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Divanetti

Rubrica del 29 09 2005

 
 
 
 
 
 
 
 
 
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Rubrica

Ora capisco perché scrivono per Cineboom

di Pattuglia veneziana

Alice Trippolini

Girasoli e censura, ma anche vips e radical chic

Questo è il mio personalissimo e discutibilissimo resoconto della 62. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia. Io, come molti provinciali dell'Italia meno alla moda, sono affezionata a questo contestatissimo festival, anche quando è obsoleto, censurato e pieno di gaffes. Per esempio, nei primi giorni si vociferava che il povero Spike Lee fosse stato fermato al metal detector mentre andava ad una conferenza stampa, costretto ad aprire lo zaino e poi fatto passare. Per non parlare dei ritardi delle proiezioni, delle file che si incrociavano tra di loro, da una parte quelli che andavano al Palagalileo e dall'altra quelli che premevano per entrare in Sala Grande. Poi le conferenze stampa ridicole, brevissime, dove sembrava di essere ad un cineforum dove ognuno esternava la sua interpretazione. Oppure le postazioni di lavoro in sala stampa, non più di una trentina, con tutti i giornalisti che arrivano da mezzo mondo: sembrava di stare in un liceo. Insomma, il Festival di Venezia è sputtanato dal punto di vista tecnico logistico. Però quest'anno i film utili erano più di uno. Si è parlato di censura, con George Clooney e il suo bellissimo film, con Mary di Abel Ferrara, con La passione di Giosué l'ebreo e con Viva Zapatero di Sabina Guzzanti. Questi ultimi sono stati tolti dalle selezioni ufficiali senza una spiegazione plausibile. Ci sono il documentario di Solanas e Seven Swords. Poi, va beh, a me sono piaciuti infinitamente Bubble e Lady Vendetta, ma anche il surreale Everything is illuminated. In questo film ci sono un sacco di girasoli, forse è per questo motivo che mi è rimasto così impresso. Non solo, parla della persecuzione degli ebrei, prima del fascismo, in Ucraina: da vedere anche solo per il contenuto, se la forma non vi piace. I girasoli ci sono anche nel film Kuihua Duoduo (I girasoli, credo si chiamerà) una storia poetica che racconta uno stupro, un pentimento e una specie di redenzione. Ma, ovviamente, c'è anche un po' di gossip. Quindi, ecco i politici che fanno finta di essere acculturati e amanti del cinema, pare che vada di moda da quando un sindaco parla di cinema in una rubrica mensile. Ecco Edoardo Costa e Valentino, Marta Marzotto e Tony Renis. Ben poco a confronto con i fascinosissimi attori stranieri che fanno scena: Heath Ledger, Matt Damon, Orlando Bloom, George Clooney e Jake Gyllenhall. Scompiglio per un gruppo di bionde altissime e seminude che giravano con una scritta sugli abiti contenente la parola "Sex": tutti hanno pensato ad una promozione di un film di dubbio gusto, cercando di capire dove poterlo vedere.
Non solo: c'erano Barbara Bouchet, Maria Grazia Cucinotta e Franco Battiato, pare arrabbiatissimo per l'accoglienza al suo film. Troppi fischi, ma è il rischio di partecipare ad un festival dove tutti i cinefili frustrati del nostro povero e declassato paese trovano il loro stadio personale. Franco ha detto di aver iniziato a scrivere musica solo per i soldi e di essere rimasto fedele al pubblico per lo status di vita che gli hanno permesso di mantenere. Essere incompresi e creativi è molto radical chic. Radical chic sono anche gli abbinamenti di vestiario delle giornaliste più alla moda, dal rosa salmone all'acconciatura con finti rametti secchi. Oppure alcuni giravano con orrende e spaventose ferite create da appositi truccatori, appena fuori dal casinò. Radical chic fare la fila con del sangue (finto? Chi lo sa, magari è di qualche manifestante acchiappato di nascosto) e appiccicato sul viso. Infine radical chic è il giornalista che fa finta di non voler andare alle feste esclusive di cui solo i giornalisti e i produttori "IN" hanno l'invito. Oppure che si lamenta di aver ricevuto troppi gadgets promozionali, ma poi ecco che ogni giorno ne sfoggia uno nuovo. Forse anche io un giorno potrò diventare radical chic.

