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Rubrica del 07 04 2011

 
 
 
 
 
 
 
 
 
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Rubrica

Jan Švankmajer - Moviement n°6

di Chiara Orlandi

La sesta uscita di Moviement, edita nel gennaio 2011, è dedicata all’opera di Jan Švankmajer, autore surrealista, ancor oggi, poco noto alla platea occidentale e in particolar modo a quella nostrana. La pubblicazione di cultura cinematografica, curata da Gemma Lanzo Editore, propone un approfondimento del regista ceco (classe 1934) attraverso la lettura critica di cinque saggi, un’analisi filmica e un’appassionante intervista condotta in più fasi da Peter Hames, ricercatore associato alla Staffordshire University.

Le tematiche e i contenuti delle pellicole del regista sono esplorate con minuzia di dettagli e ricchezza di citazioni provenienti dallo stesso regista. Il lettore viene dunque guidato in un excursus che prende il via dalle origini della messa in scena svankmajeriana pervasa dal simbolismo della tradizione teatrale boema, come l’uso delle marionette e dei burattini, ma anche da un’influenza politico-sociale che ha fortemente caratterizzato la sua poetica cinematografica soprattutto quella degli esordi. Nonostante sia stato premiato in diversi Festival internazionali e la sua produzione abbia finora all’attivo ventisei cortometraggi e due lungometraggi, Švankmajer è stato sempre, a torto, collocato nelle zone marginali della critica cinematografica in particolar modo di quella che si occupa dell’animazione. La sua tecnica, affinata nel tempo, si dimostra alquanto diversa da quella disneyana o generalmente conosciuta come “classica” americana: uso dello stop motion e della pixellation; uso di oggetti notoriamente inanimati come le carcasse di animali o la carne cruda; situazioni e personaggi che attingono dal surrealismo di Lewis Carrol e di Fellini (per citarne solo alcuni). Come già osservato da Terrence Rafferty, egli va al significato dell’animazione, ovvero infondere la vita alle cose inanimate. Nella maggior parte della sua produzione, infatti, si riscontra l’omissione di dialogo a favore del movimento di oggetti che non si comportano come accade nella norma delle cose e, tale fenomeno, suscita spavento nello spettatore se non addirittura un sentimento di orrore. Non a caso l’immaginario di un classico come Edgar Allan Poe è fonte di continua ispirazione per il regista ceco che trasforma le parole dell’autore americano nelle inquietanti visioni della Cecoslovacchia comunista del XX secolo. Altro punto cardine è la figura dell’Arcimboldo, pittore milanese vissuto nel XVI secolo che operò presso la corte di Rodolfo II a Praga. L’omaggio più diretto all’artista è un corto di 30 secondi intitolato Flora (1989) in cui una figura femminile composta da vegetali e frutti si deteriora fino a raggiungere la putrefazione.

La pubblicazione si conclude con una deliziosa intervista, realizzata in tempi diversi, in cui Jan Švankmajer ripercorre le tappe della sua opera dai primi passi in teatro fino alle sperimentazioni “tattili”, dal cinema inteso come tentativo di codifica del sogno all’idea di montaggio come occasione di connessione tra il film e il sogno. E proprio il sogno ha un’importanza non indifferente al cinema: egli auspica a un continuo interscambio tra sogno e realtà poiché non vi sono ponti logici tra essi ma soltanto il gesto fisico dell’aprirsi e del chiudersi delle palpebre. Il cinema dunque ha il potere di perpetuare tale sogno ad occhi aperti.

Al termine dell’intervista si trova un decalogo apparso per la prima volta nel 2006, un piccolo compendio di regole-base composto dall’autore forse per i posteri (?) e che si dimostra applicabile in qualunque campo artistico, purchè l’opera renda servizio esclusivamente alla libertà.

Dalle pagine dei saggi di Moviement esce il ritratto di un autore estremamente eclettico, rivelatore di un surrealismo complesso ma coerente con la realtà e detentore di una rappresentazione culturale ferocemente critica nei confronti dell’ideologia totalitaria. Švankmajer, a lungo sottovalutato soprattutto in Italia, oltre ad essere stato una preziosa influenza nella formazione di personalità registiche contemporanee come Tim Burton o David Lynch, è stato posto sotto i riflettori della critica solo in tempi molto recenti e viene annoverato, a ragione, tra le menti più geniali della cinematografia d’animazione.


 
 
 
 
 
 
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