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libera critica cinematografica

 
 
 
 
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Locandina
 
 
 
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Trama

Una famiglia ha davanti a casa un tratto di autostrada che a un certo punto entra in uso con tutte le spiacevoli conseguenze del caso. Ma la disavventura farà scoprire loro il calore umano dei vicini.

 
 
 
 
 
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Voti

Il voto del redattore

  • voto
  • 4/5
  • valutazione
  • Favola moderna sul rapporto tra uomo e luogo all'interno di un dramma collettivo.
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Il voto dei lettori

  • voto medio
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Info

Home

di Ursula Meier

 
    Dati
  • Titolo originale: Home
  • Soggetto:
  • Sceneggiatura: Ursula Meier, Antoine Jaccoud, Raphaëlle Valbrune, Gilles Taurand
  • Genere: Commedia - Psicologico
  • Durata: 100 min.
     
  • Nazionalità: Svizzera, Francia, Belgio
  • Anno: 2009
  • Produzione: Box Productions, Archipel 35, Need Productions
  • Distribuzione: Teodora Film
  • Data di uscita: 23 01 2009
 
 
 
 
 
 
 
 
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Recensione

Fuggire dentro o fuori?

di Chiara Orlandi

Dopo una serie ultradecennale di corti e documentari la regista francese (ma con cittadinanza svizzera) Ursula Meier approda al lungometraggio con Home, una storia che potremmo definire la rappresentazione di un dramma psicologico collettivo. La trama non appare particolarmente accattivante ma gli spunti e le riflessioni che offre la storia, co-sceneggiata dalla stessa Meier, evitano di inciampare in banalità o stereotipi di gusto commerciale.


Marthe e Michel (Isabelle Huppert e Olivier Gourmet) vivono con i loro tre figli a ridosso di un'autostrada mai aperta alla circolazione, ma quando, dopo molti anni, viene finalmente inaugurata, la strada diviene un crocevia ininterrotto di macchine che sfrecciano ad altissima velocità. Problemi di traffico, di inquinamento e di assordante rumore si affacciano sulla tranquilla vita di questa famiglia un po' scapigliata ma in fondo molto onesta. La storia della Meier si risparmia fortunatamente quel conformismo che descrive l'ambiente familiare secondo precisi dogmi cattolico-perbenisti. Crolla il perbenismo quando fratello e sorella fanno insieme il bagno, quando il padre ha sotto gli occhi una figlia adolescente nuda e negli occhi dell'uomo non si intravede nemmeno un pizzico di malizia. In Home non c'è spazio insomma per la famiglia buonista di Happy Days perchè i rapporti interfamiliari tra le persone che condividono il medesimo nido domestico sono così inaspettatamente trasparenti da lasciare sconvolto anche il pubblico più candido e virgineo. Eppure la forza di questa famiglia è proprio l'anticonformismo che rivela una naturalità innocente. Un collante comunicativo fortissimo che fa di ogni personaggio della storia un vero protagonista a tutto tondo, interessante e mutevole.


Home è una pellicola che richiede estrema attenzione da parte dello spettatore e che rimette in discussione un modello familiare a cui forse il pubblico è stato abituato per troppo tempo. Tuttavia non si tratta strettamente un film sulla famiglia e sulle problematiche ad essa connesse, piuttosto è un racconto claustrale che rappresenta la privazione graduale dello spazio a cui le persone sono intimamente legate, a cui le persone dedicano la propria vita, uno spazio che, evocando sentimenti e stati d'animo, unisce le persone e consente loro di intrecciare rapporti d'amore, in qualsiasi forma lo s'intenda. L'idea centrale di "casa" procede oltre il concetto di famiglia e si concentra sull'esigenza dell'uomo di plasmare i luoghi che insedia - forse a propria immagine - con l'unico scopo di perpetuare l'esistenza nel migliore dei modi. Quando il meccanismo viene bloccato si verifica l'implosione, una sorta di fuga da dentro che lo costringe a chiudersi in se stesso e a nascondersi nel luogo che occupa estromettendo il mondo esterno. Pensiamo all'architettura urbana europea del secondo Dopoguerra e agli appartamenti che metaforicamente imprigionano l'uomo moderno costretto in uno spazio ridottissimo; un sistema che consente agevolmente di usufruire di tutti i servizi (bisogni?) che la metropoli offre.


Le ossessioni di Marion e Julien si stringono intorno ad affanni più grandi delle loro aspettative: l'inquinamento del territorio, le conseguenti e probabili malattie, la distanza dal mondo esterno, l'immersione totale e confusionaria nel traffico di una statale. Un rumore repentino che non ha una fine e che sarà sempre alienante per i personaggi di Home come per lo spettatore. Se i due ragazzi si rinchiudono in un buffo scafandro e controllano sistematicamente ogni centimetro della loro pelle è perché sanno che non potranno fuggire ma soltanto rimanere e limitare i danni fisici per quanto sia loro concesso. Ma il danno psicologico? Chi incarna al meglio il senso di claustrofobia è il personaggio di Marthe (una Isabelle Huppert strepitosa), una donna bizzarra, nostalgica degli anni Sessanta (come sottolinea il suo vestiario) un'amante materna e lucidamente folle. Marthe è il motore della vicenda, impazzita e ribelle ma profondamente ancorata alla sua casa, al suo luogo. Nel cast spicca la presenza di Kacey Mottet Klein che interpreta il ragazzino Julien. A lui viene affidato un ruolo difficile e complesso che asseconda le stranezze della madre e che avvicina tra loro le figure dei genitori in un momento drammatico. Compensando la mancanza d'amore le relazioni familiari tra i componenti si possono ancora salvare attraverso gli individui puri e innocenti.


Presentato a Cannes08 durante la Semaine de la Critique, Home è uno tra gli specchi più efficaci che il cinema si concede di questi tempi e che riflette la realtà attuale descrivendo un uomo che convive faticosamente tra le sue paure più spaventose. Vi è una calibrata distorsione della realtà che ricorda un po' L'inquilino del terzo piano di Polanski ma possiede anche qualche inserto fantascientifico soprattutto nelle sequenze degli operai presi ad asfaltare la strada adiacente la casa. Tutto volto insomma a evidenziare quel distacco innaturale tra le persone che agiscono nell'indifferenza più spietata, un atteggiamento che deteriora anche i rapporti più intimi, quelli familiari appunto. Come nella migliore tradizione francese il direttore della fotografia è donna e in questo caso si tratta di Agnès Godard, un nome di tutto rispetto tra i cinematographer d'Oltralpe. Quello di Ursula Meier - complice anche la presenza di ottimi attori - è senza dubbio un esordio promettente che lascia intravedere novità all'orizzonte. Prendetelo come un racconto morale alla Rohmer solo con un pizzico di psicologismo in più.

 
 
 
 
 
 
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