 

P. G.

Venezia atto secondo

Sarà che l'anno scorso ero più motivata, o che era la Prima Volta, o che quest'anno l'universale serenità è turbata dall'ingombrante ma utile presenza di ben 400 tra poliziotti e forze dell'ordine di vario tipo… ma l'atmosfera non è spensierata come avrebbe dovuto. I simpatici guardiani ad ogni attraversamento della zona rossa (vale a dire ogni volta che devi trasferirti di sala, mangiare, bere o fare pipì)  ti perquisiscono la borsa… da cui spunta puntualmente tutto ciò che non deve, vale a dire assorbenti, preservativi (non a me, ma è capitato), il bicchiere rubato doverosamente al bar. Eh sì, perché quello vale come risarcimento: se non è un furto un panino a 4,50, una coca a 3,50… tocca prendere lo Spritz, praticamente la cosa meno cara che si possa comprare in qualsiasi bar al Lido di Venezia: io sono astemia, quindi entro in sala puntualmente brilla. Lì mi attendono spesso e volentieri ronfate interminabili: tipo quella, memorabile, durante lo splendido documentario tedesco senza dialoghi sui monaci di Grenoble. Dopo un quarto d'ora tutti ronfano anche se il film è poetico da morire; molti escono alla chetichella; io non posso, ho il regista dietro ed è pure simpatico, ci ha messo 16 anni ad ottenere il permesso dai monaci di girare il film, potrò resistere un paio (e più) di ore…???
Eroicamente ce la faccio, ma mi aspetta il film con Bjork simpaticamente vestita da bambolina, di rosso e arancione (o era rosa?): Mattew Barney, tutti lo sanno, è un genio dell'arte contemporanea, non si può saltare. Passano faticosamente le due ore di 'esperienza amniotica' cui io e i miei amici, seduti sul solito gradino libero con in mano l'inevitabile Spritz, ci scervelliamo per dare un senso, poi leggiamo le note sul catalogone universale e scopriamo che il regista definisce modestamente l'opera 'una meditazione sul processo creativo, un imbuto disciplinante in grado di captare l'energia naturale e ancora senza meta per incalanarla verso qualcosa di utile'.
E per di più si tratta di una metafora per descrivere i rapporti tra Giappone ed America dopo Nagasaki… non avevamo capito niente, noi eravamo arrivati tutt'al più alla banale metafora di una levata di scudi contro la caccia alle balene… delusi dalla nostra incompetenza, andiamo a farci un secondo Spritz.
Film successivo è Arido Movie, simpatico road-movie latino-americano che si conclude con allucinazioni da droghe locali (Pejote). Faccio amicizia con una simpatica guardia che redarguisce me e il mio amico; lui ha acceso una sigaretta a metà sala all'uscita, la guardia credeva si trattasse di altro, sbandiera tutto il suo potere e minaccia il mio amico di non farlo entrare mai più al Festival del Cinema di Venezia, lui gli ride in faccia e da quel momento ogni volta che entro ad una proiezione temo di vedermi il tipo di fronte che mi costringe a rivelargli il nome dell'amico per poterlo espellere per sempre.
Lo stesso amico eccotelo che va a fare pipì e incontra Abel Ferrara nel corridoio del bagno, totalmente sconvolto come al solito (Ferrara, intendo; non che il mio amico sia da meno) e nessuno dei due riesce a passare nel corridoio per 10 minuti buoni… lui cerca di rivolgere la parola al buon Abel ma questo non sa dire che: What happens? What happens?
La notte, il mio compagno di stanza insiste per massaggiarmi prima il collo poi i piedi, ma non lo lascio assolutamente fare; per fortuna nel momento più critico torna a casa la coppia di miei amici con cui per risparmiare dividiamo la stanza (lui è quello di prima, del Pejote) .
I due sono una coppia aperta, se la ridono delle mie ingenuità e mi propongono velatamente una cosa a tre, ma è la terza volta che ci provano ed ormai lo fanno solo per logoro principio o per pura provocazione. Forse gli dico sì al prossimo Festival, quello di Torino, nell'autunno triste e senza Spritz ma col cioccolato caldo.

