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Speciale del 30 03 2005

 
 
 
 
 
 
 
 
 
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Speciale

Festival del cinema africano d'Asia e America Latina 2005

di Roberta Folatti

Un melting pot cinematografico

Abituati all'offerta targata Hollywood, viziati da un approccio registico ormai stereotipato, dopati dagli effetti speciali più tecnologicamente avanzati, ci sembrerà di piombare in un'altra dimensione accostandoci al variegato universo del Festival del cinema africano d'Asia e America Latina.

 

Compleanni

L'edizione 2005 non è stata forse tra le più brillanti, anche se festeggiava il cinquantenario del cinema africano, ma ha ugualmente fatto intravedere il magma creativo che ribolle in zone del mondo povere ed estranee a qualunque circuito cinematografico "sviluppato".

Prendiamo ad esempio il Burkina Faso, uno degli stati più poveri del mondo, che ha messo in mostra due lungometraggi di notevole valore.

La nuit de la verite di Fanta Régina Nacro, già premiata negli Stati Uniti, è una tragicommedia ambientata in un ipotetico stato africano che fa i conti con le ferite lasciate da una sanguinosa guerra interetnica, tentando una qualche forma di riconciliazione.

Ouaga Saga di Dani Kouyatè è un'autentica esplosione di vitalità e di colori, in cui gli effetti speciali sono sostituiti dalla forza espressiva dei personaggi, che comunicano prima di tutto attraverso il corpo.

 

 

La "Hollywood nigeriana"

Ma l'urgenza espressiva coinvolge un po' tutta l'Africa, e in Nigeria prende la forma di un fenomeno ribattezzato Nollywood, sull'onda della Bollywood indiana, che a sua volta richiama e fa il verso a quella originaria targata Usa. Per le sue dimensioni - mille video all'anno girati - si tratta della produzione cinematografica più imponente dell'Africa, ma va letta anche come fenomeno sociale, specchio di una situazione per certi versi preoccupante. Dagli anni novanta infatti la crisi economica ha reso troppo costoso il cinema in pellicola, inoltre l'aumento vertiginoso della criminalità in Nigeria costringe la popolazione a non uscire di casa la sera e a passare il tempo davanti allo schermo tv. Ecco in parte spiegate le ragioni del boom di Nollywood, una "fabbrica" finanziata completamente con capitali africani, che produce home-video a basso costo, che trattano temi cari al pubblico locale, poco esportabili in altri continenti.

Una delle direttrici del Festival, Alessandra Speciale, chiarisce: - Sono pellicole popolari, che non escono nelle sale ma vengono vendute o affittate in vhs o dvd, lontane dagli stereotipi del pubblico europeo. Trattano di intrighi familiari sul modello soap-opera e contengono di frequente la condanna dei money rituals, rituali volti ad ottenere l'arricchimento economico, molto diffusi in Africa e che in qualche caso arrivano anche al sacrificio umano. Ne parliamo perchè l'industria nigeriana del video è diventata la seconda cinematografia del mondo dopo l'India -.

 

Va in scena la guerra

Non poteva mancare un tema così scottante, filmato da differenti angolature e con stili e linguaggi personali.

Tra i documentari Nous les irakiens di Abbas Fahdel (Iraq) racconta un Iraq molto privato e familiare. Il regista, irakeno emigrato in Europa, segue i figli del fratello che sono sempre rimasti a Bagdad e documenta l'atmosfera prima e dopo lo scoppio della guerra, aiutandoci a scoprire la quotidianità quasi commovente della gente di quel paese. Le stesse nostre aspirazioni, le piccole gioie, i desideri semplici, filtrati attraverso anni di dittatura, restrizioni, guerre. Il risultato è un bambino di dieci anni che già maneggia con disinvoltura un kalashnikov, una studentessa d'informatica con gli attacchi di panico, un padre appassionato di telecomunicazioni, che vaga desolato tra i detriri della stazione televisiva in cui lavorava, chiedendosi il motivo di tanta cieca distruzione. Il risultato è la totale insensatezza della guerra.

Campo di sminamento di Licinio Azevedo (Mozambico) e Le tartarughe possono volare di Bahman Ghodabi (Iran) parlano in modi diversissimi delle conseguenze della guerra, che mutila i corpi ma lascia ferite ancora più profonde nelle menti. Mentre Azevedo mette in risalto la solidarietà e il legame che nascono fra uomini che sminano i campi in Mozambico, dopo la sanguinosa guerra civile, il regista iraniano racconta di bambini che tra le mine sono costretti a viverci e che subiscono in modo indelebile la violenza e la follia degli adulti.

