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Speciale

Pina - Speciale Stereoscopia 3D

di Michela Albanese

Pina nel viaggio estetico di Wenders

Coreografie visionarie fluttuano nella terza dimensione


Con il 3D il nostro progetto si poteva realizzare! Solo così, incorporando la dimensione dello spazio, potevo tentare di portare sul grande schermo il teatro-danza di Pina”. Così il regista tedesco Wim Wenders descrive il suo film in 3D per consacrare la sua amica e coreografa Pina Bausch.


Considerata infatti una delle più grandi coreografe del XX secolo, Pina Bausch si è spenta il 20 giugno del 2009, lasciando Wenders non solo nella profonda tristezza per un’amica perduta, ma con un progetto tra le mani concepito assieme e lasciato a metà - si trattava infatti di un sogno che entrambi seguivano da vent’anni. Tuttavia i danzatori lo stimolano a continuare il progetto e far rivivere sul grande schermo il Teatro-danza (‘Tanztheater’) della grande coreografa. Ed ecco che a volte il cinema dà forma e movimento anche ai sogni lasciati nell’etere, consegnandoli alla vita… questa volta raggiungendo finanche nuove dimensioni nello spazio visivo, diverso da quello cui comunemente siamo abituati.


Corpi, volti e sensazioni che si muovono nella dimensione dello spazio

Lentamente l’ambiente si trasforma e diviene un’arena onirica, l’intero palcoscenico ricoperto di pece fino all’altezza della caviglia di piedi nudi, proprio per far sì che tutti i movimenti dei danzatori lascino una traccia. Uomini e donne si combattono fra loro. Rito e sacrificio. Cambiano i volti e le espressioni. Mutano luoghi e sensazioni. Una grande sala da ballo, un teatro vuoto e lunghe file di sedie. Uomini e donne avviliti contro le pareti, che lentamente si alzano per venirsi incontro… la pellicola si proietta in nuove scene, tavolini e sedie da bar. Un mondo onirico fatto di solitudine e desiderio in cui gli interpreti si cercano, ma i loro movimenti sono lenti e trattenuti dagli oggetti che incontrano, si spostano con gli occhi chiusi, avanzando lontani, ciechi gli uni agli altri. Un uomo soltanto ha gli occhi aperti e cerca di aiutare gli altri a trovarsi, aprendo freneticamente dei varchi in quella foresta di sedie… ed ecco che si raggiunge il culmine dell’estetica nella narrazione visiva. Dall’interno all’esterno: dodici danzatori si muovono in uno scenario argenteo, alla ricerca febbrile dell’amore, esposti a pioggia e tempeste in una spettacolare scena dominata da un grande masso e da un fossato che la taglia a metà, come un fiume... e di nuovo la lotta e l’armonia tra i corpi fino allo sfinimento dei danzatori. Irrompenti, spesso, le location in esterni in luoghi particolarmente suggestivi, con strade di un centro abitato, ma anche foreste, pendii montani e paesaggi industriali, per ritrovarsi persino sotto le monorotaie sospese; alla narrazione visiva di Wenders si aggiunge anche la varietà musicale, abilmente composta da Thom Hanreich, che s’intreccia nelle varie scene fino a chiudere i quattro lavori di Pina Bausch, con la ‘trasfigurazione’ della coreografa che come un ologramma, alla fine, prende vita al centro del palcoscenico, proprio come se iniziasse a rivivere in 3D davanti ai nostri occhi.


Anche in Live action il 3D rivela la sua potenza

Il 3D Stereoscopico in Italia per molti addetti ai lavori è ancora uno sconosciuto. Se la ‘vecchia’ stereoscopia è nata ben oltre un secolo fa, oggi con l’avvento delle tecnologie digitali non si è più di fronte ai sistemi ‘arcaici’ usati dall’inventore dello stereoscope Charles Wheatstone dell’’800 o da quelli impiegati dai fratelli Lumiere nel 1896. È migliorata la qualità dei sistemi di ripresa e di conseguenza anche di fruizione, pur tuttavia in costante evoluzione, com’è giusto che sia nel campo dell’arte e delle nuove tecnologie. Solo nei paesi in cui tutto si svolge nella dimensione provinciale (cinema compreso, soprattutto), rimboccarsi le maniche e sperimentare nuove tecnologie e nuove forme di linguaggio sembra quasi un tabù. E allora si attende che qualcosa si smuova oltre confine. Immaginiamo: se anche Michelangelo avesse atteso qualche rivelazione oltre oceano prima di stendere la magnificenza della cappella Sistina, oggi persino i vescovi si riunirebbero in conclave in una sala ammuffita e senza i colori della creazione.