 

Piervittorio Vitori

Venezia 62 - Dettagli di un festival vissuto pericolosamente


Ha il sapore di un'ironia un po' beffarda trovarsi a dover scrivere un pezzo di contorno sul Festival di Venezia per una rubrica che si chiama "divanetti". Il divanetto, proprio uno degli accessori che più ho bramato in dodici giorni piuttosto scarsi quanto a comfort. Mettete insieme infatti un accredito culturale ed un posto-tenda ed otterrete quella che, tra i festivalieri stanziali (cioè tra quelli che al Lido anche ci pernottano), è la forma di vita più negletta. Fai base in un posto che si trova a 45' a piedi dal Palazzo del Cinema, e la notazione non è peregrina, considerando che dopo la mezzanotte di autobus in giro non ce ne sono e al campeggio devi tornarci, appunto, a piedi. Il microcosmo del campeggio, poi, è fatto di competizione (ad esempio quella per le poche prese di corrente, che scatenano la corsa dei caricabatteria dei cellulari), ma si rivela anche una scuola di tolleranza. Tolleranza rivolta in primis verso i tuoi "colleghi": notti che, in quanto brevi e non comodissime, si vorrebbero almeno tranquille, sono invariabilmente scandite da conversazioni ad alto volume ed altre emissioni sonore di inquietante e talora insondabile natura provenienti dalle tende vicine, a cui va poi aggiunta la musica proveniente dal Pachuca e dalla Global Beach. Nei casi più estremi la tolleranza è anche figlia di una convivenza forzata con comunità di formiche che, approfittando di fatali attimi di distrazione del campeggiatore, decidono di aprire a fianco del suo sacco a pelo una fortunata succursale del loro formicaio. È stato purtroppo il mio caso, e per fortuna a quattro giorni dal mio arrivo sono arrivati i rinforzi, sotto forma di amici muniti di insetticida che mi hanno permesso di porre parziale rimedio al problema: accompagnato dalla suoneria del cellulare, opportunamente settata sulla Cavalcata delle Valchirie di Wagner, ho potuto rinverdire i fasti di Robert Duvall in Apocalypse now! con un crudele bombardamento a tappeto. Adoro l'odore del baygon la mattina presto!
Non che la mia battaglia con il mondo degli invertebrati si sia limitata al campeggio, anzi. Complice soprattutto l'afa dei primi due giorni, che sconsigliava l'utilizzo di abbigliamento "lungo", i miei arti si sono trasformati in terreno di conquista per orde di fameliche zanzare, croce (senza delizia) delle lunghe ore trascorse in coda all'ingresso delle varie sale. E proprio l'elemento code rappresenta il maggior problema dell'accreditato culturale in quanto tale. Se il campeggio insegna la tolleranza, il tesserino verde insegna la pazienza: quella necessaria, ad esempio, per sopportare due ore di fila inutile per la proiezione di The Brothers Grimm al PalaGalileo. Chi sostiene che la lotta di classe è morta dovrebbe venire al Lido con l'accredito più plebeo: vedere giornalisti o possessori di "industry" entrare in sala all'ultimo momento quando tu, per l'attesa sotto il sole, hai già raggiunto un ragguardevole livello di cottura, può provocare reazioni non proprio ispirate all'amore fraterno. Ma questo, si potrebbe sempre dire, fa parte delle regole del gioco. Quello che invece non è contemplato dal regolamento è il rituale salto della coda operato da personaggi all'apparenza insospettabili, tutti regolarmente (e per me sorprendentemente) over 50. In questo esecrabile sport pare essersi particolarmente distinta una vecchina dall'aria dolce ed inoffensiva, destinata a finire negli annali come "la signora con il cellulare": la sua astuta tattica consisteva nel rubare posti in fila per poi fingere di essere impegnata, per decine e decine di minuti, al telefonino, allo scopo di inibire le reprimende dei "sorpassati". Tra i fenomeni da coda, il suo corrispettivo maschile era "il paciere": un sessantenne allampanato che spesso polemizzava con gli addetti di sala per poi, quando qualche ingenuo si univa alle sue proteste, fare l'innocente ed anzi proporsi appunto come mediatore tra le parti.
