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Speciale del 15 11 2011

 
 
 
 
 
 
 
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Speciale

Festival internazionale del film di Roma 2011

di Keivan Karimi

La VI edizione tra leggerezza, grottesco e 3D


Si è conclusa venerdì 4 novembre la sesta edizione della Festa del cinema di Roma, manifestazione e rassegna cinematografica organizzata presso l'Auditorium parco della Musica, che per un'intera settimana ha presentato una serie di progetti filmici interessanti e particolari.

Chi si aspettava una parata di stelle sulla falsariga delle kermesse più celebrate e storiche come quelle di Cannes o Venezia si è sbagliato di grosso; il Festival di Roma nasce e cresce ormai con lo scopo di promuovere un cinema di nicchia, particolareggiante, estroso e che dia pochissimo adito al sensazionalismo ed ai clamori da passerella. Ecco perchè, ad esclusione del divo Richard Gere, premiato con il Marc'Aurelio alla carriera, il red carpet capitolino non ha ricevuto la rilevanza mediatica più consona a rassegne omologhe.

La giuria, presieduta dal compositore premio Oscar Ennio Morricone, ha avuto un compito piuttosto arduo e spinoso nel decidere quale film in concorso fosse giusto premiare, vista la netta presenza di prodotti intriganti, sofisticati, profondi, ma probabilmente un po' carenti nel complesso per la cura dei contenuti, una serie di opere qualitativamente simili, alla medesima altezza estetica ed ideologica.

In pratica non erano presenti capolavori, o film di richiamo, bensì un buon numero di opere artisticamente valenti, innovative e delicate, senza però trovare quel tocco di magia cinefila da far innamorare pubblico e giuria.

Il Marc'Aurelio per il miglior film in concorso è stato assegnato, in maniera oggettivamente giusta, alla commedia di Sebastiàn Borensztein Un cuento chino, lungometraggio argentino, leggero, sofisticato, con quel tocco di fantasia grottesca capace di stupire e rendere originale l'intreccio, dove spicca un Ricardo Darìn esemplare. E' proprio il grottesco, il surreale a colpire in questo ilare prodotto, che scava nell'intimità e nell'unità di vite ed esistenze statiche e diverse, creando un solco nella ricerca esistenziale degli uomini moderni.

I quattro film italiani in concorso sono usciti dalla kermesse a bocca asciutta; tanta delusione per l'acclamata ultima fatica del longevo Pupi Avati con Il cuore grande delle ragazze, piaciuto a pubblico e a parte della critica per la semplicità gradevole della storia e delle ambientazioni, ma risultato in fin dei conti troppo appeso ai soliti standard del regista bolognese, sempre attento e accurato nelle ricostruzioni storiche dell'Italia anni '40, meno invece alla dinamicità del racconto.

Stilisticamente meglio invece è apparso il lavoro del giovane Pippo Mezzapesa e del suo gruppo di giovani ragazzi pugliesi, protagonisti di Il paese delle spose infelici, più profondo ed intenso degli altri prodotti nostrani in gara.

L'eroina svedese della saga Millennium Noomi Rapace si è aggiudicata il premio come miglior inteprete femminile per Babycall, thriller psicologico scandinavo, dove spicca la tensione interpretativa dell'attrice principale, ma per il resto scade nella retorica e nel già visto; tra i personaggi maschili invece è stato premiato il francese Guillaume Caunet, già visto a Roma nell'edizione 2010 con Last night, qui invece ottimo protagonista di Une vie meilleure di Claude Miller.

Deludenti i due attesi film orientali in concorso: il coreano Poonsang, dramma d'azione e sentimento basato sulle barriere forzate tra le due Coree, è risultato decisamente troppo carico di intenzioni ma pieno in realtà di retorica e cliché che il cinema dell'estremo oriente si porta appresso da troppo tempo; mentre lo smielato e tragico Love for life del cinese Gu Changwei parte da una buona base, dalla tradizione dei fantasmi e degli spiriti orientali, per poi cadere anch'esso nella banalità e nel sentimentalismo forzato.

Grande protagonista negli eventi speciali è stato certamente il 3D; il nuovo formato cinematografico ha accompagnato la proiezione di tre opere fuori concorso tra le più attese del festival, ovvero nella collaborazione Spielberg-Jackson con Le avventure di Tin Tin, il progetto bambinesco e fuori dal comune di Martin Scorsese Hugo Cabret e l'omaggio spirituale ed esteticamente perfetto di Wim Wenders alla sua compianta amica Pina Bausch, geniale coreografa fondatrice del Wuppertal Tanztheatre in Pina 3D. Tutto ciò segno che la terza dimensione si sta diffondendo non solo negli eventi spettacolari, ma anche nella poetica dei maggiori registi internazionali.

E poi tante sorprendenti rivelazioni, nel campo documentaristico, nella sezione Alice nelle città, gli esordienti Circumstance di Maryam Keshavarz e La brindille di Emanuelle Millet, film umili, intimi, semplici, indipendenti, molto razionali, tipici per trovare posto tra i premiati di una rassegna cinefila di nicchia come quella romana.

Inoltre gli omaggi a due dive del passato come Audrey Hepburn e Monica Vitti, entrambe insignite di una mostra fotografica in loro onore, hanno donato un tocco di glamour, stile ed eleganza femminile all'atmosfera del festival capitolino.

Insomma, la sesta edizione del Festival del film di Roma può vantare una buona dose di progetti nuovi e caparbi, ma fuoriescono i soliti problemi organizzativi e di prestigio: Roma è troppo vicina, temporalmente e geograficamente, a Venezia; ed ovviamente le stelle preferiscono brillare sul Lido piuttosto che all'ombra del Colosseo.


 
 
 
 
 
 
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