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Speciale

GLBT 2007: visioni da ricordare

di Carlo Griseri

E' già passato un mese dalla mia "prima volta" al Turin Gay, Lesbian, Bisexual & Transgender Film Festival (d'ora in poi, semplicemente GLBT). Una settimana di emozioni, di film inattesi, di scoperte uniche, finita con poche delusioni e qualche rimpianto. L'edizione 2007 del Festival, la 22^ della sua storia, è stata dedicata all'opera di alcuni personaggi di riferimento della cultura GLBT: in primis Kenneth Anger, che - cito dalla prefazione del catalogo - "ha saputo dare col suo cinema qualcosa che va al di là del "genere"". Oltre ad Anger, omaggi sparsi agli spaghetti western con tematica omosessuale, ad Andy Warhol nel ventennale della morte, all'artista Usa Ron Athey, allo Studio 54, al francese Philippe Vallois e all'archivio smisurato della critica e storica Jenny Olson. Devo ammettere fin da subito che, dovendo selezionare cosa vedere, ho dato preferenza ai film in concorso, in qualche caso confortato dalla loro bellezza e in altri poi amaramente deluso. Così ho saltato i corti, dedicandomi a 10 lunghi su 14 e 4 documentari su 8 in concorso: avrò scelto male o è stata solo sfortuna se a conti fatti non ho "beccato" nessuno dei tre premiati dalle giurie e solo due dei preferiti del pubblico? Sarà, in ogni caso sono tornato a casa estremamente soddisfatto per quanto visto e per quanto scoperto in quei giorni.

Le mie visioni per ogni giorno di programmazione

Giovedì 19: giorno dell'apertura prevista - come per la chiusura - non nella nuova bellissima cornice del cinema Ambrosio, che ha ospitato meravigliosamente tutta la "kermesse", ma nella sala grande del cinema Ideal, in grado di ospitare un maggior numero di persone per l'evento. Dopo la consueta cornice dedicata alle presentazioni di ospiti eccellenti (politici e Crustaces et Coquillagesnon) e al riassunto del programma, la serata ha raggiunto il suo momento clou con la proiezione di Crustaces et Coquillages, film del 2005 di Olivier Ducastel e Jacques Martineau con Valeria Bruni Tedeschi e Jean Marc Barr.  Il film, che ha subito e ancora subisce evidenti problemi di distribuzione, si parla di una prossima uscita direttamente in dvd, è una divertente e scanzonata commedia che racconta la storia di una famiglia in vacanza al mare i cui membri vivono un momento di "confusione" sessuale, tra tendenze all'omosessualità e all'adulterio represse o meno, a seconda dei personaggi e dei momenti. Il tutto vissuto con leggerezza e relativa spontaneità, con momenti non-sense di ballo e canto che lasciano il pubblico divertito ma non eccessivamente conquistato.

Venerdì 20: si inizia nel pomeriggio con la visione rara di Que viva Mexico!, film incompiuto e incompleto di Sergey Ejzenstejn, datato 1933 e inserito poichè al lavoro di recupero lavorò anche Kenneth Anger. Una motivazione stiracchiata, c'è da dire, ma che permette di recuperare una pellicola poco vista, poco lineare (a metà strada tra un documentario e un film di fiction) ma interessante. Passano le ore e, dopo la breve parentesi del corto svedese I fred, in cui una mamma non sa come gestire i ""giochi di guerra" di sua figlia con un'amichetta, la serata che mi aspetta sarà quella che proporrà l'accoppiata più riuscita. Nella stessa sala, uno dopo l'altro, due tra i migliori film in concorso, The bubblel'israeliano The Bubble e l'italiano Riparo. Il primo è l'ultima fatica di Eytan Fox, un vero aficionado del festival torinese (per questo motivo ha portato a sorpresa un vecchio  e inedito cortometraggio come omaggio al "suo" pubblico, Gotta have heart: davvero una chicca). La storia di quattro ragazzi, tre israeliani e un palestinese, nella Tel Aviv di oggi, riesce a divertire e a commuovere, a far riflettere sulla tematica gay e sulle lotte interrazziali che martorizzano da troppi anni quella terra. Fox ripercorre tematiche già sviluppate, ma lo fa sempre con un tocco e una sensibilità unici. Riparo, di Marco Simon Puccioni, è invece quasi interamente costruito sulla bravura e l'affiatamento della coppia di attrici protagoniste, Antonia Liskova e Maria De Medeiros. La storia è quella di una coppia di lesbiche, l'una imprenditrice del nordest, l'altra una delle sue operaie. Tra loro un terzo incomodo, un ragazzo immigrato che entra in Italia nascondendosi clandestinamente nella loro auto, di ritorno da un viaggio in Nord Africa. La voglia di aiutare chi ha bisogno, il desiderio di essere utili a qualcuno, la paura dell'altro e le difficoltà nei rapporti tra le persone e le diverse classi sociali costituiscono la tela attraverso cui la storia delle due donne si dipana. Una piacevole scoperta, nella speranza che la Liskova possa d'ora in poi trovare al cinema la quantità di proposte che riceve per la televisione (dove è sempre più presente, in film che non sempre le rendono giustizia).