L'approvvigionamento di cibo ed il disbrigo delle successive formalità deiettive rappresentano poi altrettanti scogli nella giornata-tipo del paria festivaliero. Costui non ha tempo né possibilità di cucinare, il suo budget è limitato ed il campeggio non dispone di toilettes se non alla turca.
È così costretto ad individuare quanto prima delle postazioni tattiche ove far fronte alle suddette esigenze. Per quanto riguarda la seconda, i wc del casinò diventano una scelta obbligata; quanto al mangiare, il ventaglio di opzioni è leggermente più ampio. Per la colazione conviene scegliere tra il chiosco di via Gallo (strategico perché a due passi dall'Area Alice, ma da evitare se avete bisogno di scontrini per giustificare le spese) e il bar in riviera S. Nicolò (strategico perché sulla strada dal campeggio e perché dotato di toilettes… tecnologicamente avanzate). A meno, ovviamente, di non voler spendere 5,30 € in un bar situato in zona-centro, e posto che non si debba aspettare l'ultimo giorno, come accaduto al sottoscritto, per scoprire che esiste un bar anche all'interno del campeggio. Il pranzo consisteva, il più delle volte, in un gelato afferrato nel tragitto dall'Area Alice al Palazzo del Cinema e consumato prima dell'ennesima coda al PalaGalileo o alla Sala Grande. La sera, infine, quando con 2-3 film già alle spalle ci si poteva permettere di sfidare il rischio di un abbiocco, sostanziosa (…) cena rappresentata da un panino trangugiato in uno dei chioschi prossimi al Casinò. Alla luce di tutto questo, è ovvio che la pizza di giovedì sera sia stata salutata come fosse stata un'anatra all'arancia; meno ovvio che sia tornato a Gorizia con 3 kg in meno, ma, ahimé, sto già recuperando.
Ho invece già recuperato, per lo meno a livelli accettabili, una salute parzialmente compromessa dalla schizofrenica climatizzazione delle varie sale, unico elemento che pare abbia fatto vittime senza distinzione di sesso, età, razza, casta, censo. A PalaGalileo pieno si sudava, mentre in Sala Perla e soprattutto all'Area Alice imperavano correnti e temperature quasi artiche (agghiaccianti, in senso stretto e non tanto per il film, le 3 ore di proiezione di Les amants réguliers alle 8.30 di mattina). Conseguenze, a livello personale: 3 giorni a tachipirina per debellare un raffreddore accompagnato da congiuntivite, raffreddore che comunque mi ha timidamente accompagnato per tutto il prosieguo della mostra.
Infine, i tanto demonizzati metal detector, la principale variabile impazzita della mostra. In realtà hanno creato meno problemi del previsto, con code piuttosto snelle, ma le logiche che presiedono ai controlli e alla taratura dei mezzi sono rimaste oscure.
Si poteva spesso entrare in sala con macchine fotografiche e piccole videocamere, in barba alla sorveglianza, ma in alcuni casi bastava un mazzo di chiavi a far scattare sull'attenti il sistema, ed una volta è finito nel mirino di uno degli addetti anche il mio tubetto di dentifricio, che di metallico, poverino, non aveva nulla. Più sensato bloccare lo spettatore che si portava dietro un coltello da cucina o quello che cercava di far passare una bottiglia di vodka, piena (che fai, ti ubriachi durante la proiezione?). Significativo, poi, che solo dopo una settimana in cui ti sei abituato a vederti rovistare nel bagaglio a mano senza complimenti arrivi l'addetto scrupoloso a spiegarti che per mettere le mani nel tuo zaino ha bisogno del tuo permesso…
Concludendo, non vorrei dare l'impressione di un'esperienza negativa: per il vero cinefilo i fattori summenzionati costituiscono un prezzo non troppo alto per dodici giorni comunque estremamente piacevoli. Venezia 63, quindi, mi rivedrà probabilmente al Lido, anche se magari (spero) con accredito stampa ed in appartamento. E allora del divanetto potrò anche fare a meno.

