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Speciale del 29 07 2007

 
 
 
 
 
 
 
 
 
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Speciale

Vento, intolleranza e indipendenza

di Alice Trippolini

Un piccolo miracolo di produzione indipendente. Non solo: un film emozionante, di quelli che non si vedono spesso. Probabilmente perché vedendolo si percepisce, dalle immagini e dai volti delle persone sullo schermo, qualcosa che va oltre un'opera audiovisiva: la condivisione di una storia, di un passato, di un mondo che quasi non esiste più. Il vento fa il suo giro, film d'esordio di Giorgio Diritti, è un'opera anomala, sperimentale e coraggiosa. Prima di tutto perché è interamente girato in digitale e autoprodotto. Un film talmente indipendente che non ha un distributore ufficiale e sta girando il mondo e l'Italia per farsi conoscere. Qui a Perugia è passato per caso, il giorno prima lo hanno visto a Firenze, la scorsa settimana era al Nuovo Sacher. Come spesso accade agli esordienti italiani degli ultimi anni, le loro opere prime vengono selezionate per partecipare a prestigiosi festival nazionali e internazionali, senza che poi nessuno abbia il coraggio di investirci su una somma per farlo arrivare in sala.

Il vento fa il suo giro ha avuto la stessa sorte. Passato, tra gli altri, al London Film Festival, Lisbon Village Film Festival, Bergamo Film Meeting, Annecy Cinema Italien e Napoli Film Festival, dovete avere fortuna per trovarlo in qualche sperduta arena estiva di città. C'è da dire che Diritti ha deciso di iniziare con un film difficile: Il vento fa il suo giro è un film girato nelle valli occitane del Piemonte, che mescola francese, italiano e dialetto occitano. Il titolo in occitano è E l'aura fai son vir, originato da un detto popolare che considera il percorso del vento come lo stesso della vita: alla fine tutto torna al punto di partenza. I protagonisti principali, Thierry Toscan e Alessandra Agosti, hanno già avuto qualche esperienza nel mondo del cinema, mentre il resto del cast è composto da non professionisti, tra cui abitanti del luogo che hanno prestato faccia, casa, animali e un pezzo di vita quotidiana. La storia è quella di Philippe (Thierry Toscan), professore francese che decide di abbandonare la carriera e la vita comoda di città per trasferirsi a Chersogno, un paesino di montagna. Philippe e la sua famiglia arrivano a Chersogno per fare i pastori, ma non sono benvisti dalla popolazione locale, che cerca di cacciarli. Gli abitanti di Chersogno li trattano da invasori, li isolano e non sopportano vederli 'toccare' i loro luoghi: la legna, le pecore, la terra e tutto il resto. Alla fine dovranno andarsene, non prima di aver causato una tragedia.

Un film durissimo, che racconta la difficoltà di adattamento alla natura, ma soprattutto la diffidenza e l'intolleranza verso lo 'straniero', cioè colui che non è cresciuto qui e non conosce la comunità, con le sue leggi non scritte e le su regole immutabili. Duro, ma non abbastanza, secondo quello che ha raccontato il protagonista Thierry Toscan, ospite a Perugia per presentare la pellicola: "Nel marzo di quest'anno abbiamo fatto una proiezione straordinaria a Chersogno, all'interno di una bellissima chiesa sconsacrata. La proiezione era dedicata alle comparse e a tutti coloro che hanno partecipato alla lavorazione. Gli abitanti del paese non si allontanano quasi mai da lì e sarebbe stato impossibile per loro vedere il film. Eravamo preoccupati, perché nella storia la comunità occitana non fa una bella figura. Temevamo che si sentissero offesi e ci considerassero degli ingrati. Invece, hanno approvato la nostra visione, precisando che siamo stati troppo buoni. La realtà è anche peggio". Thierry Toscan è un ex scenografo che negli ultimi anni ha recitato in diverse produzioni, televisive e cinematografiche. Di origine francese, anche lui vive in uno sperduto paesino di montagna in Veneto, ai piedi del monte Grappa, e ha vissuto sulla sua pelle le difficoltà di Philippe. "Dato che il film si ispira ad una storia vera, avrei dovuto incontrare il vero Philippe, ma non c'è stato modo. Mi sono basato sulla mia esperienza personale, dato che anche io sono italiano di adozione e mi ci è voluto del tempo per farmi accettare. Sono arrivato nel mio paese all'età di 22 anni e per anni non mi hanno accettato. In Francia a 18 anni ti buttano fuori di casa, mentre qui non succede. Per loro era inconcepibile che un ragazzo vivesse da solo e facesse quello che voleva a 22 anni". Thierry però ha tenuto duro e non si è fatto cacciare. "Quando i miei genitori si sono trasferiti nel pesino e li ho addirittura ospitati, è stato un affronto. La gente del pese conosceva mio padre, originario del posto, e non poteva concepire che avesse un figlio come me. Solo ora hanno capito che non sono un poco di buono solo perché lavoro nel cinema e mi considerano uno di loro: vengo sempre coinvolto nelle iniziative della comunità, ma c'è ancora qualcuno che non si fida".

