Il voto del redattore
- voto
- 4.5/5
- valutazione
Il voto dei lettori
- voto medio
- 3.7/5
- numero votanti
- Questo film è stato votato da 14 lettori
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02 11 2013
Spider
di David Cronenberg
- Dati
- Titolo originale: Spider
- Soggetto: Patrick McGrath
- Sceneggiatura: Patrick McGrath
- Genere: Drammatico - Thriller
- Durata: 98 min.
- Nazionalità: Canada, Francia, Gran Bretagna
- Anno: 2002
- Produzione: Artists Independent Network, capitol Films, etc.
- Distribuzione: Fandango
- Data di uscita: 00 00 0000
Recensione pubblicata il 27 04 2004
Questa recensione è stata letta 16365 volte
Spider
di Sara Troilo
Se si volesse costruire una bella ragnatela psicanalitica da cosa si potrebbe partire? Segni ipnotici su muri scrostati, macchie di Rorschach, simboli evocativi che stanno sotto gli occhi di tutti ogni giorno, ma che solo alcuni colgono nell'ottica autistica della più completa autarchia individuale. Un mondo totalmente avulso da quello che si definisce reale si apre davanti ai nostri occhi e lo fa con i propri tempi dilatati, entro scenari deserti e attraverso parole incomprensibili, dette con un fil di voce o scritte con segni indecifrabili e poi nascoste con cura.
Il cinema della mutazione di Cronenberg non è più una questione di pelle; ora il terrore non si mostra, ma mette in dubbio ogni percezione della realtà, non lascia nessuno scampo, non ci dà nessuna speranza. Cronenberg porta sullo schermo la sceneggiatura che Patrick McGrath ha tratto dal proprio romanzo (del '90) e penetra in un mondo abitato da pochissimi personaggi, silenzio e pioggia; unico strumento nelle nostre mani è un sottile filo da non smarrire attraverso il quale ci è possibile ripercorrere il passato del protagonista (Ralph Fiennes) e il suo delicato labirinto mentale.
L'autore usa una delle corde che Dennis Clegg detto Spider porta sempre con sé per costruire ragnatele e ci conduce in un viaggio dell'orrore in cui la narrazione viene intrappolata e data in pasto al ragno e noi siamo costretti a mettere costantemente in discussione ciò che vediamo e ciò che sentiamo mortificando il nostro anelito al contesto patinato. In una Londra di metà del Novecento il piccolo Spider è alle prese con la gestione del rapporto con i genitori (Gabriel Byrne e Miranda Richardson) e il trauma forte derivato dall'aver assistito a quella che la teoria psicanalitica definisce "scena primaria"; bambino solitario e taciturno tesse tele di ragno sopra al proprio letto creando un nido mentale ove i pensieri non si schiudono né si confrontano mai con l'esterno, ma si accrescono nutrendosi del buio e dell'immaginazione. Tutto ciò che vediamo è quello che Dennis dopo due decenni ricostruisce degli avvenimenti che hanno portato alla morte della madre aiutato in ciò dal ripercorrere fisicamente le stesse strade, rivedere gli stessi luoghi, reiterare il conflitto con una figura femminile autoritaria e ritessere di nuovo una tela sopra al proprio letto. "La cosa peggiore che può accaderti non è perdere la ragione, ma ritrovarla": come vedersi riflesso in un vetro rotto e ricostruito, un'immagine spezzata è quella che si trova davanti dopo questo viaggio all'indietro nel tempo e nel profondo della psiche. Esso stesso è un'immagine spezzata letteralmente dalla vita, dagli avvenimenti che l'hanno segnato durante l'infanzia, vittima senza nessuna speranza di riscatto e senza possibilità di comunicare, solo e posto ai margini di un mondo che nemmeno lo sfiora, non lo vede né lo interessa. Piccolo ragno che costruisce il proprio mondo e cerca di tutelarlo, uomo che nel romanzo dice di essere "un tipo cadente e fragile, in realtà - i vestiti hanno sempre l'aria di sbattermi addosso come delle vele, come lenzuoli o sudari" e infatti ne indossa parecchi, strati di camicie come blando tentativo di difendersi dall'esterno, animale che ferisce quando si sente braccato, un debole lottatore che ha contro di sé anche le proprie percezioni e non solo, ma ha anche il destino tragico di rendersene conto a un certo punto. Una vita che è come un canale ripido e scivoloso, dove gli appigli ti si disintegrano in mano e chi ti sta vicino non ti aiuta se non a toccare il fondo il prima possibile. Magari quelle ragnatele fossero state simili a quelle del supereroe di Stan Lee, ma quanto lontani siamo qui dal manicheismo rassicurante che sa sempre ove collocare gli avvenimenti e ha sempre il calore del branco a indicargli la via (e quanto è più seducente non mollare la mano quasi kafkiana di Cronenberg nonostante ti faccia vedere solo mura scrostate e uomini che si sbagliano). Dove sta il raggio di sole? L'insegnamento? Cosa si porta a casa da questa esperienza? Un bilancio, insomma: l'unico possibile è la conferma del talento enorme dell'autore del film che non ama tediarci con lezioncine, ma preferisce vederci stare un po' abbracciati alla disperazione e per farlo non sceglie la strada dell'io narrante, ma porta avanti un personaggio autistico(-artistico a detta del regista) che tale resta per tutto il film, sceglie di incarnare i differenti stati dell'Io con un'attrice che li interpreta e non lesina sui rischi di un possibile fraintendimento ribadendo con la propria opera che sia la vita che l'arte di rassicurante hanno ben poco.
