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libera critica cinematografica

 
 
 
 
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Voti

Il voto del redattore

  • voto
  • 2.5/5
  • valutazione
  • Immagino che Blade Runner non si sia preoccupato nemmeno per un istante.
  •  
 
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Il voto dei lettori

  • voto medio
  • 3.1/5
  • numero votanti
  • Questo film è stato votato da 17 lettori
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Info

Natural City

di Min Byung-chun

 
    Dati
  • Titolo originale: Natural City
  • Soggetto: Min Byung-chun
  • Sceneggiatura: Min Byung-chun
  • Genere: Azione - Sci-fi
  • Durata: 114 min. (versione coreana) - 104 min. (versione italiana)
     
  • Nazionalità: Corea del Sud
  • Anno: 2003
  • Produzione: Jowoo Entertainment, Tube Entertainment
  • Distribuzione: Moviemax (2005)
  • Data di uscita: 00 00 0000
 
 
 
 
 
 
 
 
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Recensione

Comincia il mito di chi?

di Luigi Faragalli

I ragazzi della Moviemax devono decisamente affidarsi ad un altro copywriter.
Voglio infatti sperare che Marco Dell'Utri, Rudolph Gentile e Luca Dammico non abbiano partorito da soli il rutilante strillo appiccicato al lancio di Natural City ma siano stati semplicemente le vittime distratte di un autore pubblicitario folle.
Lo spero anche perché un capro espiatorio in casi come questo serve proprio, un Benjamin Malaussène, se non presente in ditta, è da assumere per l'occasione.
Chiariamo, non ce l'ho con loro, anzi, ben vengano compagnie nuove ed aggressive, capaci di portare in Italia titoli che altrimenti nel nostro paese resterebbero accessibili soltanto ad una ristretta cerchia di appassionati e di addetti ai lavori. Lodevole anche l'iniziativa umanitaria della Moviemax: la casa di distribuzione ha infatti annunciato che la sua parte d'incasso relativa al primo giorno di programmazione di Natural City verrà completamente devoluta agli orfani dello tsunami.
Tutto bene quindi, quello slogan però... mamma mia!

Leggiamo insieme:

"Finisce l'era di Blade Runner, inizia il mito di Natural City".

Però, una robetta senza pretese, non una sbruffonata, no, una cosetta contenuta, elegante, un paragone appena accennato.
Ma dico, ma cosa diavolo fate? E' uno slogan da utilizzare questo? Poniamo il caso di trovarci per pura ventura di fronte ad un film effettivamente meraviglioso, e posso giurare che così non è, soltanto il manto benevolo del ricordo, in ogni caso, basta al pur sempre magnifico Blade Runner per far valere quell'aura di mitologia moderna che hanno pochissime cose e quindi surclassare il rivale, inevitabilmente. Blade Runner è come Babbo Natale e come il muro di Berlino, ci sono cose che entrano nella cultura di un popolo, altre addirittura nella cultura di un pezzo di mondo, altre del mondo intero. Mi duole dirlo ma temo che nulla di tutto questo sia alla portata di Natural City.

Il film non è brutto né sgradevole, per carità, ma parliamoci chiaro: dire che verrà dimenticato presto è una profezia fin troppo facile.

L'inizio del film è denso e carico di promesse, alcune delle quali verranno fortunatamente mantenute nello sviluppo della pellicola, altre molto meno. In un mondo ideale troviamo immersi due amanti divisi dall'appartenenza a generi fin troppo diversi, non differenze di religione, colore, nazionalità o cultura, no, differenza di materia, organico e sintetico che si amano, malgrado tutto, affermando ancora una volta il principio dell'ineluttabilità dell'amore fra coscienze, qualunque corpo abitino.
Tutto questo in Blade Runner c'era già.

Il mondo ideale è un sogno che si fa a pagamento su di una panchina di un porto per astronavi, si infila la tessera e si mettono a bagno i piedi nel mare del mondo nuovo, un mondo in cui tutti sono felici, un mondo in cui la vita può essere bella. Basta avere il tempo di andarci e poi viverci, basta non conoscere il giorno della propria morte, la propria data di scadenza. Anche questo era tutto in Blade Runner, dove il viaggio si eplicita addirittura, fra foreste e montagne, invece di rimanere ambizione.

In questa scena iniziale il film promette un grandissimo impatto visivo, nulla o quasi infatti si può trovare di negativo sull'esperienza regalata a chi guarda soltanto.  Girato in super 35 mm widescreen e successivamente completamente digitalizzato in post-produzione, più di una volta  l'immagine è esemplare per bellezza e magnificenza. Citiamo due scene per tutte, la rottamazione dell'androide in apertura di trama, con lo scorrere di un qualche fluido candido su seni e capezzoli infreddoliti e, stavolta in chiusura, il decollo dell'astronave verso la terra promessa, fra le striature di calore prodotte dai motori ed il vorticare di un tripudio di petali. Due splendide sequenze giustamente posizionate all'inizio ed alla fine del narrato, per precipitare bruscamente lo spettatore nel futuro raccontato e con la stessa veemenza trascinarlo fuori alla fine, tuttavia tale scelta ha una conseguenza infelice, il resto del film appare inferiore per immaginazione rappresentata, convenzionale, assolutamente non sorprendente. In verità così non è, anche il resto del film offre scene ricercate ed una generale cura realizzativa, una fotografia molto puntuale ammanta il film di toni che periodicamente oscillano dal metallico alle mille sfumature di blu, per spegnersi nelle più buie scene di combattimento, queste sì per nulla innovative.
Purtroppo anche Blade Runner  non è per niente brutto da vedere, ed era assolutamente stupefacente vent'anni fa.

