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libera critica cinematografica

 
 
 
 
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Voti

Il voto del redattore

  • voto
  • 4/5
  • valutazione
  • Grande Guerra, grande amore, Amélie c'è ma non c'è solo Amélie.
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Il voto dei lettori

  • voto medio
  • 3.7/5
  • numero votanti
  • Questo film è stato votato da 27 lettori
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Info

Una lunga domenica di passioni

di Jean-Pierre Jeunet

 
    Dati
  • Titolo originale: Un long dimanche de fiancailees
  • Soggetto: Sebastien Japrisot
  • Sceneggiatura: Jean-Pierre Jeunet, Guillaume Laurant
  • Genere: Drammatico - Guerra
  • Durata: 133 min.
     
  • Nazionalità: Francia, U.S.A.
  • Anno: 2005
  • Produzione: 2003 Productions, TF1 Films Production, Tapioca Films, Warner Bros., Canal+
  • Distribuzione: Warner Bros. Italia
  • Data di uscita: 00 00 0000
 
 
 
 
 
 
 
 
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Recensione

La favolosa guerra di Amelie

di Luigi Faragalli

Mi è stato chiesto: - Che film andiamo a vedere?
Ho risposto: - La storia della nonna di Amélie Poulain.

Avevo sorriso di questa mia banalità, giudizio sommario ed avventato, poco importava lo sguardo di Audrey Tatou così immutato, così uguale il suo fare smorfioso, poco importava il tocco di Jean-Pierre Jeunet così distinguibile, così suggestivo, solo questi pochi elementi si potevano trarre dal trailer, assolutamente insufficienti, il film avrebbe potuto stupire, essere altro. Mi ero ripromesso di non scrivere nemmeno quella battuta, quel primo pensiero sul film, lo faccio adesso soltanto per prendere in giro Ciak, nota e venduta rivista, la cui arguta critica ruota attorno ad una risposta lepida per me, semplicemente umoristica e dunque, dovendo recensire come si deve, da scartare.

Dire che Jeunet sia rimasto prigioniero nel suo favoloso mondo di nani da giardino viaggiatori è infatti una sonora sciocchezza, se, dopo aver guardato il trailer, si trova il tempo per dare un'occhiata magari anche al film la cosa appare del tutto manifesta. Forse ricordo male ma non credo fischiassero proiettili nella Parigi di Amélie, non rammento prostitute vendicatrici di inaudita furia né mutilazioni volontarie da quelle parti. Vi è a tratti una crudezza sconcertante in questa lunga domenica, una descrizione dell'assurdità della guerra tanto nitida da risultare sovraccarica, per niente liberty, lontanissima quindi dalla ruffianissima overdose di Baci Perugina somministrata al mondo con la pellicola precendente. Sgombriamo quindi subito il campo dall'equivico, Jeunet è personaggio eclettico, regista del film più "carino" che si sia mai visto ma anche regista di Alien: Resurrection, santificazione dell'utero e della maternità ossessiva e rivoltante quanto preziosissima, visivamente e per tocco ad un passo da Cronenberg.

Mathilde è una ragazza nata col nuovo secolo, non questo, quello prima. Com'è ovvio si è ritrovata la guerra fra capo, collo e amore. Non c'è da stupirsi, è una cosa capitata più o meno a tutta la gioventù di quel tempo, anche a mio nonno probabilmente, la guerra infatti non era una guerra qualunque, no, era la guerra che sarebbe stata ricordata in futuro con un nome inequivocabile: La Grande Guerra.
E quel grande non era certo eccessivo. Oggi si è un po' perso il ricordo della Prima Guerra Mondiale, ed ancor più del ricordo si è persa la percezione di cosa questa rappresentò per il mondo.
Una catastrofe senza precedenti, inimmaginabile, in cui comparvero armi micidiali mai usate prima, gas, laciafiamme, bombe, aerei, roba da uccidere più gente di quanta se ne fosse mai ammazzata prima in qualunque altra guerra, storpiarne per sempre altrettanta e lasciare sbigottiti i pochi indenni.
Jeunet è molto bravo nel rendere l'atmosfera delle trincee, in una bellissima scala di grigi la sua Bingo Crepuscolo è un universo di umano e disumano miscelati così finemente da rendere quasi impossibile un immediato riconoscimento. Là dove tutto finisce e dove tutto comincia conosciamo i condannati, le loro storie, chi erano prima della Grande Guerra, cosa facevano, e perché marciano verso morte certa.
La narrazione si focalizza presto su Manech, è lui il fulcro, è la sua storia che va capita, compresa, dobbiamo cercare lui, dobbiamo farlo tutti noi spettatori assieme a Mathilde.
Mathilde la zoppa.

