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Rubrica del 09 10 2005

 
 
 
 
 
 
 
 
 
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Rubrica

The Mother of Us All

di Fabrizio Ferrero

Anita Trivelli
Sulle Tracce di Maya Deren - Il Cinema Come Progetto e Avventura

340 p.
ill.
EUR 29,80

Collana: Il Pesce Volante
Edizioni Lindau


In Italia non si è mai parlato molto di Maya Deren, perlomeno se prendiamo come indice attendibile le pubblicazioni in merito: solamente in occasione della mostra Il Grande Occhio della Notte - Cinema Americano d'Avanguardia 1920 - 1990, tenutasi al Museo Nazionale del Cinema di Torino nel 1992, uscì un volume collettivo omonimo a cura di Paolo Bertetto (Lindau, 1992) nel quale era presente un contributo di Gianni Rondolino: Eleanora Derenkovskij detta Maya Deren.
L'appassionato libro di Anita Trivelli va a colmare questa lacuna proponendosi come un'opera di riferimento, frutto di ricerche presso l'Anthology Film Archives di New York, l'Harvard Film Archives e la Cinema 16 Film Society di New York e la Mugar Library della Boston University, dove sono depositate una quarantina di scatole contenenti materiali raccolti dalla regista durante la sua attività. Un'altra importante fonte, spesso citata dall'autrice, è l'ormai classico The Legend of Maya Deren. A documentary Biography and Collected Works di Vèvè Amasasa Clark, Millicent Hodson, Catrina Neiman e Francine Bailey Price.
Il percorso alla ricerca delle tracce si apre con un'ampia sezione biografica che copre l'intera vicenda umana, culturale, politica ed artistica di Maya Deren, dagli anni della formazione alla Syracuse University e allo Smith College fino alla piena padronanza del mezzo cinematografico, dagli incontri fondamentali con Katherine Dunham e Alexander Hackenschmied (Sasha Hammid) al naturale approdo, quasi una predestinazione, ai recessi più profondi della ritualità nella danza che la vedrà giungere fino ad Haiti ed al vudù, esperienza per la quale Eleanora rifiuterà il ruolo dell'antropologa di stampo accademico, osservante in modo obiettivo e non partecipe.
Segue quello che è considerabile come il cuore pulsante  e luminoso del libro, il centro assoluto dell'evoluzione artistica della regista che, attraverso la scrittura, la poesia, la fotografia e pionieristici corsi universitari di cinema, sceglie lo sbocco creativo più confacente alla sua poliedrica personalità: una Bolex 16mm, la pellicola, le immagini, il cinema. L'accuratissimo lavoro di Anita Trivelli si concentra sui film considerati ultimati e compiuti tralasciando le opere abbandonate (espressione che Maya mutua da Paul Valéry), fatta eccezione per l'Haitian Film Footage , work in progress sospeso che nel 1977 fu sonorizzato da Teji Ito (ultimo marito di Eleanora), montato dalla moglie Cheril e fatto uscire con il nome di Divine Horsemen. The Living Gods of Haiti riprendendo il titolo del libro antropologico di Maya.
Ad ogni film è dedicato un capitolo che si addentra in un'esaustiva analisi formale e contenutistica, non sganciata dalle contingenze storico-biografiche, anzi, spesso e volentieri arricchito da episodi quasi aneddotici che gettano ulteriore luce sulla personalità della regista, sui suoi processi creativi, sulla sua metodologia di lavoro, nonché sui suoi rapporti con la grande rete di amicizie e conoscenze nell'ambito delle avanguardie sia autoctone, sia europee dato il gran numero di personaggi transfughi in America negli anni '40. Anzi cruciale è proprio il non  rapporto di Maya Deren con il surrealismo, categoria nella quale fu infilata a forza dopo l'uscita di Meshes of the Afternoon, fatto che causò la pronta e duratura, continua smentita di un qualsiasi intento surrealista nei film della regista, forse in primo luogo per la  sua naturale insofferenza a qualsiasi operazione di etichettamento o incasellamento in una singola tendenza artistica.
La terza ed ultima parte del volume si occupa degli scritti di carattere antropologico e di teoria cinematografica, scritti che nascono sia da esigenze intellettuali e di ricerca sia da necessità di guadagno: Maya Deren continuò per tutta la vita (escludendo gli ultimissimi anni)  la pubblicazione di suoi articoli in riviste sia specializzate che "commerciali". Essi spaziano dalla possessione religiosa nella danza all'autonomia del mezzo cinematografico, dal montaggio creativo alla necessità del cinema a basso costo, fino all'importante volume che scaturisce dall'esperienza haitiana: The Divine Horsemen.
L'immagine di Maya Deren che emerge dal libro di Anita Trivelli è quella di un'artista in anticipo sui tempi, indipendente e determinata, una quasi hippy, per certi versi, vent'anni prima degli anni '60, che si disegna e si cuce gli abiti da sé, trasforma i suoi set in veri e propri happening e passa notti insonni alla console di montaggio. Lei è the mother of us all come ebbe a dire Stan Brakhage, è una goddess of the spring, goddess of the NAC (New American Cinema) nelle parole di Grigory Markopoulos; certamente non è l'iniziatrice assoluta del cinema di avanguardia in America ma è colei che lo fa diventare adulto gettando le fondamenta, per la prima volta, di un sistema di produzione e distribuzione che ignora e bypassa Hollywood.

 

 

 

Anita Trivelli insegna cinema sperimentale e di avanguardia al DAMS, facoltà di Lettere e Filosofia, università di Roma Tre.

 
 
 
 
 
 
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Commenti
 

I lettori hanno scritto 16 commenti

 
 
utente
lucio
  • indirizzo IP 87.1.36.126
  • data e ora Domenica 09 Ottobre 2005 [19:46]
  • commento gran bella rece, fa! :) io cmq nei suoi corti ci vedo parecchio surrealismo... mah!
 
 
 
 
 
utente
Fabrizio
  • indirizzo IP 151.37.167.164
  • data e ora Domenica 09 Ottobre 2005 [20:37]
  • commento Guai se il fantasmino di Maya ti sente. Lei considerava il surrealismo come una pratica molto individualista di confessione dei meccanismi inconsci personali. In Maya Deren c'è un discorso più general
 
 
 
 
 
utente
Fabrizio
  • indirizzo IP 151.37.167.164
  • data e ora Domenica 09 Ottobre 2005 [20:40]
  • commento E' più junghiana che freudiana, per tagliarla con l'accetta.
 
 
 
 
 
utente
Fabrizio
  • indirizzo IP 151.37.167.164
  • data e ora Domenica 09 Ottobre 2005 [20:41]
  • commento Mentre Breton e compagni facevano un discorso molto molto freudiano, personale e non archetipico.
 
 
 
 
 
utente
lucio
  • indirizzo IP 87.1.158.111
  • data e ora Domenica 09 Ottobre 2005 [22:40]
  • commento se ti spieghi con un esempio, non capisco più niente. :D
 
 
 
 
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