Il cinema della mutazione di Cronenberg non è più una questione di pelle; ora il terrore non si mostra, ma mette in dubbio ogni percezione della realtà, non lascia nessuno scampo, non ci dà nessuna speranza. Cronenberg porta sullo schermo la sceneggiatura che Patrick McGrath ha tratto dal proprio romanzo (del '90) e penetra in un mondo abitato da pochissimi personaggi, silenzio e pioggia; unico strumento nelle nostre mani è un sottile filo da non smarrire attraverso il quale ci è possibile ripercorrere il passato del protagonista (Ralph Fiennes) e il suo delicato labirinto mentale.
L'autore usa una delle corde che Dennis Clegg detto Spider porta sempre con sé per costruire ragnatele e ci conduce in un viaggio dell'orrore in cui la narrazione viene intrappolata e data in pasto al ragno e noi siamo costretti a mettere costantemente in discussione ciò che vediamo e ciò che sentiamo mortificando il nostro anelito al contesto patinato. In una Londra di metà del Novecento il piccolo Spider è alle prese con la gestione del rapporto con i genitori (Gabriel Byrne e Miranda Richardson) e il trauma forte derivato dall'aver assistito a quella che la teoria psicanalitica definisce "scena primaria"; bambino solitario e taciturno tesse tele di ragno sopra al proprio letto creando un nido mentale ove i pensieri non si schiudono né si confrontano mai con l'esterno, ma si accrescono nutrendosi del buio e dell'immaginazione. Tutto ciò che vediamo è quello che Dennis dopo due decenni ricostruisce degli avvenimenti che hanno portato alla morte della madre aiutato in ciò dal ripercorrere fisicamente le stesse strade, rivedere gli stessi luoghi, reiterare il conflitto con una figura femminile autoritaria e ritessere di nuovo una tela sopra al proprio letto. "La cosa peggiore che può accaderti non è perdere la ragione, ma ritrovarla": come vedersi riflesso in un vetro rotto e ricostruito, un'immagine spezzata è quella che si trova davanti dopo questo viaggio all'indietro nel tempo e nel profondo della psiche. Esso stesso è un'immagine spezzata letteralmente dalla vita, dagli avvenimenti che l'hanno segnato durante l'infanzia, vittima senza nessuna speranza di riscatto e senza possibilità di comunicare, solo e posto ai margini di un mondo che nemmeno lo sfiora, non lo vede né lo interessa. Piccolo ragno che costruisce il proprio mondo e cerca di tutelarlo, uomo che nel romanzo dice di essere "un tipo cadente e fragile, in realtà - i vestiti hanno sempre l'aria di sbattermi addosso come delle vele, come lenzuoli o sudari" e infatti ne indossa parecchi, strati di camicie come blando tentativo di difendersi dall'esterno, animale che ferisce quando si sente braccato, un debole lottatore che ha contro di sé anche le proprie percezioni e non solo, ma ha anche il destino tragico di rendersene conto a un certo punto. Una vita che è come un canale ripido e scivoloso, dove gli appigli ti si disintegrano in mano e chi ti sta vicino non ti aiuta se non a toccare il fondo il prima possibile. Magari quelle ragnatele fossero state simili a quelle del supereroe di Stan Lee, ma quanto lontani siamo qui dal manicheismo rassicurante che sa sempre ove collocare gli avvenimenti e ha sempre il calore del branco a indicargli la via (e quanto è più seducente non mollare la mano quasi kafkiana di Cronenberg nonostante ti faccia vedere solo mura scrostate e uomini che si sbagliano). Dove sta il raggio di sole? L'insegnamento? Cosa si porta a casa da questa esperienza? Un bilancio, insomma: l'unico possibile è la conferma del talento enorme dell'autore del film che non ama tediarci con lezioncine, ma preferisce vederci stare un po' abbracciati alla disperazione e per farlo non sceglie la strada dell'io narrante, ma porta avanti un personaggio autistico(-artistico a detta del regista) che tale resta per tutto il film, sceglie di incarnare i differenti stati dell'Io con un'attrice che li interpreta e non lesina sui rischi di un possibile fraintendimento ribadendo con la propria opera che sia la vita che l'arte di rassicurante hanno ben poco.
I lettori hanno scritto 3 commenti
- commento Ahimè, Sara, ad apprezzare quel genio indiscusso e incontrastato di Cronenberg siamo rimasti in pochi... Resistencia!!
- commento bellissimo, più che psicologico, psichiatrico! da vedere...e da leggere
- indirizzo IP 151.41.68.58
- data e ora Venerdì 30 Dicembre 2005 [18:08]
- commento il film è bellissimo e anche gli attori sono bellissimi(GEORGE CLONEY,BRAD PIT E TOTR MANTEN A SCAL
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