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Merica! Merica!
di Carlo Griseri
La giuria dello Jonio Educational Film Festival, composta da oltre 100 studenti universitari e presieduta dal regista Giuseppe Ferrara, ha assegnato il primo premio JEFF 2007 - Doc Real al documentario Merica! di Federico Ferrone, Michele Manzolini e Francesco Ragazzi.
Girato tra il Brasile e il Veneto (Verona, Treviso, Espirito Santo, Rio de Janeiro), è stato diretto da tre amici non ancora trentenni (Ferrone è del 1981, gli altri del 1980) interessati ad approfondire il tema dell'emigrazione di ritorno. "L'idea di questo documentario - dichiarano essi stessi nelle note di regia che accompagnano il film - è nata dalla volontà di un'analisi seria sull'immigrazione in Italia, qualcosa che andasse al di là degli slogan allarmistici e dei tanti luoghi comuni sugli immigrati". L'Italia, aggiungono, è "uno dei pochi Paesi al mondo che ha conosciuto un'emigrazione di massa e che dopo meno di un secolo si è trovata a dover accogliere grandi flussi di immigrati alla ricerca di migliori condizioni di vita". Un'analisi del fenomeno poteva quindi partire da un parallelo con il fenomeno dell'emigrazione tricolore in Brasile - considerato il Paese del futuro cento anni fa e che oggi vede molti suoi "figli" partire per lidi più ricchi e prosperi. "Molti dei brasiliani che oggi partono per l'Italia possiedono un passaporto italiano: sono i famosi immigrati di rientro, un fenomeno di cui i media parlano pochissimo. La loro speranza di essere accolti come cittadini a pieno titolo è spesso destinata a scontrarsi con un Paese che fatica a integrare chi viene da fuori. Come tutti gli altri, anch'essi soffrono l'ostilità riservata agli indesiderati, costretti a lunghi percorsi burocratici, a un lavoro precario e al razzismo".
Abbiamo raggiunto i tre registi per approfondire l'argomento.
Come vi siete avvicinati a questo lavoro?
All'origine di Merica! c'è un altro documentario, Banliyo-Banlieue, girato da Federico Ferrone, Francesco Ragazzi e Constance Rivière nel 2004 nella comunità turca di Montereau-Fault-Yonne, città alla periferia di Parigi. Il film, che precedeva di un anno l'esplosione delle violenze nella banlieue parigina, venne premiato al Festival Videopolis di Padova nel 2005. Grazie a quel premio, al finanziamento della Regione Veneto e alla produzione della Mithril Production, è stato possibile girare il nuovo documentario, la cui lavorazione è iniziata nel marzo del 2006.
Come sono stati scelti i protagonisti?
La scelta dei personaggi è avvenuta, per quanto riguarda la parte veneta, dopo due mesi di ricerche e interviste sul luogo. Abbiamo ridotto molto il numero di personaggi in sede di montaggio perchè ci sembrava che fosse più efficace concentrarci su un numero ridotto di storie di immigrazione, limitando anche le interviste istituzionali che sarebbero risultate inevitabilmente un po' costruite. Abbiamo quindi deciso di mostrare sia giovani (come nel caso di Ernesto França Antunes e della coppia Tiago-Kezia de Oliveira) che meno giovani (come Idiwaldo Francescon, il portiere di notte, e la moglie), sia di italo-brasiliani, che di brasiliani senza origine italiana. Per quanto riguarda la parte in Brasile, abbiamo effettuato un lavoro preparatorio "a distanza" molto accurato, che partiva dall'esperienza di Michele, che ha vissuto a Rio de Janeiro e lavorato nel consolato d'Italia, e conosceva quindi la situazione degli italo-brasiliani nello stato di Espirito Santo. Dopo aver contattato da casa molte associazioni italiane del luogo - che ci hanno quasi sempre risposto con grande disponibilità - la scelta dei personaggi è però avvenuta una volta arrivati in Brasile, grazie all'aiuto decisivo di istituzioni locali. Ad esempio l'Archivio Pubblico di Stato di Vitoria, i cui direttori Agostino Lazzaro e Cilmar Franceschetto, due tra i più grandi esperti di immigrazione italiana in Brasile, ci hanno fatto al contempo da guide, consulenti e location manager, aprendoci le porte dell'archivio e indicandoci luoghi e persone che avrebbero potuto interessarci. In totale abbiamo girato circa 60 ore di materiale per 65 minuti di film. Almeno la metà di queste ore contenevano interviste, solo per far capire quanto siamo stati costretti a tagliare!
