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libera critica cinematografica

 
 
 
 
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Voti

Il voto del redattore

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  • 1/5
  • valutazione
  • Terrificantemente scontato quanto inutile papocchietto
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Il voto dei lettori

  • voto medio
  • 3.2/5
  • numero votanti
  • Questo film è stato votato da 8 lettori
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Info

The Grudge

di Takashi Shimizu

 
    Dati
  • Titolo originale: The Grudge
  • Soggetto: Takashi Shimizu (Ju - on : The Grudge)
  • Sceneggiatura: Stephen Succo
  • Genere: Drammatico - Thriller
  • Durata: 96 min.
     
  • Nazionalità: Giappone/USA
  • Anno: 2004
  • Produzione: Ghost House Pictures
  • Distribuzione: 01 Distribuzione
  • Data di uscita: 00 00 0000
 
 
 
 
 
 
 
 
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Recensione

Polpette

di Fabrizio Ferrero

Premessa.
Siamo all'idiozia pura e semplice.

Un conto è girare un remake, magari ricontestualizzandolo, un altro conto è fare ri-dirigere Takashi Shimizu da Takashi Shimizu, ma con Raimi che caccia i soldi per un low budget e che griffa l'operazione con un "Sam Raimi Presents". Cosa ancora più discutibile è sostituire attori giapponesi con alcuni attori americani credendo di ottenere un film nuovo al puro scopo di rendere la polpetta appetibile al pubblico di oltre oceano, insaporendola anche con la invisibile presenza di "Buffy" Sarah Michelle Gellar. Il risultato non cambia cambiando gli addendi, anzi è forse inferiore in quanto a fascino; il resto non muta: Tokyo è Tokyo, i giapponesi hanno gli occhi a mandorla, la casa infestata è una casa infestata e così via.
In capo ad un paio d'anni, ciò che sembrava una ventata d'aria fresca, ossia il jap-horror ed i suoi parenti sono arrivati ad essere un cliché ritrito che genera stereotipi saccheggiati da Hollywood cronicamente in cerca di idee cosiddette nuove; e diciamocelo sinceramente: tutta questa fede entusiastica nel cinema orientale, tranne che in un paio di casi (mettiamo un Miike o uno Tsukamoto), è mal riposta oltre che dissennatamente ottimistica. Insomma trendy e basta. Baburu, la grande bolla, è già implosa in silenzio soprattutto grazie ad un cinese quale è Wong Kar-Wai che con 2046 ha
toccato decisamente il fondo.
Ciò detto, The Grudge si avvale del classico tema del fantasma di persona morta di morte violenta che cerca instancabilmente vendetta accoppando tutti quelli che capitano a tiro, nella fattispecie tutti americani tranne uno, comunità estranea in un Giappone che a qualcuno crea non pochi problemi di disorientamento: esemplificativa la sequenza del supermercato dove gli ideogrammi diventano strumento ostile e affamante.
Non è certo la Tokio romantica di Lost in Translation. Una cappa plumbea incombe su tutto il film, caricando e scaricando i meccanismi della tensione in modo pornografico: non c'è il minimo tentativo di lasciare che essa raggiunga un efficace parossismo, si arriva subito all'urlo che in parte esorcizza il contesto, grazie a eventi fortuiti e in un certo qual modo "stupidi" come lo squillare di un telefono o lo scivolamento di un piede,  l'apparire subitaneo dei fantasmi, la risoluzione della scena e la morte. Tutto troppo in fretta, come in un film porno, appunto, in cui si arriva immediatamente all'atto sessuale. A peggiorare la situazione ci si mette qualche particolare splatter assolutamente di troppo.
Ancora una volta l'archetipo dell'enfant terrible nipponico la fa da padrone, tanto quanto quello della mater terribilis con i suoi invadenti, lunghissimi capelli neri che contrastano con il bianco cerone spettrale spalmato sul volto; e ancora l'acqua ci si mette di mezzo con tutto il bric à brac di sgocciolamenti, lavandini colmi e affogamenti.
Quasi tutto il resto è un perfetto, inutile, inquadratura-stacco-inquadratura su linee diritte e textures grezze: edifici, scale, strade, cemento, legno, ferro e il perplesso volto della Gellar che non è pronta per nessuno schermo. Una piccola soddisfazione ci viene concessa dal montaggio a flashback paralleli che si innesta sulla base dell'ipotetico presente, ognuno dei quali ripercorre la breve vicenda e la morte di ogni personaggio passato a miglior vita.
Discorso a parte merita la lunga sequenza che rappresenta all'incirca il penultimo quinto della pellicola, che vede un lynchiano Bill Pullman incontrare lo spazio-tempo della Gellar, mentre il luttuoso antefatto si dipana sotto gli occhi di quest'ultima: la notte improvvisamente si fa giorno in un'atmosfera sospesa e sognante che fa da contraltare alla pesante concretezza iperrealistica delle vicende precedenti, atmosfera in cui oggetti, luoghi e persone riprendono vita in modo derealizzato, (proiettato, oserei dire) costringendo i personaggi ad essere spettatori. Chissà se in un moto improvviso d'empatia...

 
 
 
 
 
 
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Commenti
 

I lettori hanno scritto 27 commenti

 
 
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eduard le fou
  • commento Mettere nello stesso calderone Takashi Shimizu, Miike, Tsukamoto e Wong Kar-Wai (dandogli del "cinese") è come dire che gli orientali sono tutti uguali xkè hanno tutti gli occhi a mandorla...
 
 
 
 
 
utente
Angelus
  • commento Beh, se non mi sbaglio è nato a Shanghai, no? :) Comunque concordo sul fatto che l'horror nippo abbia un po' stancato, almeno nelle riproposizioni hollywoodiane. Sembra di rivedere lo stesso film...
 
 
 
 
 
utente
Angelus
  • commento decine di volte.
 
 
 
 
 
utente
Sara
  • commento Si', ma una cinematografia varia e prolifica come quella orientale non si puo' certo racchiudere sotto nessun insieme.
 
 
 
 
 
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Lego Van Kleerke
  • commento io sono goiosamente iconoclasta. basta con la fede messianica nel cinema orientale.
 
 
 
 
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