Sabato 21: un solo momento libero, purtroppo, dedicato interamente all'incontro con Gianni Amelio per lo spazio degli spaghetti western. Un incontro piacevole e interessante di cui ho già riportato in un altro speciale di Cineboom.

Domenica 22: la quantità delle pellicole viste cresce, la qualità anche, ma a fasi alterne. Oggi due film decisamente belli (Brand upon the brain!, firmato Guy Maddin, è un autentico capolavoro), due meno riusciti, uno dei quali, Schopenauer, davvero brutto. Si inizia con l'indiano Nina's Heavenly Delights, di Pratibha Parmar: una storia d'amore interrazziale a Londra, ostacolata dall'appartenenza allo stesso sesso e dalle apparentemente molto rigide regole della società indiana. Il tutto però viene raccontato con leggerezza e ironia, sullo sfondo di una quasi irreale gara televisiva tra ristoranti per il miglior piatto! Vero evento fuori concorso la pellicola di Maddin. In un'isola, uno scienziato pazzo gestisce un orfanotrofio utilizzando i bambini - o, Brand upon the brain!meglio, il loro cervello - per mantenere eternamente bella e giovane la sua autoritaria consorte. I due figli della coppia si troveranno ad affrontare esperienze non sempre piacevoli per sfuggire a un triste destino. Un'esperienza visiva unica, un film incredibile, girato in bianco e nero, ai confini dell'horror, narrato dalla calda voce fuori campo di Isabella Rossellini. Il tutto sottolineato da una colonna sonora che amplifica il pathos rendendo l'atmosfera alternativamente tesa, agghiacciante, sospesa nel vuoto, sempre in simbiosi con le immagini. Myra Breckinridge è un recupero doc. Datato 1970, tratto da un libro di Gore Vidal, vanta un cast talmente composito da essere straordinario: Raquel Welch protagonista nel ruolo di un transessuale sfrontato e divertito, Mae West, a 77 anni ancora regina e quanto mai vamp, e poi in ruoli minori Farrah Fawcett, John Huston, John Carradine. Un film simpatico e curioso, ma non certo indimenticabile. Su Schopenauer preferirei glissare, ma il dovere del buon cronista mi costringe a dire due parole: regia di Giovanni Maderna, è sicuramente la cosa più brutta vista in tutta la settimana di festival. Mal recitato, mal girato, mal scritto. Tutto qui.

Lunedì 23: la giornata si apre con il coinvolgente documentario Estrellas de la linea di Chema Rodriguez, storia di un gruppo di prostitute di un quartiere pericoloso di Guatemala City e del loro sogno di combattere i soprusi e le violenze che devono subire. Per attirare l'attenzione sulla loro condizione decidono di costituire una squadra di calcio con la quale parEstrellas de la lineatecipare a un torneo dilettantistico. Escluse anche da quella competizione per motivi "morali", decideranno di intraprendere una tournée per tutto il Paese (e anche oltre confine!) che smuoverà l'opinione pubblica. Un ritmo mai calante, personaggi peculiari e spontanei, una storia talmente unica da rendere questo prodotto imperdibile (di gran lunga il mio preferito). Il resto del programma giornaliero ha riservato due mezze delusioni: l'americano Wild tigers I have known, prodotto da Gus Van Sant, e il filippino Tuli di Auraeus Solito. Due pellicole assimilabili nell'aver promesso molto (Solito aveva vinto il festival nel 2006) ma nell'aver concesso poco a parte ritmi soporiferi e scarsa comprensibilità.