Tornando al tema 3D – le cui peculiarità ho avuto più volte modo di apprendere grazie anche alla possibilità di confrontarmi personalmente con registi ed esperti di tale tecnica, questa occasione compresa – si tratta di un modo nuovo di raccontare storie ed emozioni al passo con i tempi, che permette, se ben usata, di aprire veramente nuovi scenari dell’immaginario e di concepire la raffigurazione di segni e figure finanche trascendenti. Tutt’altro che aberrazioni, problemi alla vista e stanchezza della mente, la Stereoscopia, quando ben realizzata, ricostruendo la più fedele visione della vista umana, dovrebbe rilassare ancor più la visione, a differenza della visione bidimensionale a cui ci siamo abituati sin dall’infanzia. È quindi questione di reale preparazione artistica e professionale nonché, ovviamente, di abitudine… negli anni a venire, sentiremo stanchezza invece a visionare i vecchi film in 2D... e non ci lamenteremo neppure di tutto ciò.

Oggi per girare un film in 3D solitamente si usano due macchine da presa una accanto all’altra su un mirror-rig. Le due camere vengono posizionate a un angolo di 90° e in mezzo a loro viene installato uno specchio unidirezionale, a 45° rispetto alle due linee di ripresa. Una camera filma attraverso lo specchio e l’altra filma di riflesso. Questo presto cambierà nel tempo con l’uscita di nuove camere con doppio obiettivo, con le quali, grazie alla leggerezza, si potrà girare più comodamente e con migliore performance creativa.

Di ciò è convinto lo stesso Wenders che afferma “io credo che il futuro di questa tecnologia non sarà circoscritto all’uso attuale che se ne fa nei film fantasy. Non appena entreranno in commercio cineprese più piccole e leggere – ed è solo questione di tempo – il 3D consentirà un approccio totalmente nuovo anche al cinema realista”.

Nonostante i primi scetticismi, sorti principalmente in Italia, soprattutto per le polemiche infondate sugli occhialini, il lavoro di Pina mostra con concretezza che il cinema 3D stereoscopico è un efficace linguaggio visivo, e diventa un espediente utile per il racconto che nel cinema è in buona parte soprattutto visivo; ciò vale anche per altri generi e non soltanto per i film d’animazione, come erroneamente spesso si pensa.

Occorre ricordare che Pina 3D non è solo uno dei primi film europei in 3D, ma è anche il primo film d’autore in 3D. Tralasciando il caso Avatar, è ovvio che l’operazione non sia stata tanto semplice. Lo stesso produttore del film Pina 3D, Gian-Piero Rigel, ha affermato che “siamo entrati in un territorio vergine, inesplorato, sia dal punto di vista delle tecnologie che del genere artistico. È stato un problema perfino trovare i tecnici in grado di sviluppare e realizzare materialmente il progetto, perché erano pochi”.

Wenders, grazie alla nuova tecnologia 3D, ha realmente proseguito il lavoro del Tanztheater, che è sempre stato quello di oltrepassare i confini, una parte importante della coreografia è infatti oltrepassare il limite tra il palcoscenico e lo spettatore. Il 3D aiuta a raggiungere questo obiettivo, poiché, così come la fotografia, anche la scenografia diventa fondamentale per la buona riuscita di un’opera tridimensionale. Ben riuscito il lavoro di Peter Pabst che ha curato le scenografie del film (eccezionali le scelte prospettiche) e che ha voluto sottolineare che “c’è un coinvolgimento costante tra il pubblico e i danzatori, che a volte scendono fisicamente dal palco. Questo coinvolgimento è stato sempre un elemento centrale nel lavoro di Pina...”.



Il 3D impone un atteggiamento di umiltà: ripartire da zero, o quasi

Wenders nel tempo è diventato uno dei più autorevoli rappresentanti del cinema tedesco che ha seguito e coltivato la voglia di sperimentare; diversi i premi, fra cui premio per la migliore regia al Festival di Cannes del 1987 per Il cielo sopra Berlino, Palma d’oro al Festival di Cannes nel 1985 per Paris, Texas, Orso d’argento al Festival di Berlino 2000 per The Million Dollar Hotel.

Tuttavia, per questa nuova sfida anche Wenders si è trovato all’inizio dinanzi a due problemi. Uno riguardava le performance dei movimenti, infatti lo stesso regista ha confessato che non aveva idea di “come si dovesse girare un film di danza - neanche dopo averne visti tanti”. L’altro riguardava la tecnologia 3D. Wenders è stato infatti un bravo osservatore e ovviamente anche geniale a cogliere al volo certe opportunità, magari a scapito di altri meno attenti. Forse pochi lo sanno, ma il primo lavoro sperimentale di stereoscopia di Wenders ha avuto luogo proprio nel nostro paese, dirigendo già nel 2009 il cortometraggio Il Volo 3D (guarda un po’ che coincidenza) ambientato in Calabria, dove Wenders ha potuto sperimentare e verificare sia gli errori tecnici che le potenzialità del 3D, ovviamente a spese di una regione del nostro meridione (poteva essere diversamente?).