Se analizziamo poi la sceneggiatura non troviamo né un intreccio particolarmente complesso né dialoghi memorabili. Nessun monologo su navi da guerra in fiamme e bastioni di Orione, per intenderci. I personaggi sono spesso permeati dal gusto buffonesco tipico delle produzioni orientali, stupefacente è la somiglianza del dottor Gyro col Dottor Slump dell'omonima serie di cartoni giapponesi o con decine di omuncoli un po' svitati apparsi nelle varie serie di Dragonball, il tutto stride con la trattazione delle profonde tematiche del rapporto dell'umano col diverso e finisce per conferire al film un tono fin troppo inconstante. 
Non manca certo qualche momento di poesia, è interessante l'inversione di caratteristiche fondanti tra le due donne al centro della storia: Cyon è una ragazza umana la cui anima non interessa a nessuno, è una prostituta priva di alcun valore, lo assume soltanto quando diventa in tutto e per tutto oggetto, raro, corpo utile ad un qualche scopo, Ria è invece una donna sintetica, un androide che ha fatto innamorare un uomo e che a sua volta ama, un'anima tanto preziosa da spingere R a calpestare tutto e tutti pur di tentare, disperatamente, di salvarla. L'inversione si esacerba poi diventando dicotomia. La ragazza vera coltiva fiori veri per ricordare tempi, uomini e divinità che non ci sono più o, semplicemente, per avere un qualche ruolo, una qualche identità nel suo mondo disumano di marginalità sociale estrema. L'androide invece coltiva un fiore digitale, unico, difficile, lento, in una sorta di gara  tra la fine di una vita digitale e lo sbocciare di petali olografici.

Sono proprio questi gli aspetti più interessanti e più riusciti del film, quelli più orientali se vogliamo, purtroppo però vengono soffocati dalla solita liturgia del film d'azione moderno. I combattimenti, per quanto belli, hanno ormai francamente stufato e non sembrano qui andare oltre quanto visto troppo di recente in troppi altri film. Gli attori sono troppo spesso delle macchiette completamente fuori posto, involontariamente comica ad esempio la scena dell'incontro in un locale fra l'agente R ed il suo capo Noma in cui viene davvero da chiedersi che diavolo abbia quel fesso da ridere. I tempi narrativi, soprattutto nel finale, sono completamente sballati, allungando quelli che dovrebbero essere cinque minuti al di là di ogni possibile sospensione dell'incredulità.

Qualche pregio e molti difetti quindi, in un film che è ben lontano dall'essere qualcosa di epocale ma che, a conti fatti, brutto non è. Sicuramente avrebbe guadagnato molto da una promozione meno tronfia, l'inevitabile paragone con l'illustre predecessore sarebbe stato fatto ugualmente, è vero, magari però con maggiore indulgenza.
Senza contare che a me poi, in mancanza dell'infelice slogan promozionale, probabilmente sarebbe venuto da pensare a fonti d'ispirazione ben diverse per la pellicola, lungometraggi animati giapponesi nella fattispecie, Gost in the Shell ed Appleseed in primo luogo, confortato nall'accostamento anche dagli splendidi disegni che scorrono sotto ai titoli di coda, molti dei quali di gran lunga più interessanti ed evocativi dei corrispettivi in carne ed ossa.
Chissà, magari dalla stessa idea poteva nascere un ottimo cartone invece di un dignitoso film marchiato a fuoco da una campagna promozionale troppo spavalda.

 
 
 
 
 
 
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Commenti
 

I lettori hanno scritto 10 commenti

 
 
utente
Guz Van Sant
  • commento C'è un solo film che può essere paragonato a Blade Runner: Blade Runner 2 quello con la Massironi e i Fichi d'India. Non lo conoscete? Allora Jolly Blu, va meglio? i cult son cult
 
 
 
 
 
utente
nohx
  • commento Questo film mi ha fatto odiare i cinesi.
 
 
 
 
 
utente
Angelus
  • commento Essendo un film coreano urlerei al miracolo.
 
 
 
 
 
utente
mad max
  • commento Nessuno ha preso in cosiderazione l'ottima colonna sonora
 
 
 
 
 
utente
Dudoski
  • indirizzo IP 62.110.10.163
  • data e ora Lunedì 07 Novembre 2005 [12:34]
  • commento mamma mia che schifo!!! E se penso a tutti i soldi che han buttato nel cesso...
 
 
 
 
Pagine: 1 2
 
 
 
 
 
 
 
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