Tutti e tre i film di cui vi ho parlato sono stati premiati o segnalati dalla Giuria del Festival.

 

Impegno e belle immagini

Un altro documentario che ha ricevuto una menzione speciale in questa 15esima edizione è El velo de Berta di Esteban Larrain (Cile). La storia è quella della lotta impari tra una multinazionale spagnola, che si fregia di rappresentare gli interessi dell'intero Cile, e un'anziana donna indigena, che si oppone all'esproprio dei terreni dei suoi avi, destinati ad essere invasi dalle acque per dar vita a un'enorme diga. La figura di questa esile signora ultraottantenne, dal volto scolpito, dolce e duro al  medesimo tempo, che non arretra di fronte a nulla, forte di radici che la legano indissolubilmente alla terra che l'ha nutrita, rimane dentro, insieme alla bellezza di quei territori al confine tra Cile e Argentina. Il regista realizza un'opera che oscilla tra poesia e denuncia sociale, mantenendosi sapientemente in bilico. Il Cile è l'unico stato del Sud America che non ha leggi speciali in difesa delle popolazioni indigene, ma la lotta di Berta e del gruppo di donne da lei guidato - anche se perdente - ha rappresentato una svolta per il paese.

Rimanendo in Sud America, densa d'umanità anche la figura di Oscar, nell'omonimo documentario di Sergio Morkin (Argentina). Personaggio reale pure lui, molto conosciuto a Buenos Aires per la sua personalissima campagna anticonsumistica, condotta a colpi di spray e di collage fantasiosi contro i manifesti pubblicitari della città. Le sue idee grafiche, che compaiono nottetempo e ritoccano i cartelloni, fanno scuola anche tra i creativi "istituzionali" ma non gli danno da vivere. Il film documenta anche la quotidiana lotta per la sopravvivenza di Oscar e della sua famiglia, in una Buenos Aires divisa drasticamente tra ricchi e poveri.

 

Corti d'impatto

Ha vinto Mother's day della regista zimbabwese Tsitsi Dangarembga, che osa raccontare una storia di cannibalismo. Durante una carestia il marito accidioso, invece di cercare cibo per sè e per la famiglia, mangia la madre dei suoi figli. La motivazione del primo premio: - Visto il tema temevamo che il film cadesse nel grottesco o, peggio, rinforzasse terribili stereotipi sull'Africa. Invece abbiamo scoperto un audace, originale, trasgressivo melange di generi, trattati con forte energia inventiva, attori ben diretti e un'eccellente sceneggiatura -.

Da segnalare anche Prince Loseno  (Repubblica democratica del Congo/Belgio), film d'animazione ispirato alla tradizione orale africana, l'autore Jean Michel Kibuschi ha fondato in Zaire il primo studio d'animazione del paese. Il film è frutto di un lunghissimo lavoro sulle marionette, durato anni, e rappresenta uno dei rarissimi esempi africani di questo genere.

Un posto al sole del marocchino Rachid Boutounes parla di immigrazione e di lontananza e lo fa in modo personale e non scontato.

 

 

 

 

 

Il vincitore

Il primo premio del concorso lungometraggi "Finestre sul mondo", assegnato dalla Giuria presieduta dallo scrittore nigeriano Wole Soyinka, è andato al film Okhotnik (Il cacciatore) di Serik Aprymov (Kazakistan). Immerso in una natura piena di presenze, si dipana il rapporto tra il cacciatore e Erken, un ragazzino considerato da tutti un potenziale criminale. Il cacciatore lo trascina nella foresta, gli insegna a sopravvivere in un ambiente a lui estraneo, gli fa percepire l'afflato di una natura poderosa, all'interno della quale uomini e animali sono soggetti alle stesse leggi. Sarà un'esperienza di crescita e di passaggio, dalla quale tornerà con una nuova consapevolezza.

 

Qualche pecca

Le organizzatrici lamentano una riduzione drastica dei fondi a livello istituzionale ed è difficile non credergli, visto il recente accanirsi di tagli contro ogni forma culturale.

Personalmente ho notato qualche lacuna sotto il profilo organizzativo, tanto per citarne una: le traduzioni simultanee dei film. Molto meglio i sottotitoli di traduttori incapaci e balbettanti, o solamente privi di qualsiasi "sensibilità" cinematografica. Cambi di programmazione dell'ultim'ora e spostamenti d'orario immagino siano fisiologici. Tutto sommato un'esperienza - quella del Festival del cinema africano d'Asia e America Latina - che consiglio a tutti.

 

 
 
 
 
 
 
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