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Ricordare Elio
di Carlo Griseri
"Vorrei un mondo di uguali. Mi rendo conto che in una società di massa, che ha bisogno di industrie e di strutture verticali, questo è impossibile. Il problema, quindi, è cambiarne i fini". "Nessuno vuole ammettere che un falegname va pagato quanto un professore di università: ciò potrà sembrare mostruoso al professore, ma alla nostra vita sono indispensabili sia il professore sia il falegname".
Si intitola "Lucidità inquieta" la mostra fotografica che il Museo Nazionale del Cinema propone - dal 14 settembre al 4 novembre - dedicata alla vita e all'opera di Elio Petri. La mostra, allestita nel suggestivo spazio dell'Aula del Tempio, è stata curata dalla vedova Paola Pegoraro Petri con la collaborazione di Roberta Basano: costituita da 90 fotografie in bianco e nero, provenienti dal vasto archivio privato del regista, racconta in un percorso cronologico il suo modo di lavorare, di stare sul set, i rapporti profondi e singolari con attori e attrici; immagini di scena e dietro le quinte, alcune delle quali poco note se non addirittura inedite.
Tra le immagini, a commentare una vita, sono inserite alcune citazioni dello stesso regista: una scelta che conferma, se ce ne fosse ancora bisogno, lo spessore culturale del personaggio e la sua passione.
"Sono trascorsi venticinque anni dalla prematura scomparsa di Elio Petri", ha esordito il direttore del Museo, Alberto Barbera, nel presentare l'evento. "Nei suoi confronti il plebiscito ottenuto presso il pubblico da molti dei suoi film più famosi fu inversamente proporzionale agli apprezzamenti di una critica che, con poche eccezioni, ne fece il bersaglio preferito di una battaglia ideologica dalle premesse alquanto discutibili, il prototipo di tutto quanto andava evitato al cinema in quel momento". Un personaggio, come lo stesso Barbera lo ha definito, forse "troppo radicale per la sinistra moderata e troppo moderato per la sinistra estrema".
È così che la mostra si propone anche di dare visibilità ad un'opera quasi misconosciuta che era necessario rivalutare.
All'origine dell'allestimento, la decisione della vedova Petri di donare al Museo Nazionale del Cinema il suo intero archivio. Una selezione di documenti e dichiarazioni - di cui si dà testimonianza anche nel catalogo - che si dispongono "come una sorta di ideale, sommaria ma non per questo insignificante traccia per una biografia estetica, umana e intellettuale del regista, (...) quasi una mappa dei punti di riferimento essenziali per orientarsi nell'arcipelago della sua vita e delle sue opere". Una decisione presa sorprendendo molti ("In tanti mi hanno chiesto: perchè Torino? Elio era di Roma", ha confidato la vedova), ma con molta naturalezza. "Questa città in fondo è la culla del cinema, no? Sono sicura che sia giusto lasciare qui la sua eredità artistica", ha detto.
L'archivio privato di Elio Petri è costituito da numerosi documenti, sceneggiature, oltre 500 fotografie, appunti, premi e la ricchissima corrispondenza del regista. Oltre a contribuire ad evitarne la possibile dispersione, il museo si è impegnato a procedere, come di consueto, ad un immediato lavoro di catalogazione e inventariazione, proseguendo così nel suo ruolo di centro di conservazione del patrimonio cinematografico.
Nato a Roma nel 1929, Petri arriva al cinema grazie all'incontro con Giuseppe De Santis, nel 1951, che lo fece esordire nel mondo del cinema collaborando come sceneggiatore (non accreditato) e aiuto regista per il film Roma ore 11. E così, parallelamente all'iniziativa cinematografica, è stata organizzata anche una serata speciale in cui è andato in scena lo spettacolo Roma ore 11. Interpretato da Natalia Magni, Manuela Mandracchia, Alvia Reale e Mariangeles Torres, è tratto dall'inchiesta che Petri realizzò per il film omonimo sulla disgrazia di via Savoia del 1951 (77 ragazze ferite e una morta per l'improvviso crollo di una scalinata su cui stavano aspettando di poter fare un colloquio per un posto da dattilografa: l'annuncio era mirato a selezionare solo persone con "miti pretese"). Un evento che colpì molto Petri, e che segnò l'inizio della sua carriera.
All'età di trentadue anni, gira il suo primo lungometraggio, L'assassino, e nel 1962 con I giorni contati vince il Festival di Mar de la Plata. A ciascuno il suo, ispirato al romanzo di Leonardo Sciascia, segna l'inizio della felice collaborazione con l'attore Gian Maria Volonté, con lo sceneggiatore Ugo Pirro e con il direttore della fotografia Luigi Kuveiller. Nel 1970 realizza il film denuncia sul potere della polizia Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (premio Oscar come miglior film straniero e premio speciale della giuria al Festival di Cannes) e, nel 1971, La classe operaia va in paradiso (Palma d'Oro al Festival di Cannes ex aequo con Il caso Mattei di Francesco Rosi). Sedici in tutto i suoi lavori: undici lungometraggi, quattro corti e un film per la tv.
Elio Petri muore a Roma il 10 novembre 1982 prima di riuscire a girare il film Chi illumina la grande notte.
Sollecitata dalle domande dei presenti, Paola Petri conclude la cerimonia di inaugurazione auspicando che "il cinema italiano nel prossimo futuro ritorni in parte a quella descrizione della realtà segno della cinematografia di Elio". Una cinematografia degnamente celebrata in quest'occasione anche con un'intera retrospettiva nelle sale del cinema Massimo, comprensiva di tutti i suoi lavori e anche di un documentario realizzato nel 2000 dai giovani registi Federico Bacci, Nicola Guarnirei e Stefano Leone. "La scelta delle foto della mostra - ha scritto Paola Petri nel catalogo - è stata fatta anche tenendo conto della sua riservatezza. Sono fotografie di lavoro, di allegria nel lavoro, di fatica nel lavoro. Sono le foto di un regista, ma soprattutto di una persona al di sopra di ogni sospetto
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