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Speciale del 27 10 2002

 
 
 
 
 
 
 
 
 
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Speciale

Cinemamabiente 2002

di Sara Troilo

"Mai più una storia sarà raccontata come fosse l'unica", la citazione di John Berger in apertura del romanzo di Arundhati Roy Il dio delle piccole cose descrive la sensazione che ci ha accompagnati durante le proiezioni di questa quinta edizione di Cinemambiente, il maggiore festival in Italia di film a tematica ambientale. L'ampiezza della tematica ben si presta all'eterogeneità cui di fatto abbiamo assistito, ma l'armonia che non era certo scontata la si può ricondurre alla messa in atto delle intenzioni del direttore del festival Gaetano Capizzi: "Una settimana di film che coniughino arte, impegno sociale e memoria storica", un modo di ricordarci di come nel mondo ogni evento ne generi un altro e niente ci sia estraneo, un'ulteriore conferma del fatto che il cinema non è intrattenimento, ma arte e via di comunicazione, strumento importante di denuncia e mezzo di espressione insostituibile, veicolo di messaggi universali senza essere per questo noioso. Una scommessa alla base di questo progetto indubbiamente c'è, inutile fingere che allestire una manifestazione che contenga più documentari che opere di fiction equivalga a riempire le sale e proprio di questa scommessa abbiamo parlato con il coordinatore generale di Cinemambiente Stefano Susca che basa le aspettative di crescita del festival sull'espansione che questo ha avuto nel corso delle ultime due edizioni con ospiti importanti e un numero sempre maggiore di spettatori. Susca ci informa del fatto che la sezione che contiene le "Immagini dall'India", Global vision, dopo Torino verrà riproposta a Roma, sempre nell'ambito di serate a tematiche ambientali in cui i dibattiti hanno la medesima importanza delle immagini; stessa sorte per numerose altre opere, portate in giro per l'Italia con la massima attenzione alla corretta contestualizzazione nel panorama preesistente, in direzione opposta alla commercializzazione globalizzata e alla pessima architettura, incuranti di ciò che hanno intorno. Gran parte del materiale proiettato, inoltre, resterà a disposizione di scuole, enti e singoli individui (almeno per una visione in loco) nella videoteca di Cinemambiente e così i materiali che non sono stati selezionati né, quindi, inseriti nel programma. In realtà le parole del coordinatore generale più che quello della scommessa hanno il sapore di chi crede fermamente in un progetto che metta in circolazione idee, immagini e parole senza schemi precostituiti, né gabbie montate dal clamore dei media, accettando il rischio, sì, di restare nell'ombra (rischio che finora è stato scongiurato), ma con la consapevolezza che quando le maglie si restringeranno per un qualsiasi motivo, tutto ciò non avrà più motivo di essere; lo stesso entusiasmo pacato di chi ha creato qualcosa di autentico, Susca e Capizzi devono averlo trasmesso agli ospiti che circolano per le sale del Cinema Massimo in mezzo agli spettatori e intervengono in modo estemporaneo durante le proiezioni come ha fatto Virgilio Tosi spiegando i differenti formati in cui è stato girato un documentario di Ivens agli oltremodo grati astanti. La terra, le donne e gli uomini: una tematica che definire vasta sarebbe quantomeno ridicolo è stata inserita in un programma che vale la pena di analizzare seguendolo nei percorsi che suggerisce.

Innanzitutto il Concorso Lungometraggi, vinto dal giapponese God's Children di Hiroshi Shinomiya film che narra della chiusura di una discarica a Manila in seguito allo smottamento del terreno dovuto alla pioggia e della conseguente disperazione delle famiglie sopravvissute che vivevano in quella discarica. Testimonianza agghiacciante della miseria assoluta e tema caro al regista che da parecchi anni si interessa dei bambini di Manila e delle loro condizioni di vita. Nella stessa sezione anche Chantal Akerman con De l'autre cote, lunghissimi piano-sequenza per raccontare i tentativi di emigrazione dal Messico verso gli Stati Uniti di uomini, donne e bambini che attraversano a piedi il deserto e rischiano, se sopravvivono a quell'esperienza, di essere uccisi sul confine; Life and Debt di Stephanie Black tratteggia gli effetti della globalizzazione sulla Jamaica, il libero mercato l'ha ridotta in condizioni in cui gli abitanti devono lottare per sopravvivere, accompagna la narrazione una colonna sonora dei più grandi cantanti di reggae; Jean Rouch invece ci inserisce in un'atmosfera onirica con Le reve plus fort que la mort e la sua trasposizione de I persiani di Eschilo, lo fa dilatando i tempi e rendendo la visione particolarmente ostica con stacchi e inserti destabilizzanti (nonché fastidiosi). Infine, di Anand Patwardhan e Simantini Dhuru, War and Peace ha ricevuto la menzione speciale della giuria, il film è un lungo inno al pacifismo che parte dalle immagini di Gandhi assassinato e arriva a toccare le piccole comunità che resistono e portano avanti un differente stile di vita nel segno del rispetto dell'uomo.

