dentro me stesso, preferisco che l'inconscio rimanga inconscio. Credo che uno dei problemi principali del XX secolo sia stata la psicanalisi, mi rifiuto di seguire questa stupidaggine. Tuttavia ammetto che esiste una "visione" collettiva: ne è un esempio la Cappella Sistina, in cui Michelangelo è riuscito a esprimere universalmente il pathos umano. Se il cinema riuscisse ad avvicinarsi a tali risultati, sarebbe grande". Il regista ammette poi di vedere "pochi film, al massimo una decina l'anno. Tanti però mi hanno commosso profondamente, come ad esempio Padre padrone dei fratelli Taviani: mi sento molto vicino al protagonista, ha avuto una vita simile alla mia. Mi appassionano di più i libri e la musica: le Georgiche di Virgilio mi hanno molto ispirato per Encounters at the end of the world nel suo voler dare un nome alle cose. E poi i libri di Conrad, Chatwin…".

Il suo rapporto con la musica merita invece un approfondimento, relativo alle colonne sonore dei suoi lavori. "E' un argomento molto complesso, non c'è il tempo di affrontarlo. La musica di Karl-Heinz Stockhausen non è mai stata vicina alla mia sensibilità: troppo tecnica, troppo elettronica. Negli anni '70 ho lavorato molto con i Popol Vuh, che invece sono stati importantissimi per me. Il loro leader Florian Fricke, però, è poi andato in un'altra direzione, verso la new age, e ci siamo separati artisticamente: quella è una musica che non mi è mai piaciuta". Wim Wenders lo intervistò negli anni '80 per Tokyo-ga (documentario dedicato all'opera di Yazujiro Ozu, NdR): Herzog in quella occasione disse che era "alla ricerca della trasparenza", e che sarebbe andato ovunque per cercarla. "Non ho mai visto quel film, onestamente. La trasparenza per me ha a che fare con la visione collettiva, è il tentativo di rendere visibile ciò che è nascosto dietro al muro, dietro a uno schermo… Sono sempre stato spinto dalla curiosità".

Una domanda, infine, sui progetti in lavorazione. Nei suoi film si è spinto in ogni luogo, anche nei più difficili da raggiungere: cosa bisogna aspettarsi nel prossimo futuro? "Vi sorprenderà forse che il mio prossimo film sarà girato tra Londra, Parigi e i Pirenei! Ho anche un progetto che riguarda la Birmania, ma ora è molto complicato". Un altro progetto, più a lungo termine però, riguarda "le lingue che stanno morendo, o meglio le ultime persone che parlano lingue che stanno morendo. Siamo tutti consapevoli dell'estinzione degli animali, ma non pensiamo mai al fatto che nel semplice arco di una vita umana più del 90% delle lingue oggi esistenti scompariranno senza lasciare documentazione. Non vorremmo mai, immagino, arrivare al punto in cui esista una sola persona che parli italiano!".

                    

La prima di Encounters at the End of the World

L'ultimo lavoro di Werner Herzog è stato mostrato al pubblico solo in due occasioni, ai festival di Toronto e Amsterdam. Negli Usa è prevista l'uscita nelle sale, e successivamente in televisione verrà programmato su Discovery Channel. Un progetto nato quasi per caso, ammette il regista. "Sono stato affascinato da alcune sequenze di immagini fatte sotto la calotta antartica: ho chiesto il permesso alla National Science Foundation di poter girare, e l'ho ottenuto. E' stata una sorpresa anche per me riuscire a fare un film!". Stupore, del resto, ampiamente comprensibile. "Normalmente sono abbastanza sicuro quando faccio un film, ma lì non avevo alcuna troupe, eravamo solo io e il direttore della fotografia. Non ho potuto fare neanche sopralluoghi. Ho dovuto registrare anche il sonoro!".

Realizzato con un budget di 900.000 dollari, con un equipaggiamento specifico e tecnologicamente avanzato per le difficili condizioni climatiche - e costosi diritti musicali - il film è stato girato interamente in digitale ("sono un uomo di pellicola, ma a quelle temperature non c'era scelta!"). Alla fine ne è uscito un lavoro straordinario ("Lo sento molto vicino al mio cuore", ha confessato il regista), un documentario capace di regalare emozioni, di far conoscere personaggi indimenticabili (due tra tutti: il pinguino "impazzito" e l'idraulico con il dito indice molto più lungo delle altre dita). "E' stato strano - spiega il regista - non ho potuto conoscere queste persone se non per il tempo delle riprese, al massimo venti minuti in più. Lo scienziato che nel film parla degli iceberg, ad esempio, 60 secondi dopo la fine dell'intervista è partito per la Nuova Zelanda e non l'ho più visto!". La base di McMurdo come sede della lavorazione è stata "imposta, come anche i nomi delle persone che potevo intervistare: in quei luoghi non è facile girare liberamente, è tutto molto militarizzato".