 

Nicola Tedeschi

Mi si richiede un'affabulazione in libertà sui giorni della Mostra quale contributo personale a un "divanetto".

Raccolgo l'invito con piacere e non posso nascondere la beffarda ironia che si cela dietro questo sostantivo, ora che sono comodamente seduto sulla mia ergonomica sedia, rilassato, adeguatamente nutrito da una abbondante colazione consumata con lentezza (ho persino i quartetti di Brahms in sottofondo). Ora cioé che un "divanetto" - compreso quello che realmente posseggo - non mi é di alcuna utilità, mentre durante il mio soggiorno al Lido avrei in più occasioni persino pregato - o messo mano al mio libretto di assegni, azione che per molti é in pratica equivalente - pur di vederne uno materializzarsi davanti ai miei occhi: durante l'attesa in piedi davanti allo Spazio Alice, alle 8.00 del mattino, profondamente immerso in una coltre nebulosa da "sonno arretrato e precocemente interrotto", lo stomaco ancora paurosamente vuoto, con le dita incrociate per scongiurare la visione di qualche film inguardabile (non sempre tale gesto é servito); o nel corso delle interminabili classiche code davanti al Palagalileo (vi svelo perché si chiama così: pare che il Galilei abbia pronunciato la sua nota espressione "eppur si muove" proprio osservando una coda di accreditati spostarsi in avanti di due centimetri dopo sette ore di assoluta immobilità, durante la Mostra del 1619.) Invece nulla, che vi fosse un'afa opprimente o una pioggia sferzante (la Mostra é l'unica manifestazione al mondo in cui le due situazioni possono concretizzarsi a distanza di pochi minuti) nessun divanetto é mai apparso all'orizzonte per soccorrere il mio vacillante equilibrio e offrire riposo e comfort al mio fisico sempre più provato e sofferente.
Quando poi, come per miracolo, mi é parso di avvistarne qualcuno, come all'interno della famigerata Terrazza Martini (quella zona così esclusiva e protetta che una volta, durante un affollato party per un film italiano, ci ho trovato due anziane signore col carrello del Billa che si erano perdute e tentavano invano di trovare l'uscita), ho scoperto ben presto che di puro e semplice miraggio si trattava: come in un incubo, o in una gag di Buster Keaton, un secondo prima di sedermi il divanetto veniva sempre irrimediabilmente occupato da un macho abbronzato, una signorina già un poco brilla, un vecchio playboy di provincia dall'aria decadente, un aspirante giornalista in cerca dello scoop (tipo: una delle anziane col carrello é in realtà la nuova fiamma di George Clooney).
A questo quadro già di per sé difficile da gestire per un essere tendenzialmente pigro e indolente quale con gli anni sto diventando, si aggiunga il mio inserimento nella "giuria popolare" di CIAK, con obbligo di visionare tutti e 20 i film in concorso; uno sforzo notevole, coronato peraltro da uno straordinario successo (un en-plein storico per me e ineguagliato dagli altri membri della giuria, alcuni dei quali hanno insinuato che si tenessero soltanto per me proiezioni notturne); successo pagato caro, anche perché si é trattato di rincorrere continuamente il programma delle proiezioni, complice un inizio ad handicap con un accredito "cinema" (quello verde, che come tutti sanno é uno strumento quasi infallibile per non essere ammessi alle proiezioni), poi sostituito (potere di CIAK !) con un più efficace tesserino "media press" (quello giallo, il più debole tra quelli realmente funzionanti, ma comunque sufficiente per uscire dallo status di "paria" in questo curioso sistema di "caste postmoderne" che fonde mirabilmente in sé le caratteristiche di una tecnologia avanzata e una struttura di privilegi di classe di sapore arcaico).
Il sigillo finale venerdì 9 settembre, poco dopo le 13: uscito di corsa dopo il film della Comencini ("ultima proiezione", per dirla alla Zeno Cosini) sotto il diluvio che da tre ore flagellava il Lido, atteso alle 14 davanti al Casinò dove mi aspettava la premiazione del concorso "Ridateci i soldi" promosso dall'immancabile Gianni Ippoliti (il vostro umile inviato era tra i 10 finalisti con ben 2 stroncature selezionate, spero sarete orgogliosi di me), stanco e oramai in disarmo non considero che nulla al mondo é più scivoloso dell'erba sintetica dopo un'abbondante pioggia.
Come in una comica di Ridolini, senza sapere come mi trovo in posizione stranamente orizzontale, immerso nella melma, sguazzante in oltre 30 centimetri di acqua limacciosa, il mio completo di lino tinta ecrù (si dice così, no ?) intriso di fango, le mie scarpe inzuppate e luride.
E' stato tutto così repentino e surreale che nessuna tra le centinaia di persone intente a sfollare dal palatenda sotto il diluvio ha osato - o semplicemente ha avuto il tempo - di ridere. Ho forzatamente saltato la premiazione del buon Gianni e ho deciso che quel segno - divino o meno che fosse - era inequivocabile: due ore dopo ero alla stazione dei treni.
Ho saputo il giorno dopo: che i due film per me migliori (Clooney e Ang Lee) sono stati valutati tali anche dalla Giuria; che i miei voti su CIAK sono stati i più bassi in assoluto e che per questo mi sono guadagnato mio malgrado fama di "incontentabile"; che non ho vinto il primo premio al concorso di Ippoliti; che grazie a Dio nessuno ha immortalato la mia rovinosa caduta nella pozzanghera... vantaggio di non essere un VIP.
Dalla Mostra quest'anno ho ricavato alcuni insegnamenti utili per il futuro: se se ne ha la possibilità vale veramente la pena essere lì dall'inizio alla fine; mai partecipare se non si ha almeno un accredito di colore giallo (naturalmente mi candido anche per il prossimo anno se Cineboom me ne fa avere uno, il mio cineclub al massimo me ne fornisce uno verde); mai vestirsi di chiaro quando la giornata si annuncia nuvolosa; mai correre; e soprattutto, ricordare di portarsi un comodo divanetto da casa.