Non è un caso, credo, che l'unico immigrato in tutto il documentario a parlare sempre in italiano fluente sia l'unico a non avere origini italiane: cosa significa ciò?
E' vero: l'unico, tra i brasiliani che vivono in Italia che appaiono nel montaggio, a parlare italiano in maniera fluente è Ernesto França Antunes, che è anche l'unico che non ha origini italiane. Ce ne siamo accorti in corso d'opera: non volevamo dimostrare niente, anche se, nel suo caso, il fatto di arrivare in Italia senza quel carico di sogni e illusioni che è tipico degli italo-brasiliani (oltre alla sua personale intelligenza e la sua grande curiosità) lo ha probabilmente facilitato nel tentativo di integrarsi e di apprezzare la sua nuova vita in Italia e studiarne così attentamente la cultura malgrado le difficoltà. Per chi invece arriva credendo di essere "riabbracciato" dalla Madre patria (termine ambiguo, ovviamente), la delusione è più forte e la difficoltà ad integrarsi con gli italiani del posto e impararne la lingua, vista anche la diffidenza di questi ultimi, è ancora maggiore.
L'esperienza di ripresa in Brasile, a stretto contatto con così tante persone e storie di vita, avrà lasciato in voi innumerevoli sensazioni, molte delle quali confluite nel documentario. C'è qualcosa che ne è rimasto "fuori"?
Una delle cose più forti del nostro viaggio in Brasile è stato il calore e la disponibilità con cui siamo stati accolti dalle comunità di origine italiana e dalle associazioni culturali italo- brasiliane. Abbiamo dovuto rinunciare a malincuore a diverse ore di interviste interessanti, ma che purtroppo ci avrebbero un po' sviato dall'obiettivo del film.
Largo spazio - nella parte italiana del documentario - è lasciato a Giancarlo Gentilini, ex sindaco leghista di Treviso, e alle sue idee nazionaliste e xenofobe. Quale l'obiettivo di tale scelta che può sembrare fuori contesto?
Gentilini è certo un personaggio esuberante, esagerato nelle sue prese di posizioni estreme, ma dall'altra parte è stato eletto per due volte come sindaco di Treviso e l'attuale primo cittadino è un suo ex fedele collaboratore. Quello che dice è quindi condiviso da un grande numero di trevigiani, di veneti e probabilmente di italiani in generale. Per noi, l'interesse dell'intervista con Gentilini risiedeva in un fatto paradossale: la Destra italiana è sempre stata la forza politica che più ha spinto sul tema degli italiani all'estero e che più ha fatto per generare attenzione del Governo italiano su queste popolazioni, sostenendo organizzazioni di emigrati, addirittura organizzando politicamente gruppi di italiani (in Germania, ad esempio) per ottenere il voto degli immigrati alle elezioni locali. Quando si tratta, invece, di immigrati extra-comunitari in Italia il discorso è capovolto: questo è reso possibile solo se, come lo fa in modo teatrale Gentilini, si spiega che l'emigrato italiano è diverso dell'emigrato albanese o marocchino; solo se si presuppone che uno porta la 'civilizzazione' e l'altro la barbarie. La nostra scommessa, mettendo in parallelo emigrazione e immigrazione in Italia, è proprio stata quella di fare vedere che è la condizione stessa del migrante - e non quella dalla provenienza, dell'appartenenza religiosa o culturale - che costituisce il punto di partenza di tutti i problemi. E' una condizione che indebolisce profondamente chi la vive. Partendo da lì, facendo precisamente vedere quello che succedeva quando l'emigrato italiano diventava immigrato nella propria patria, cioè vedendo come si chiude questo cerchio della migrazione, abbiamo voluto smascherare l'ipocrisia di chi la pensa come Gentilini. Cioè: facendo vedere le discriminazioni che vengono subite - discriminazioni e difficoltà che sono identiche a quelle di tutti gli altri immigrati - si annulla il discorso di Gentilini o di chi è d'accordo con lui. E' ben rispondendo ai vari Gentilini si fa capire l'assurdità delle loro posizioni, non ignorandole. E' assurdo che un popolo che ha tanto sofferto mentre emigrava in tutto il mondo abbia così tanta difficoltà ad accettare chi viene da fuori.
Nelle note di regia di Merica! scrivete: "Dopo le elezioni 2006 all'improvviso l'Italia sembra aver scoperto la loro esistenza (degli italiani all'estero) ma il quadro che se ne dà è spesso approssimativo se non addirittura inventato". Da cosa è dipeso questo lungo oblio secondo voi?
