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Claudio Lazzaro - Se tutti ci prendessimo dei rischi...
di Roberta Folatti
Claudio Lazzaro ha lavorato dieci anni al Corriere della Sera, occupandosi di cronaca e di esteri. Ha seguito la guerra civile nella ex Yugoslavia e l'ultimo suo reportage raccontava l'Iraq dopo l'invasione americana.
Ad un certo punto ha deciso di lasciare il prestigioso quotidiano e con la liquidazione ha inaugurato l'attività della Nobu Production, la sua nuova società. Nobu è una contrazione di "no budget" e rappresenta una sorta di incitamento a scommettere sull'informazione - quella senza padroni, fatta in condizioni economiche molto vicine allo zero. Da questa sfida è uscito un primo prodotto, il documentario Camicie verdi, realizzato percorrendo la Padania e sondando gli umori delle piazze leghiste.
La violenza e l'incitazione all'odio che pervadono i comizi di Borghezio si rendono drammaticamente evidenti nelle immagini girate da Lazzaro, che ha fatto uscire il suo lavoro alla vigilia del referendum costituzionale, suscitando malumori nella Lega Nord ma fecondi dibattiti in tutti i luoghi dove è stato proiettato.
Dopo essere passato nelle edicole allegato a L'Unità, il Dvd si può acquistare andando sul sito http://www.camicieverdi.com/ o su quello della Mikado, e se ne dovrebbe trovare ancora qualche copia nelle librerie Feltrinelli.
Abbiamo fatto una lunga chiacchierata con Claudio Lazzaro, parlando di cinema e di informazione.
A un anno di distanza sei pentito della tua scelta?
Assolutamente no, anzi. Questo film ha avuto un buon successo ed è servito ad alimentare il dibattito. Ho partecipato a molte proiezioni ed è stato davvero bello confrontarsi con chi aveva visto il film, anche coi leghisti. Uno che fa il giornalista in modo onesto lo fa per aiutare le persone a capire, il mio referente è il pubblico e la risposta c'è stata.
Dopo l'esperienza di Camicie verdi ritieni realistico pensare di fare cinema no budget?
E' una scommessa. La casa di produzione l'ho chiamata autoironicamente Nobu. Di fronte al piattume dell'offerta cinematografica, in una situazione in cui i giornali li legge solo un'élite, bisogna trovare modi alternativi per raggiungere le persone. La televisione non informa, riguardo al referendum c'è stata una disinformazione ignominiosa sulle reti Mediaset. La Rai sappiamo com'è... ma nessuna emittente televisiva ha voluto mettere un euro nel mio film, i funzionari dicevano "stupendo, è proprio quello che ci vorrebbe... ma non si può fare". L'abitudine a volersi impadronire del potere mediatico c'è a destra come a sinistra, l'unica proposta seria sulla televisione viene dalla società civile, è quella che ha presentato Sabina Guzzanti.
La sola possibilità per la Nobu Production è produrre cose a costo bassissimo, che riescano ad inserirsi in una nicchia di mercato, a scavarsi un percorso proponendo qualcosa che la tivù non offre. Lo scoglio grosso rimane la distribuzione ma ci sono nuove possibilità per bypassare il muro mediatico: il Dvd in edicola o scaricato da internet.
Quindi la tecnologia può favorire la libertà di informazione?
Nel '73 Roberto Faenza, che allora era un regista alternativo, scrisse il libro "Senza chiedere il permesso" in cui teorizzava che con l'utilizzo di nuove tecnologie sarebbe stato possibile fare informazione libera e a basso costo. Allora era fantascienza, ora si può ma bisogna essere in grado di usare al meglio questi strumenti. Il mio film è stato veicolato da L'Unità, la scommessa vera sarebbe di andare a raggiungere i non lettori di giornali.
Pensi che il documentario sia un genere in crescita o soltanto poche eccezioni, con argomenti particolarmente eclatanti o ideologizzati, sono destinati ad attrarre il pubblico?
Personalmente penso davvero che sia in crescita. C'è stata la grande lezione di Michael Moore, che io non ho seguito perchè ho adottato un approccio più equilibrato, ma che ha lasciato sicuramente un segno. Anche se la Lega si è arrabbiata terribilmente, io ho offerto uno specchio al movimento di Bossi. Si arrabbiano quando si vedono riflessi, ma sono i leghisti stessi a rappresentarsi. Comunque lo spazio per il documentario c'è, se si ha il coraggio di raccontare quello che la televisione non racconta. Certo se vai a chiedere i soldi alla tivù poi non puoi trattare argomenti che la tivù non vuole.