Una Lunga Domenica di Passioni è infatti un giallo investigativo, con un morto che si vorrebbe sopravvisuto, contro ogni logica, contro ogni sfida alla sorte, contro ogni probabilità. Mathilde tuttavia non tollera che si uccida la speranza, e non le si può certo dare torto quando trattasi di speranza così male in arnese.
Attorno a questo soggetto il regista costruisce un gran racconto corale, molto letterario nello sviluppo, si presume per aderenza al romanzo di Sebastien Japrisot da cui la sceneggiatura è stata tratta.
Grandissimo il lavoro sulle ambientazioni, si ha la sensazione di spostarsi fra quadri più che da un'inquadratura all'altra, grandissimo il lavoro anche sui luoghi, con scogliere e prati di bellezza inaudita, grandissimo anche il lavoro su costumi e scene. Realizzazione impeccabile dunque.
Resta da discutere il più grande difetto del film, questo sì ereditato intatto direttamente da Amélie.

Il difetto è un sesquipedale autocompiacimento.
Jeunet emana il fetore tipico del primo della classe a distanze siderali, l'unico esempio di narcisismo artistico paragonabile noi italiani siamo così fortunati da avercelo in patria: Jeunet è diventato per il cinema ciò che Baricco è per la letteratura.
Il fatto è che gli piace maladettamente quello che fa, ed in ogni singolo fotogramma sembra chiedere allo spettatore: - Ehi, si vede quanto sono bravo?
Esattamente come Baricco per i romanzi, Jeunet ha fatto un mare di compiti, conosce un'infinità di trucchi del mestiere e li sa usare benissimo. Non importa quanto talento ci sia realmente sotto, il punto è che entrambi hanno imparato a fare cose belle, bellissime per loro, e dentro queste opere saltellano tutti contenti in continuazione.
Sono, in ultima analisi, entrambi insopportabili.
E poco importa che la lettera erotica di Seta sia effettivamente scritta con una maestria senza pari, poco importa che in Una Lunga Domenica di Passioni la scena dello sparo nello specchio sia girata con rara e felice intuizione, se non si ha un briciolo di umiltà si finisce per essere così irritanti da apparire soltanto abilissimi artigiani dello sfoggio.

Jean-Pierre, sei bravo, smettila di ammiccare però, dai.

 
 
 
 
 
 
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Commenti
 

I lettori hanno scritto 14 commenti

 
 
utente
lucio
  • commento l'albatro è un uccello dall'apertura alare di due metri che plana controvento, ma una volta caduto in terra quelle stesse ali lo intralciano, sembra uno storpio... come scrive il grande baudelaire.
 
 
 
 
 
utente
lucio
  • commento ...e mathilde sarà pure zoppa in terra ma è ostinata; le sue "ali" la porteranno a volare lontano...
 
 
 
 
 
utente
BEBBEL
  • commento MI ASSOCIO A QUELLO CHE DICE IL CRITICO POTEVA ESSERE UN CAPOLAVORO MA IL MA E' SCOLPITO NELLA PIETRA NELLA COMPLETA AUTO CELEBRAZIONE DEL DIRECTOR MAH ! COME RIMPIANGO KUBRIK QUANDO CONFEZIONAVA BENE
 
 
 
 
 
utente
BEBBEL
  • commento MI ASSOCIO A QUELLO CHE DICE IL CRITICO POTEVA ESSERE UN CAPOLAVORO MA IL MA E' SCOLPITO NELLA PIETRA NELLA COMPLETA AUTO CELEBRAZIONE DEL DIRECTOR MAH ! COME RIMPIANGO KUBRIK QUANDO CONFEZIONAVA BENE
 
 
 
 
 
utente
cerfugiu
  • indirizzo IP 82.60.187.58
  • data e ora Mercoledì 14 Dicembre 2005 [15:11]
  • commento banale
 
 
 
 
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