Lo stesso produttore 3D Erwin M. Schmidt non ha esitato ad affermare che è stata un’opera non facile: “Nessuno di noi sapeva come si realizza un film di danza in 3D: abbiamo dovuto prepararci, documentarci, imparare… Così, strada facendo, abbiamo acquisito gli strumenti tecnici per preparare e girare il film, e per curare la post-produzione


Scrutando tecniche e tecnologie impiegate da Wenders

Per girare Pina 3D, Wenders ha usato due cineprese della Sony, sia i modelli da studio montate su una gru telescopica (simile ad un ‘dinosauro’, come lo stesso regista si divertiva a definirla) che alcune mobili, più piccole, per la steadycam. La gru veniva piazzata in mezzo al teatro e riempiva metà dell’auditorium. Un tecnico giungeva fin sopra al palco, così da reggere il peso delle cineprese e dello specchio. Sul set, per il lavoro stereografico, Wenders ha fatto largo uso di speciali monitor 3D per verificare le attrezzature e per visionare l’effetto tridimensionale in immagini anaglife. Nel 3D sono importanti le prove tecniche soprattutto in fase di preparazione finché non si è pronti per l’utilizzo del mezzo. Le riprese di Pina 3D sono avvenute a Wuppertal e dintorni in tre fasi. Nell’autunno 2009 e in primavera ed estate 2010. Nella prima fase seguite dal vivo sul palco del Teatro dell’Opera di Wuppertal, in alcuni casi con il pubblico e registrate per intero, con alcuni dei più importanti lavori della Bausch (molte immagini bidimensionali sono state inserite nel film in 3D), fra cui ‘Sacre du Printemps’, ‘Café Muller’, ‘Vollmond’. Diversi quindi anche i filmati di repertorio di Pina Baush al lavoro, abilmente inseriti nel mondo tridimensionale di Pina 3D. Piuttosto impegnativa la registrazione 3D in teatro, per le difficoltà delle riprese dal vivo. Le camere si muovevano in mezzo ai danzatori, quindi ‘ogni membro della troupe doveva conoscere la coreografia, sapere esattamente dove si sarebbero mossi i danzatori’ spiega Alain Derobe, stereografo del film. Alcune in esterni, in luoghi particolarmente suggestivi (strade, foreste, pendii montani, paesaggi industriali e infine sotto la monorotaia sospesa di Wuppertal). Queste ultime le scene migliori!


La stereografia di Pina 3D

Da un punto di vista stereografico, anche se nel complesso il risultato di Pina 3D è piuttosto accettabile, per un occhio attento ci sono indubbiamente alcuni miglioramenti che si sarebbero potuti apportare. I sottotitoli in italiano spesso non sembrano in 3D e quasi coprono i personaggi in primo piano, dando subito l’idea di un errore di scelta prospettica nello spazio 3D. Problema di facile risoluzione in fase di post-produzione stereoscopica. Tuttavia, la titolazione viene sovente curata anche senza la presenza del regista (soprattutto quella in lingua straniera). Altro neo di Pina 3D sono alcune lunghe coreografie riprese in teatro a distanza, in cui i personaggi non fuoriescono dallo schermo semplicemente per il punto di vista scelto, magari costretti dalle circostanze della produzione e dello spettacolo dal vivo. Forse con una migliore pianificazione, ingegnerizzazione delle scene e con l’ausilio di teatri di posa e green screen, molte scene coreografate sarebbero diventate ancor più esplosive da un punto di vista estetico tridimensionale. Nel complesso, tuttavia, l’impatto che si ha nel vedere uno spettacolo coreografico in 3D al cinema è assai più interessante che stando relegati nelle ultime file di un palcoscenico del classico teatro. Certo, per chi non è abituato a questo tipo di cinema, si rischia in alcuni momenti di venire un po’ sconcertati, soprattutto per l’accentuato espressionismo ‘Tanztheater’ tipicamente tedesco.




 

Pina Bausch. La sua formazione ha ruotato attorno ad importanti nomi della danza internazionale, fra cui Antony Tudor, Alfredo Corvino, Margaret Craskee ovviamente i danzatori della Martha Graham Dance Company di New York, ricevendo nel tempo molti premi e riconoscimenti internazionali (Bessie Award a New York, 1984; Praemium Imperialein Giappone, 1999; Maschera d’oro a Mosca, 2005; Leone d’oro alla Carriera alla Biennale di Venezia e Premio Kyoto entrambi nel 2007 – giusto per citarne alcuni) .

 
 
 
 
 
 
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