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E' il Punto di Vista che fa la differenza

di Marco Marasca

Si è conclusa pochi giorni fa la settima edizione del Festival Internazionale di Cinema Documentario di Navarra, Punto de Vista.

Quest'anno la rassegna ha ospitato l'ultimo cortometraggio di Alan Berliner, Translating Edwin Honing. Il film è un ritratto dell'illustre poeta americano affetto da tempo dal morbo di Alzheimer. Il montaggio e il ritmo del corto sembrano trasformare spezzoni di intervista al poeta, ormai incapace di esprimersi correttamente, in un concerto hip hop, superando la drammaticità della sua condizione e rivelando la forza del personaggio. Questa era una delle uniche due possibilità di vedere il corto poiché, dopo esser stato proiettato qui e al New York Film Festival, verrà smantellato e inglobato in un lungometraggio.

Il premio al miglior film è andato a Foreign Parts di Véréna Paravele J.P. Sniadecki. Il film racconta Willets Point, una zona del Queens, New York. In questo luogo, abbandonato dall'amministrazione comunale della città, si è formato nel corso degli anni, un fiorente commercio di ricambi per auto. Si scoprono così le storie dei vari personaggi che volenti o meno vivono fra l'inquinamento, la violenza e il degrado.

Il premio Jean Vigo alla miglior regia è andato a Clio Barnard.

Il suo The Arbor racconta la storia della drammaturga scomparsa Andrea Dunbar, dei luoghi e delle persone che le hanno vissuto accanto. In particolare scopriremo la vita della figlia Lorraine e della sua personale storia di droga. La regista ha passato mesi intervistando e registrando la famiglia e gli amici della protagonista, poi ha ingaggiato attori che, in playback, recitavano le varie sequenze della storia. Il film, oltre a raccontarci di questo straordinario personaggio ci fa conoscere uno dei quartieri più instabili d'Inghilterra dove violenza, razzismo e ignoranza sono presenti quotidianamente.

Uno dei protagonisti indiscussi del festival e che conferma la tendenza degli ultimi anni è sicuramente il videodiario. Così Naomi Unam nella sua serie The Ukranian Time Machine racconta la sua esperienza di ritorno in Ucraina, paese che anni prima i suoi genitori avevano lasciato per cercare una vita migliore negli Stati Uniti. Ci va con l'intenzione di esplorare questo paese tanto sconosciuto e misterioso per lei, ma soprattutto con la voglia di scoprire se stessa attraverso i luoghi di origine della sua storia.

Anche Andres Duques ci prova e ci riesce abbastanza bene. Il suo videodiario Color Perro que Huye porta a casa infatti il premio del pubblico. Dopo un incidente alla gamba che lo obbliga mesi a letto, il giovane regista venezuelano ha tutto il tempo necessario per trasformare ore e ore di riprese accumulate durante gli ultimi anni in un lungometraggio. Il risultato è un viaggio alla scoperta di se stesso, attraverso il presente e il passato, dove luoghi e fatti reali sono mischiati a luoghi e avvenimenti fantastici, ma non per questo meno veritieri.

Gravity was everything back then è senza dubbio uno dei film più originali del Festival. Una storia d'amore narrata nel giardino di casa, perché è proprio li che il regista, Brent Green, ha costruito la scenografia per le riprese del suo film. La musica composta dallo stesso Green ci introduce nel fantastico mondo di Leonard e Mary. L'opera combina stop-motion, attori, effetti speciali per riscostruire una storia d'amore e di malattia semplice e brillante.

Un'interessante sorpresa del festival è stato il lungometraggio Correspondencia Jonas Mekas – J. L. Gurerin. Poco tempo fa il CCCB (Centro di Cultura Contemporanea di Barcellona) aveva proposto a una serie di cineasti distanti geograficamente e artisticamente tra loro, di iniziare una serie di corrispondenze audiovisuali. Un progetto di interscambio che ha coinvolto artisti come Abbas Kiarostami, Victor Erice, Isaki lacuesta e Naomi Kawase. Questa era la volta del documentarista lituano, naturalizzato statunitense, Jonas Mekas e il giovane catalano José Luis Guerin. Camera digitale a la mano i due si sono cimentati in una serie di videolettere dove raccontanto liberamente se stessi e il mondo intorno a loro. Jonas Mekas, uno dei massimi rappresentanti del cinema sperimentale dal dopoguerra ad oggi, narra la sua vita a New York, città dove vive. Spiega la sua passione per l'audiovisuale e la necessità quotidiana di filmare la realtà che lo circonda. José Luis Guerin, esponente di riferimento del cinema d'autore in Spagna non è certo da meno: racconta la sua esperienza nel mondo del cinema, tra festival e interviste analizza la sua crescita personale e artistica degli ultimi anni. Quello che ne esce è uno scambio espistolare che oltre ad arricchire i due cineasti arricchisce lo spettatore, che assiste ad un esperimento singolare dove il cinema reagisce direttamente a la vita.

 
 
 
 
 
 
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