Tornato a casa dopo questa esperienza, il regista ha cambiato "la prospettiva sul resto del mondo, è diventato evidente come la vita umana non sarà sostenibile ancora a lungo. Non esiste alcuna sacralità in posti come l'Antartide o l'Everest, sono posti molto banali: scoprendoli, però, è finita l'avventura. Mi spiace che questi posti siano stati raggiunti perché ciò non ha portato loro alcun miglioramento, sarebbe stato meglio lasciar ad essi una maggiore dignità". Il film, ha detto a conclusione della presentazione, "ha un tono molto umoristico, anche se da ciò che ho detto ora non lo sembra: spero tanto che questo aspetto si riesca a cogliere".

La retrospettiva

Cinquantadue film (più un corto mai fino ad ora presentato in pubblico), 35 copie appositamente ristampate dalla Werner Herzog Film, società gestita dal fratello del cineasta, Lucki Stipetic. Un (altro) omaggio mai realizzato prima, la possibilità di ammirare tutta la produzione del regista.

La mostra interattiva

Curata da Grazia Paganelli e Stefano Boni, la mostra - ospitata dalla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo dal 15 gennaio al 10 febbraio - comprende una sezione fotografica che attraversa la carriera del regista, storyboard, documenti sul suo lavoro teatrale, le foto della moglie Lena, proiezioni e videoinstallazioni… Tanto materiale inedito, quindi, tra cui sei film di montaggio realizzati dalla stessa Paganelli sui nuclei tematici più significativi della filmografia. "Mi ha molto stupito - ha confidato Herzog - vedere la mostra allestita: è stato come incontrare qualcuno che conosco da molto tempo ma che non capisco del tutto".

Il seminario

Sono giunte 350 richieste di film-maker per partecipare alla due giorni di seminario (svoltasi il 17 e 18 gennaio). Una dura selezione - solo 15 persone hanno potuto partecipare - per cercare di carpire qualche segreto al maestro. "Sono molto ansioso di iniziare", ha confessato all'incontro con la stampa. Purtroppo non ci è dato sapere come l'evento si sia svolto, e cosa abbia provato Herzog nell'incontrare i giovani autori. Nel corso del programma era prevista la discussione sui grandi temi chiave del suo cinema: il rapporto uomo-natura, il viaggio e l'estasi della visione, la scrittura come strumento per il cinema e come narrazione.

Il cine-concerto

"Mi ha commosso come nessun'altra cosa negli ultimi 10 anni". Con queste parole il maestro tedesco ha presentato la serata celebrativa (svoltasi presso il teatro Piccolo Regio, all'interno della rassegna Laboratorio) delle colonne sonore dei suoi ultimi lavori (Diamante bianco e L'ignoto spazio profondo) e intitolata Requiem for a dying planet. Per l'occasione il regista ha rimontato i due film per renderli funzionali al concerto, in cui hanno suonato dal vivo il compositore e violoncellista Ernst Reijseger, il cantante Mola Sylla e il quintetto di voci sarde Cuncordu e Tenore de Orosei.  "Un'esperienza che va aldilà dei film, queste sono le musiche che amo e cerco per i miei film". Il concerto è stato sicuramente emozionante e riuscito, anche se parzialmente deludente: pochi infatti gli estratti dalle due pellicole - che hanno corrisposto con i momenti più riusciti della serata - e non sempre coinvolgenti le esibizioni.  Una parola di riguardo però per l'esecuzione di Reijseger, trascinante e coinvolgente, capace di creare emozioni continue col suo violoncello e di dare alla sua musica una resa a tratti straordinaria. Un'occasione sprecata però, verrebbe da dire. Anche se la platea ha risposto con convinti applausi e - spettacolo nello spettacolo - è stato molto divertente vedere il regista tedesco muoversi inarrestabile per riprendere il concerto. Un esempio chiaro di quanto egli ami tali musiche.

Il libro

In occasione di un tale omaggio non poteva non venire pubblicato anche un volume celebrativo dell'opera del regista tedesco. Un saggio critico, che si alterna a un'intervista realizzata in due parti - a Monaco di Baviera e a Los Angeles - realizzato da Grazia Paganelli, anima dell'intero evento e vera ammiratrice ed esperta del cinema e della vita di Herzog.  "Il materiale assemblato da Grazia - ha ammesso lui stesso - mi ha assolutamente stupito, è un lavoro mai fatto prima da nessuno".  Un'opera irrinunciabile, una guida indispensabile per avvicinarsi all'opera di un grande del nostro secolo (o per approfondire la conoscenza).

 
 
 
 
 
 
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