Le ragioni dell'oblio sono probabilmente da cercare in vari luoghi. Sicuramente, l'idea che a emigrare era una popolazione principalmente legata al fascismo o alla destra in generale - idea sbagliata, come si è rivelato alle elezioni - ha giocato un ruolo importante. Dall'altra parte, bisogna notare l'importanza dell'assenza di mezzi di comunicazioni efficaci come quelli che esistono adesso (e-mail, skype, voli low-cost ecc...), cioè mezzi che permettano agli emigrati di non farsi dimenticare e di mantenere un legame forte con la loro società di provenienza. Sempre di più, poi, le politiche dell'appartenenza non si basano sul vivere insieme, ma su criteri che non hanno un legame diretto con la presenza su un territorio: religione, 'etnia', cultura... Gli italiani all'estero tornano ad essere importanti nell'immaginario nazionale quando si cercano modi di escludere, nelle basi stesse del contratto sociale, gli immigrati che vivono in Italia da ormai 30 anni che parlano perfettamente italiano, che pagano le tasse come tutti e che hanno voglia di fare parte della società italiana. La nostra volontà era quella di fare vedere come queste due questioni (italiani all'estero e stranieri in Italia) siano in realtà legate.
Nella carriera di tutti e tre, bene o male, sono presenti anche altre esperienze nel mondo dell'emigrazione italiana (in Tunisia e negli Stati Uniti): avete riscontrato divergenze in tali esperienze rispetto a ciò che avete visto in Brasile?
Domanda difficile. L'immigrazione italiana in Tunisia (Federico Ferrone ha lavorato sulle comunità italiane in Tunisia per la sua tesi, NdI) è ormai un fatto numericamente molto ridotto, visto che quasi tutti sono rientrati in Italia già nel dopoguerra oppure sono stati "naturalizzati", francesi prima (già dagli anni'20), tunisini poi (dal 1956). Del caso statunitense (Francesco Ragazzi sta finendo il suo dottorato a Chicago su temi migratori, NdI), direi che in generale la stragrande maggioranza degli italo-americani, vista anche la grande crescita economica, sono ormai perfettamente integrati, trattandosi anche di una immigrazione spesso ormai vecchia di 5 generazioni. Esiste naturalmente, in alcuni casi, un grande attaccamento culturale, spesso "riscoperto" di recente, ma non c'è certo quel desiderio di emigrare in Italia che troviamo in Brasile o in Argentina. In Brasile (Michele Malzolini ha vissuto e lavorato per circa 2 anni e ha una nonna nata lì, NdI), anche se la prima ondata risale al 1875 circa, le difficili condizioni economiche e un certo isolamento geografico nel caso dello stato di Espirito Santo ed anche di quello di Rio Grande do Sul, hanno fatto sì che sia rimasto un attaccamento molto forte all'Italia e soprattutto un forte desiderio di emigrare per molti. Anche per i Brasiliani, dopo tanti anni, l'italianità è spesso un valore riscoperto (e lo diciamo non in senso dispregiativo ma solo cronologico), soprattutto a livello di lingua, sebbene alcune usanze, come i cognomi, i toponimi e altri segni di appartenenza siano sopravvissute.
Lavorare a sei mani non deve essere stato semplice: come vi siete divisi il lavoro?
Questa è una domanda a cui, anche a distanza di mesi, non riusciamo bene a rispondere. C'è stata pochissima divisione del lavoro, il che può sembrare assurdo, ma di fatto ciascuno di noi ha partecipato ad ogni singola fase della lavorazione: ricerche, scrittura del progetto, interviste, riprese e montaggio. La presenza di Jaime Palomo Cousido, direttore della fotografia ed anche montatore, è stata poi fondamentale per filtrare e ordinare i nostri contributi.
Quale sarà il futuro di Merica! (specie dopo il premio vinto)?
Per documentari a piccolo budget come il nostro il cammino è più complesso e lungo che per un grande film. Sono importantissimi i festival, e Merica! è stato presentato per la prima volta, nella sua forma attuale, solo in Maggio al Tekfestival di Roma. Da allora è stato selezionato in 8 festival e stiamo organizzando alcune proiezioni singole in alcuni cinema italiani. Il premio ricevuto al JEFF è per noi molto importante perché si parli un po' del film, noi speriamo che ce ne siano altri e magari qualche selezione anche in festival internazionali. Quando poi sarà passato un anno dal primo festival tireremo le somme e valuteremo insieme alla Mithril Production come proporlo alle televisioni o se fare una versione dvd. Oltre all'Italia, siamo certi che il film possa interessare altri paesi, il Brasile in primis. Quanto all'uscita in sala, realisticamente, visto anche il basso numero di documentari distribuiti in Italia, ci pare improbabile. Ma chissà...
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