L'unica è svincolarsi, rischiare in proprio. Io ho cominciato coi soldi della mia liquidazione, poi - ma alla fine - sono intervenute Palomar di Carlo Degli Esposti e Mikado con Roberto Cicutto. Vorrei aggiungere che anche il cinema deve osare. La gran parte del cinema che ha una committenza televisiva nasce morto.
Perchè?
Capita spesso che ti lottizzino tutto, non riesci a fare il film che avevi pensato perchè insieme ai soldi ti propinano tutta la corte dei miracoli che gravita intorno a loro. Quindi ti ritrovi gli attori che scelgono loro, il loro autore delle musiche, il loro scenografo e via dicendo. Se penso cos'era il cinema italiano una volta, a livello mondiale, mi viene da piangere. Un cinema prodotto dalla televisione in modo clientelare è un cinema nato morto. Lo scopo della Nobu Production è fare cose in assoluta libertà.
Come si può rimediare a questa situazione?
Ci vogliono delle leggi, prima di tutto sull'informazione, che modifichino lo stato delle cose, che la rendano indipendente dal potere economico e politico. Si possono immaginare i compromessi che è costretto a fare un direttore che deve rispondere a tanti soggetti economici. Il fatto che non esistano editori puri è già un grosso problema, per non parlare di quello delle concentrazioni editoriali. E poi come si fa a garantire l'indipendenza di un giornalista se non può esprimere un parere contrario alla linea editoriale stabilita?
In Italia c'è una legge assurda per cui si verifica l'intimidazione del giornalista attraverso le cause per danni. Si rischia di trasformare questa figura in un impiegato, passacarte e velinaro. L'informazione è il problema numero uno, insieme alla legalità. Per il cinema penso che il discorso sia collegato visto che dipende economicamente in gran parte dalla televisione.
Per il documentario sarà tutto ancora più complicato.
Credo si commetta un grosso errore culturale in Italia a non spingere e valorizzare il documentario. E non so se sia una questione di pubblico o piuttosto di mancanza di coraggio dei distributori. Personalmente i documentari sono state le cose che più mi hanno colpito e commosso negli ultimi tempi, mi viene in mente My architect di Nathaniel Kahn. Sono convinto che in molti casi il pubblico sia più maturo di chi decide cosa dargli da vedere.
Consiglieresti a un giovane la strada del documentario?
La consiglio caldamente... anche perchè la mia schiena non ha più la robustezza di una volta. Siccome la troupe con cui ho girato Camicie verdi era composta da due persone, da me e da un operatore, tutte le volte che si dovevano scaricare le attrezzature dalla mia vecchia Multipla, liberata dai sedili posteriori, era un vero trasloco! Abbiamo attraversato in lungo in largo la Padania per circa un mese, cambiando alloggio quasi ogni giorno. E ogni volta era un massacro trasportare in albergo tutte le attrezzature! Comunque con le tecnologie attuali per un documentario possono bastare 50000 euro. I giovani ci devono provare, io spero di aver dato l'esempio, il mio pensiero e il mio incoraggiamento vanno a loro. Certo bisognerebbe saper fare più squadra e rischiare...
Nuovi progetti?
Ho un paio di idee che mi girano in testa, ma prima di tutto devo verificare se siano fattibili, non solo economicamente. Tenterò di fare un altro documentario, se questo non sarà possibile passerò a un film. Ma cercando di fare qualcosa che rompa gli schemi del prevedibile.
I lettori hanno scritto 3 commenti
- indirizzo IP 151.52.121.123
- data e ora Mercoledì 02 Agosto 2006 [14:43]
- commento E' ancora possibile reperire il documentario Camice verdi e come?
- indirizzo IP 151.52.121.123
- data e ora Mercoledì 02 Agosto 2006 [14:48]
- commento *camicie
- indirizzo IP 151.38.135.241
- data e ora Mercoledì 02 Agosto 2006 [14:50]
- commento dicevo: su Ibs ce l'hanno e anche nelle migliori biblioteche ;)
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