Tra le dodici opere presenti nel Concorso Corto-Mediometraggi la giuria ha premiato Freedom…! di Amar Kanwar che mostra come in ogni regione dell'India l'ecosistema sia minato da interventi dissennati che portano alla fame e alla morte migliaia di individui, l'indissolubilità del legame tra uomo e terra è qui messo in scena in modo inequivocabile e così la possibilità di una nuova e differente via di sviluppo sostenibile. Il film iraniano The Migratory Goose di Siros Hassan-Pour si è aggiudicato la menzione speciale per "per la semplicità di una storia che assume un valore che trascende contesti storici e geografici e ci restituisce in modo diretto in un periodo in cui si cerca di affermare un concetto aberrante come quello della cosiddetta guerra preventiva un semplice desiderio di vita." Tra le altre opere ricordiamo il bel Porto Marghera: inganno letale di Paolo Bonaldi, proiettato anche durante l'ultima edizione del festival del cinema di Venezia, il film ci offre le prove raccolte negli anni da un operaio in lotta contro l'industria chimica di Porto Marghera.

La scrittrice indiana Arundhati Roy è ospite della manifestazione perché protagonista di Dam/Age video di Aradhana Seth che narra della sua battaglia a fianco del Movimento per la Salvaguardia del fiume Narmada. Il video è inserito nella sezione Global Vision - Immagini dall'India, curata da Daniela Bezzi e mostra il percorso di presa di consapevolezza che ha portato la Roy ad essere condannata alla reclusione da parte della Corte Suprema dell'India (reclusione che è durata una notte dopo la quale la scrittrice ha accettato di pagare la cauzione) per una causa in difesa delle condizioni di vita di migliaia di indiani minacciati di morte dall'immane opera , ormai ventennale, del grande progetto idroelettrico che vuole costruire dighe per deviare il corso del fiume Narmada del tutto incurante dei danni irreversibili causati a ambiente e persone. Dam/Age alterna pezzi di una lunga intervista alla Roy con riprese degli eventi salienti della battaglia contro la Corte Suprema e delle pubbliche dichiarazioni degli uomini del governo indiano sulla assoluta bontà dell'opera in cui la demagogia fa da collante e tiene insieme populismo e menzogna; il video è stato proiettato al termine della cerimonia di premiazione nella sala più grande del cinema Massimo gremita di gente e la scrittrice ha ribadito che non esistono problemi di questa o quella parte di mondo, ma un unico enorme problema che è la circolazione di denaro che viene sempre mantenuta all'interno dei soliti canali in modo da indebolire sempre più i paesi poveri e dare forza sempre maggiore alle super potenze, portando avanti un progetto evidentemente miope che non tiene conto delle individualità, né delle condizioni ambientali preesistenti alle scelte umane e che spesso dimostrano, facendosi sentire attraverso sciagure altamente prevedibili, di essere imprescindibili e non trascurabili come ci vogliono fare credere. Words on Water di Sanjay Kak approfondisce la questione del Movimento per la Salvaguardia del fiume Narmada mostrando la resistenza dura portata avanti dagli abitanti dei villaggi sorti nei pressi del fiume e che su questa vicinanza hanno basato la propria sopravvivenza, ingannati con promesse di nuove terre in luoghi altrettanto fertili e ridotti alla fame, disperati al punto da arrivare a legarsi agli alberi e lasciarsi morire affogati esercitando una forma estrema di protesta verso questa opera programmatica di morte. Gli altri video di questa sezione sono anch'esse opere di denuncia, in ogni angolo del grande paese vi è un esempio di malgoverno contro il quale gli indiani sono costretti a battersi: queste le loro voci che ci vengono portate attraverso immagini filmate.