 

Francis Purocotone

Dove ho sbagliato?

Questo è proprio il genere di domanda che non bisogna assolutamente porsi trovandosi ad affrontare situazioni estreme tipo il morso di un cobra idrofobo, la carica di un rinoceronte armato della consapevolezza del tuo appartenere alla razza che corre seriamente il rischio di estinguerlo (e di un corno di un metro), o l'accerchiamento dialettico da parte di un branco di cinefili mannari.
"Dove ho sbagliato?" è soltanto il primo passo verso una serie di vagabondaggi mentali (errare humanum est) che ti porteranno invariabilmente ad affermare che "non è che perché i fratelli Grimm l'ha girato Tim Burton dev'essere per forza onirico in ogni suo fotogramma". Lo sai tu, lo sanno loro che volevi dire Gilliam, che il lapsus è più che freudiano e compagnia bella, ma questo non ti offrirà alcuna via di scampo: il cerchio si stringe, presto la radura illuminata dai pallidi raggi di una luna quasi piena si tingerà del tuo sangue, mentre gli alberi scricchiolano feroci maledizioni e tendono i loro rami pronti ad afferare i tuoi poveri resti.
Volendo a tutti i costi trovare una risposta, ho sbagliato ad applicare il comandamento numero due ("coerente nell'incoerenza") al posto del numero uno ("non parlo di ciò che non conosco"), ma è una magra soddisfazione, calcolando che dopo aver avventatatmente definito l'ultimo capolavoro di Terry Gilliam "uno Sleepy Hollow più stiloso" ho decretato la mia lapidazione sulla pubblica piazza.
A nulla è servita una coraggiosa e lucida arringa in cui davo vita ad un interessante paragone tra i tratti caratteristici dei personaggi di Matt Damon (Will Grimm) e Johnny Depp (Ichabod Crane), oppure un carpiato dialettico in cui sostenevo che la recitazione caricata e, immagino, volutamente farsesca di Peter Stormare (Cavaldi) faceva da contrappunto a quella innatamente innaturale, ma in questo caso appropriata, di Monica Bellucci (la regina dello specchio). E immagino che comunque non avrei dovuto citare l'imbarazzo di sentire evocata in qualche scena un'atmosfera stile Il patto dei lupi, ma a pensare prima di parlare sono bravi tutti.
Ecco, ho divagato. E loro ne approfittano per attaccarmi da ogni lato: faccio appena a tempo a schivare un pesante "talento visionario", che mi si para davanti una "ignoranza allucinante" e mentre credo di fissare la mia fine negli occhi, un "i Lumière si rivoltano nella tomba" mi abbatte, colpendomi alle spalle.
In questo momento le seguenti parole si snodano nella mia mente, come una formula magica: Lumière, Parigi, francese, rivoluzione, liberté, Voltaire.
E intravvedo una soluzione:
- Nessuno pur non condividendo le mi idee sarebbe disposto a morire (al mio posto) pur di permettermi di esprimerle?
L'ultima cosa che riesco a sentire è "nozionismo liceale", poi il nulla. Non è stata una grande idea.