Per Alessandra Agosti l'esperienza è stata completamente diversa. Figlia di Silvano Agosti, Alessandra è pianista e vive a Montpellier. La sua esperienza con il cinema è limitata la film Al primo soffio di vento, dell'amico di famiglia Franco Piavoli. "Giorgio ha visto il film di Franco Piavoli, dove interpretavo la figlia pianista del protagonista. Non avevo battute, era un piccolo ruolo di sfondo, ma Giorgio è rimasto molto colpito e mi ha contattato. Questa esperienza mi è piaciuta e mi ha fatto crescere molto come persona, ma non è il mio lavoro. Il tempo che io passo a studiare per un concerto, sul set è solo attesa. Mi sembrava solo di aspettare". Entrambi gli attori concordano nel descrivere la lavorazione, o meglio, la creazione di questo film, come un viaggio che li ha cambiati. Tutta la troupe si è immersa nel mondo di Chersogno per tutto il tempo necessario a girare: circa un anno, tra pause e riprese, per avere tutte le stagioni presenti nel film. "Giorgio è entrato in questa valle cercando di conoscerne ogni angolo - spiega Alessandra - Ha intervistato tutti e anche gli abitanti delle valli limitrofe sono venuti a vedere, partecipando attivamente. Ci hanno prestato i loro trattori, le pecore, dandoci anche da mangiare". Ad ascoltarli mentre raccontano la lavorazione, sembra di esserci. Vedendo il film tutto questo si percepisce: "Gli abitanti ci hanno messo il cuore, perché non sapevano bene cosa sarebbe venuto fuori - dice Thierry - pensavano fosse una specie di documentario. Invece, finita la proiezione straordinaria, sono rimasti di stupiti. Non avevano capito che fosse un 'vero' film e si sono guardati con occhi diversi, quasi con vergogna: come se, attraverso lo schermo, avessero scoperto una parte nascosta della loro vita". Una storia di intolleranza, che nasconde una grande apertura. All'arrivo dei titoli di coda, la sensazione paradossale che nasce nello spettatore è una gran voglia di trasferirsi in un paesino sperduto, nel tentativo di guadagnarsi la benevolenza degli abitanti. "Dopo aver visto i documentari che ho girato sul mio paese - racconta ancora Thierry - chi mi considerava una specie di zingaro si è ricreduto e ha visto il rispetto che porto a quei luoghi. Io li capisco e penso che abbiano ragione ad essere diffidenti. È una precauzione: quel posto è fantastico e loro, essendo nati lì, ci tengono molto. Quello che mi piace de Il vento fa il suo giro è proprio questo: alla fine non si sa chi ha sbagliato davvero e i due punti di vista, di Philippe e degli abitanti di Chersogno, hanno lo stesso valore".

 
 
 
 
 
 
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