Martedì 24: giornata dedicata ai documentari, spinto dall'entusiasmo del film di Rodriguez del giorno prima. Paper Dolls dell'israeliano Tomer Heymann (vincitore qui nel 2002) racconta l'avventura dell'omonimo gruppo di drag queen attivo a Tel Aviv e costituito da immigrati Paper Dollsfilippini arrivati in Israele per fare le badanti e costantemente a rischio espulsione (il governo locale ha incoraggiato l'immigrazione dal loro Paese ma espelle immediatamente chi dovesse rimanere senza lavoro). La storia del gruppo passerà dalle cantine per le prove all'effimero successo, prima di vedere i diversi componenti separarsi a causa delle varie difficoltà della vita.  Dos patrias. Cuba y la noche vorrebbe raccontare invece la condizione degli omosessuali a Cuba attraverso i testi e le poesie di Reinaldo Arenas (la cui storia è stata raccontata anni fa da Julian Schnabel nel film Prima che sia notte). Le testimonianze si susseguono, le musiche accompagnano i protagonisti nelle strade e nelle notti, ma il tutto risulta un po' troppo artefatto e il regista (tedesco), sembra più aver cercato un passatempo nelle sue vacanze che non aver assecondato il bisogno di raccontare una storia. Deludente.

Mercoledì 25: quattro film, approfittando della vacanza. Quattro belle esperienze, per una Giornata della Liberazione decisamente sui generis! La prima proposta è l'originale argentino Glue - Historia adolescente en medio de la nada di Alexis Dos Santos. Un'opera prima, prodotta da Isabel Coixet, già regista dello splendido La mia vita senza me. Lucas e Nacho sono due amici quindicenni che passano il tempo sempre insieme suonando, Gluegirando a vuoto e parlando di sesso, l'amicizia con "l'occhialuta" Andrea determinerà nuovi sviluppi e nuovi equilibri. Grande fotografia, attori giovani ma convincenti, una storia "in mezzo al nulla" che coinvolge: una delle sorprese migliori di tutta la settimana, un giovane regista da seguire. A questo punto sarebbe stato facile rimanere delusi dalle offerte successive, e invece no: il taiwanese Spider Lilies, lo statunitense Fat girls e l'altro taiwanese Eternal Summer mi sono decisamente piaciuti. Per motivi diversi e totalmente opposti: se del film Usa a colpire è stata l'ironia brillante e la freschezza della sceneggiatura del giovane regista-protagonista Ash Christian, i due film orientali si ricordano per la forza delle immagini, la bravura degli attori (più nel primo, vincitore tra l'altro del Teddy Award per il miglior lungometraggio all'ultimo Festival di Berlino) e la sensibilità delle storie.

Giovedì 26: la conclusione. Triste pensare che sia tutto finito, dopo una settimana intera passata in un cinema splendido a vedere film nuovi e interessanti (quasi sempre), a incontrare storie e persone sempre stimolanti. La serata finale, come detto svoltasi nella sala grande del Giunicinema Ideal, ha previsto come intermezzo alla premiazione un toccante concerto-tributo a Giuni Russo nel quarantennale dell'inizio della sua carriera. A cantare, fornendo interpretazioni agli antipodi tra loro, Alice, le sarde MAB e Lene Lovich. Terminata la cerimonia, l'omaggio finale: Another gay movie, un remake in salsa queer di American pie. Un film che ricalca in tutto le regole del genere demenziale, fornendo facili risate e gag decisamente di basso livello. Un'offerta interessante (il film pare essere un cult negli States, e difficilmente arriverà nelle nostre sale) ma decisamente al di sotto dello standard qualitativo di tutto il festival.

I premi

Come tradizione della rassegna torinese, le tre categorie (lungo, corto e documentario) hanno visto la consegna di un premio attribuito dalle varie giurie e di uno del pubblico (che poteva votare direttamente in sala o attraverso il sito ufficiale dell'evento).

Il premio principale della categoria lungometraggi è andato a So lange du hier bist del tedesco Stefan Westerwelle, mentre il premio del pubblico (il terzo in tre partecipazioni, una prestazione quasi da guinness) è andato a Eytan Fox col suo The Bubble, che pare essere in uscita nelle sale tricolore nel prossimo autunno. Il Premio Speciale della Giuria, meritatissimo, è andato all'argentino Glue.

Tra i cortometraggi, a trionfare per la giuria è stato Godkand di Lisa Langseth, mentre il pubblico ha preferito Groucho di Ángel Almazán e Medardo Amor. Una menzione speciale è andata a The saddest boy in the world di Jamie Travis.

Infine, nella categoria documentari, il premio ufficiale è andato a Jack Smith & the Destruction of Atlantis di Mary Jordan, mentre l'israeliano Paper dolls ha vinto il premio del pubblico.

Conclusione

Poche parole, perché ne ho già scritte molte. La mia prima volta al GLBT è stata un'esperienza eccezionale. Rimpiango di non aver mai partecipato prima, di non aver visto di più (ad esempio qualche pellicola di Anger), e non vedo sinceramente l'ora che arrivi il momento dell'edizione 2008…

 
 
 
 
 
 
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