Sempre attraverso le parole di Stefano Susca apprendiamo che per un festival come Cinemambiente è fondamentale inserirsi nel contesto sociale e cittadino e in quest'ottica fa la sua comparsa, per la prima volta proprio in questa edizione, il bel progetto Scena/ri di sostenibilità realizzato dalla Provincia di Torino (con Media Agency, Zenit Arti Audiovisive, ArNIA Archivio Nazionale Immagine Ambientale e l'Associazione Cinemabiente) e coordinato da Silvia Magino (autrice anche della brochure che illustra il progetto). Cinque video realizzati da non professionisti che hanno risposto al bando di concorso e hanno partecipato a laboratori teorici e tecnici sulle modalità di ripresa, hanno riempito di pubblico una delle sale del Massimo ottenendo un grande successo. Ognuno dei cortometraggi affronta una problematica ambientale, un modo alternativo e a "impatto minore" di vivere nel contesto cittadino, una forma di protesta per riprendersi le strade dalla folla di automobilisti; in particolare il video Pane e sapone di Cristina Amione, Nadia Di Noia e Luca Romanelli con il montaggio in parallelo dell'esperienza di una famiglia che cerca di incidere il meno possibile sull'ambiente (facendo, tra le altre cose, in casa sia il pane che il sapone) e di una serie di interviste raccolte fuori da un supermercato ci dà l'idea di uno stile di vita alternativo a quello comune, ma non al di fuori della nostra portata e le soggettive con sbarre dall'interno del carrello del supermercato sono piuttosto eloquenti di quello che rischiamo di perderci.

Infine la meravigliosa Retrospettiva Joris Ivens, venticinque opere di sperimentazione, controinformazione, poesia e denuncia. L'Italia non è un paese povero (1960), l'incredibile documentario commissionato a Ivens da Enrico Mattei, allora presidente dell'ENI, per convincere gli italiani che le materie prime erano una realtà del nostro paese (senza aspettare gli aiuti americani) ha avuto una storia travagliata: all'epoca fu sottoposto a brutali tagli da parte della censura della Rai e trasmesso senza però che Ivens lo riconoscesse, una copia originale è stata portata in Francia da Tinto Brass, assistente alla regia, proprio per evitare che finisse tagliata anch'essa e ora possiamo ammirarla. Tre episodi e un giro nell'Italia dell'epoca, da Cortemaggiore alla Lucania e Gela, con ritratti di persone la cui vita cambia con l'arrivo delle raffinerie messi al fianco di spiegazioni tecniche sull'utilizzo dei macchinari per l'estrazione di gas e petrolio con l'intenzione, mantenuta, di realizzare un documentario molto piacevole, leggero e comprensibile. Di tutt'altro registro sono: La Seine a rencontré Paris (1956), belle immagini di donne e uomini e dello scorrere delle loro vite attorno al fiume parigino con commento poetico scritto da Prévert, Puor le Mistral (1965) punto importante della sua intenzione di filmare l'invisibile che culminerà in Io e il vento e A Valparaiso (1963) dove l'inferno di Santiago del Cile è filmato con una piega poetica e il commento è di Chris Marker (il grande regista de La Jetee). Lungometraggio di fiction è Die Abenteur des Till Eleunspiegel (1956) di cui, però, Ivens è solo produttore, un divertente film di e con Gerard Philipe che interpreta Till, l'eroe che libera, con espedienti un po' alla Will il coyote a dir la verità, le Fiandre dagli invasori spagnoli.

Tutto in questo festival (anche nelle sezioni non citate qui) ci parla di aggressioni alla terra e di resistenza umana, ma lo fa evitando toni catastrofici, proiezioni tediose e distacco etereo dalla realtà; anche chi avrà assistito a qualche proiezione con i pregiudizi di chi è abituato a legare il cinema alla fiction e a una fruizione più legata all'intrattenimento, si sarà stupito.
 
 
 
 
 
 
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