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Vedere per credere
di Carlo Griseri
View 8 si è concluso. L'edizione 2007 della più importante manifestazione italiana dedicata alla computer grafica (il cui nome completo da quest'anno è Virtual Interactive Emercing World) si è svolta dal 6 al 9 novembre a Torino e ha portato nel "Bel Paese" alcuni tra i maggiori esperti mondiali del settore. Tra le molte celebrità presenti, è doveroso segnalare i quattro vincitori di premi Oscar invitati: Glenn Entis, tra i fondatori della Dreamworks Pictures; Christophe Hery della Industrial Light and Magic; Grant Major della Weta Digital e Ken Perlin, inventore dell'algoritmo omonimo - utilizzato per simulare fenomeni naturali e paesaggi.
L'evento - anticipato nel mese di ottobre dalla straordinaria anteprima di Ratatouille, di cui abbiamo già parlato nella recensione - ha preso il via con un altro eccezionale appuntamento, denominato Elephant's Night. Un'intera serata dedicata all'animazione, con due film anch'essi in anteprima ed entrambi con protagonisti elefanti.
Khan Kluay - Courage comes from the heart, il primo lungometraggio in 3D di produzione interamente tailandese a cura della Kantana Animation, e, a seguire, il norvegese Free Jimmy, il più costoso prodotto della cinematografia del Paese (circa 16 milioni di euro), scritto e diretto dall'artista del fumetto underground Christopher Nielsen, presente in sala. Il film asiatico è diretto essenzialmente a un pubblico infantile, con una storia semplice e personaggi disegnati con tratti molto rotondi: un risultato più che sufficiente, qualche sana risata ma anche poche aspettative. Diverso il discorso per il film scandinavo, irriverente e decisamente "per adulti": un elefante tossico viene sequestrato da alcuni sbandati che vogliono recuperarlo per vendere la droga all'interno dell'animale. Un plot poco convenzionale, uno svolgimento quasi "a episodi" che ha incuriosito, ma non del tutto conquistato.
Il resto di View si è svolto all'interno del Centro Congressi Torino Incontra, per l'occasione interamente riservato al virtuale: addentrarsi tra le varie sale e nei corridoi è equivalso a entrare in un mondo nuovo, dominato da regole tutte sue. E così è stato possibile interagire con le macchine e con i software che rendono magici i film d'animazione, oppure addentrarsi nello spazio di pochi passi nella storia recente del videogame (con la possibilità ormai unica di fermarsi a giocare con uno Spectrum a Space Invaders o a Pac-Man col Commodore 64!). Una quattro giorni di incontri che ha visto seguire gli appuntamenti da addetti ai lavori e appassionati (non nascondo che in alcuni momenti mi sono sentito perso, circondato da persone che parlavano una lingua "altra") e che ha avuto il suo momento più alto nella sua conclusione. Sul palco di View, infatti, uno accanto all'altra, erano seduti Bruno Bozzetto - maestro assoluto dell'animazione italiana - e Sharon Calahan - direttrice della fotografia e delle luci della Pixar. Prima delle parole, è stato mostrato al pubblico l'esordio di Bozzetto nell'animazione 3D, un cortometraggio intitolato Looo. Dedicato espressamente alla Pixar, e vedendolo si capisce il perché, il lavoro è solo un abbozzo. "Non è un bel film", ha detto l'autore presentandolo, e non gli si può dare torto: un corto che non si avvicina neanche lontanamente alla "qualità Pixar", come ironicamente ammette uno degli interpreti di Looo. "Una qualità - ha detto Bozzetto nel suo intervento - che è ormai arte: uscendo dalla sala, dopo aver visto Ratatouille, per la prima volta ho portato a casa immagini in 3D indimenticabili, che rimarranno nella mia memoria per sempre. Hanno saputo trasformare cose banali in cose magiche". Gran parte del merito di questo risultato, spiega l'artista, va al lavoro di Sharon Calahan - già artefice di alcuni dei migliori lavori Pixar: Toy Story 1 e 2, A bug's lige, Alla ricerca di Nemo.
