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Persi nel bianco

di Carlo Griseri

Un evento speciale, organizzato nell'ambito dell'Anno Polare Internazionale. Già, perché il 2007-2008 (per la precisione, dal 1° marzo 2007 al febbraio 2009, quindi quasi 2 anni: non chiedetemi perché…) è stato dedicato in tutto il mondo - lo confesso, ignoravo tale iniziativa - al Polo, in senso lato.

A Torino, quindi, il Laboratorio Multimediale Guido Quazza, che opera nell'orbita del locale Dams, ha organizzato in collaborazione con il Centre Culturel Francais una speciale giornata dal titolo Brise-glace. Le paysage blanc. L'evento, il cui titolo tradotto letteralmente è "Rompi-ghiaccio. Il paesaggio bianco", consisteva nella riproposizione del materiale, ormai introvabile, raccolto durante una missione del 1987 organizzata dal Ministero degli Affari Esteri francese. Vent'anni fa, infatti, un piccolo gruppo di autori (tre registi, una fotografa, una scrittrice, un musicista e altri non pervenuti…) viene invitato dal Governo d'Oltralpe per partecipare a una missione nei ghiacci artici, a bordo della nave rompighiaccio svedese Frej. E' il mese di marzo del 1986. Al termine della missione i lavori ultimati sono diversi, e il Ministero francese li assembla come se si trattasse di un'opera unica (un'opera multimediale, si direbbe oggi: una vera iniziativa ante litteram). Tutti i contributi vennero inseriti in unico cofanetto.

La fotografa ungherese Katalin Volcsansky realizzò una serie di immagini che vennero pubblicate in un volume-catalogo dal titolo Le paysage blanc, su una musicassetta venne registrato il "racconto sinfonico" di Luc Ferrari, Et si toute entiere maintenant, con musiche di sottofondo create per l'occasione da David Jisse, e su VHS venne pubblicato il film Brise-glace, opera composta da tre diversi segmenti realizzati dai registi Jean Rouch, Titte Törnroth e Raoul Ruiz. Da quel 1987 in cui vennero mostrati due volte - al Festival di Berlino, dove ottennero una menzione, e al Prix Italia, dove vinsero un riconoscimento per le musiche - i materiali del progetto Brise-glace non sono stati più proiettati (questo, almeno, è ciò che viene detto dagli organizzatori torinesi introducendo la giornata ). Per l'occasione, le fotografie di Katalin Volcsansky sono state digitalizzate e montate sulla base del racconto sinfonico di Ferrari: l'effetto è straniante, la non perfetta qualità dello schermo (quanta polvere!) non aiuta, la mancanza di sottotitoli dal francese nemmeno. Il rischio, nei 30 minuti abbondanti di visione, è quello di assopirsi, o come minimo di perdere la "magia" del prodotto. Un peccato. Al termine di questo primo momento alcuni spettatori già si alzano e abbandonano la sala, ma sbagliano. Hanno visto la cosa meno accessibile, e si perdono la chicca della giornata (per quanto, in effetti, il grado di accessibilità non sia cresciuto molto…).

Il film, come si diceva, è la somma di tre parti: Bateau Givre di Jean Rouch, Hans Majestät Statsisbrytaren Frej di Titte Törnroth e Histoires de Glace di Raoul Ruiz. Tre documentari che raccontano quell'affascinante viaggio. Ideato e realizzato sotto la direzione artistica di Pascal Emmanuel Gallet (a cui la giornata è stata dedicata, con la dicitura: "che ideò, promosse e coordinò l'impresa - e che ancora la ricorda con comprensibile emozione"), il film offre un'interpretazione "a metà tra documentario e finzione fantastica", come dissero i critici dell'epoca. Finzione che compare prevalentemente nell'ultima tranche, quella a firma Ruiz. I primi 35 minuti, di Jean Rouch, vedono la nave Frej tra i bianchi paesaggi artici del mare di Botnia: la si vede impegnata nel suo rituale lavoro, fendere le distese ghiacciate per consentire la navigazione alle altri navi in quelle zone altrimenti inaccessibili. Splendide le sequenze delle navi al traino, o delle petroliere (una delle quali sinistramente chiamata "Black sea") in attesa della conclusione del lavoro della "brise-glace". Se nella parte mediana curata da Törnroth - durata: 20 minuti - protagonisti assoluti sono i marinai, coloro che guidano la nave nel suo lavoro quotidiano (e riappare la parola, dopo la prima mezz'ora silenziosa), è coi 34 minuti finali di Ruiz che il documentario lascia il posto alla finzione filmica. Trasfigurata, la rompi-ghiaccio diventa oggetto della personalissima visione dell'autore cileno, e agisce quasi come un vascello fantasma: l'opera è completa, la missione della rompighiaccio immortalata per i posteri. L'esperienza della visione di Brise-glace. Le paysage blanc è senz'altro impegnativa, ma lascia una sensazione di appagamento particolare. Perdersi completamente nei ghiacci, quasi ipnotizzati dal bianco, cullati dal rumore monotòno e incessante della nave…

L'unica nota amara viene alla fine quando, alzandosi dalla poltrona, viene da pensare: quei ghiacci si saranno già sciolti? In questi vent'anni quanti danni abbiamo fatto al clima? Una missione della Frej oggi, filmata, cosa ci mostrerebbe?

Domande, al momento, senza risposta.

 
 
 
 
 
 
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