A me quest'anno la mostra è piaciuta: al primo piano del palazzo del cinema c'erano dei comodi divani in vimini e piuma d'oca da una piazza e mezza (del valore di 7.000 euro l'uno mi dicono voci ben informate), dove potersi comodamente distendere a leggere (cit.). Il problema è che quest'anno ho finito di lavorare il giorno in cui la mostra è iniziata; ho fatto comunque in tempo a registrare una bella serie d'isterisimi e abusi di potere indotti credo dalla presenza di metal detector e relativo personale paramilitare. Senza calcolare poi la marea di, credo che il termine tecnico sia "karma negativo", accumulata dagli accreditati che sono rimasti fuori dalla proiezione di The Brothers Grimm, i quali uniti nello slogan internazionale "fatece entra'!" hanno ripetutamente tentato di forzare il giogo delle priorità (leggasi posto di blocco) per gustarsi il duplice piacere di una proiezione attesa e abusiva. Inutilmente.
Per la rubrica " Müller: fate l'amore col direttore" (cit.) alcuni pensieri (ulteriormente) sparsi: Marco, perdona la confidenza, ho conosciuto in battello una ragazza (ciao Ioanna) che ha vent'anni e vuole studiare cinema, venuta dalla Romania apposta per la mostra. E che ovviamente non poteva assolutamente permettersi di pagare ripetutamente nemmeno gli otto euro d'ingresso all'Area Alice. Il prossimo anno sarebbe carino (lo dico senza il minimo astio, sia chiaro) prevedere un minimo di supporto per gente che merita un accredito molto più della compagna del quotidianista di turno.
Una citazione per la rassegna dedicata a Casanova: il confronto tra Donald Sutherland e Heath Ledger deve aver fatto sorridere più di una persona (e qui trasgredisco di nuovo il comandamento numero uno).
Un'ultima cosa: se quella ragazza molto carina che stava al bancone del primo piano sta leggendo, sappia che il ragazzo molto, sorriso, gentile la ricorda sempre con affetto e che può scrivergli quando vuole su plach@despammed.com.

 

buonanotte

 

 
 
 
 
 
 
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Commenti
 

I lettori hanno scritto 5 commenti

 
 
utente
Fabrizio
  • indirizzo IP 151.42.235.227
  • data e ora Giovedì 29 Settembre 2005 [16:23]
  • commento Meravigliosi quadretti di quotidiano delirio. Siete grandi
 
 
 
 
 
utente
Luigi
  • indirizzo IP 151.52.9.149
  • data e ora Giovedì 29 Settembre 2005 [16:48]
  • commento Io l'anno prossimo vado al festival con la videocamera e li riprendo, giuro, poi mettiamo il divx in free download. :)
 
 
 
 
 
utente
Fabrizio
  • indirizzo IP 151.42.235.227
  • data e ora Giovedì 29 Settembre 2005 [16:52]
  • commento Così pure Coming Soon Television suca assai forte.
 
 
 
 
 
utente
alice
  • indirizzo IP 82.59.148.89
  • data e ora Giovedì 29 Settembre 2005 [19:43]
  • commento Anche io ho rischiato di ubriacarmi con lo spritz alle 3 del pomeriggio, l'anno prossimo voglio entrare ubriaca ad una proiezione. Esperienze nuove..
 
 
 
 
 
utente
Daily
  • indirizzo IP 87.9.111.112
  • data e ora Giovedì 01 Giugno 2006 [23:34]
  • commento seguire tutti i 20 film in concorso ti dovrebbe aver dato il diritto ad un rosso daily. Mitico campeggio, con banani e briosches roventi al mattino
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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