La "dea dell'illuminazione", così viene presentata. "Quando inizio un nuovo film - ha esordito - voglio sempre fare qualcosa di diverso, entrare nella mente del regista. Non ho particolari conoscenze tecniche, ma ne ho sufficienza per far fare ai disegnatori ciò che voglio!". Per preparare Ratatouille è stato necessario un lungo sopralluogo parigino. "Sono stata lì per alcune settimane, girando tra storici ristoranti e antiche cucine. Il lavoro di indagine è stato affascinante, ho fotografato cose assurde - come lampioni e segnali stradali! - ho fatto centinaia di foto a cibo, e anche il tour delle fogne parigine. Ho scoperto con stupore che c'è molta gente che paga per farlo, ci sono delle guide apposite e vendono anche i souvenir delle fogne!". Girare Parigi di giorno e di notte, con il sole e con la pioggia, per potersi "meravigliare per come la luce sappia ballare sugli oggetti, sui palazzi, sui tantissimi alberi della città. Parigi è così vivace, volevamo catturare l'atmosfera umida che si ha dopo la pioggia, l'illuminazione dei negozi al calar del sole. Ho fatto a piedi tutte le scale della Tour Eiffel per vedere l'effetto che faceva". Un soggiorno che ha fruttato migliaia di fotografie, "ognuna delle quali mi rievocava anche gli odori dei luoghi e le sensazioni provate", un lavoro impossibile da evitare. Ma se volete fare un complimento sincero a Sharon Calahan, non ditele mai che la Parigi di Ratatouille "sembra vera". "Mi fa piacere, lo ammetto, ma ciò per cui ho fatto tanto lavoro è sentir dire dal pubblico che quella Parigi, la mia Parigi, sembra un dipinto! Volevo qualcosa di più di una cartolina".
Per rendere al meglio i piatti cucinati dal ristorante Gusteau's, Calahan si è anche iscritta a un corso di cucina. "Rappresentare il cibo è stata la vera sfida, per tutto lo staff del film: si tratta di superfici complesse, abbiamo visionato moltissime foto notando come prima cosa che avevano sempre una luce soffusa per diminuire la sensazione di freddo, il risultato finale doveva essere appetitoso per i protagonisti, doveva essere attraente". Un'altra volta, scrupolosa attenzione ai particolari: "Gli effetti traslucidi della frutta, ad esempio, ci hanno fatto impazzire, anche se le difficoltà maggiori in assoluto le abbiamo avute dall'effetto della crosta del pane e dalle salse!". Ratatouille, dopo tutto questo lavoro, ha saputo stupire il mondo. "L'unicità del lavoro si ottiene prendendo dei rischi - ha dichiarato in conclusione Sharon Calahan - e sperimentando. La luce nei film non deve mai dire "guarda me". Ho seguito l'esempio dei migliori direttori della fotografia di sempre, cercando di riprendere alcun scene storiche che mi hanno colpita - come la luce con cui è inquadrata Sean Young in Blade Runner, nella scena dell'interrogatorio. Ho usato tutte le procedure tipiche dei film, volevo essere sicura che raggiungessimo il nostro scopo". L'obiettivo era "sfruttare tutto il potenziale del cinema digitale, pur avendo tempistiche molto strette". In conclusione dell'intervento, dopo gli applausi di rito, c'è stato anche lo spazio per le curiosità del pubblico. Sharon ha ammesso che la moto di Colette, nel film, porta il suo nome: "Mi è venuto spontaneo, mi sono divertita a inserire i nomi dello staff qua e là nella pellicola. Il mio cognome è finito sulla moto: è sempre stato il mio sogno!".
A questo punto è davvero tutto finito, il direttore dell'evento Maria Elena Gutierrez saluta la platea e dà a tutti appuntamento al prossimo anno, per l'edizione numero 9. Sempre guardando al futuro.
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