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libera critica cinematografica

 
 
 
 
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Locandina
 
 
 
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Trama

Portland: Paranoid Park è il parco in cui si pratica skateboard, lì Alex uccide accidentalmente una guardia giurata e la sua scelta di mantenere il silenzio lo porterà in un vortice di negatività.

 
 
 
 
 
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Voti

Il voto del redattore

  • voto
  • 4.5/5
  • valutazione
  • Non un racconto edificante, nè un trattato sociologico. Molto meglio: musiche e immagine bellissime per abbandonarsi totalmente alla visione.
  •  
 
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Il voto dei lettori

  • voto medio
  • 4.3/5
  • numero votanti
  • Questo film è stato votato da 3 lettori
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Info

Paranoid Park

di Gus Van Sant

 
    Dati
  • Titolo originale: Paranoid Park
  • Soggetto: Blake Nelson (romanzo omonimo)
  • Sceneggiatura: Gus Van Sant
  • Genere: Drammatico - Thriller
  • Durata: 90 min.
     
  • Nazionalità: Francia, USA
  • Anno: 2007
  • Produzione: MK2 Productions
  • Distribuzione: Lucky Red
  • Data di uscita: 07 12 2007
 
 
 
 
 
 
 
 
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Recensione

Scrivere per dimenticarla

di Sara Troilo

A Portland un ragazzino provoca accidentalmente la morte di una guardia ferroviaria, veglia una notte (ma neanche intera) e poi decide di non dire niente a nessuno; il resoconto scritto dell'evento è il luogo deputato al confronto con la propria coscienza e anche un modo di prendere le distanze dall'accaduto. E proprio con Alex (Gabe Nevins) che scrive il titolo del suo racconto si apre il film, Paranoid Park scritto a matita su un foglio bianco di un quaderno destinato a ricevere la confessione del ragazzo e niente altro. Di nuovo Gus Van Sant ci racconta gli adolescenti sfiorandoli con la macchina da presa e rendendoli paradigmatici con i ralenti di cui è disseminato questo film. Uno stile narrativo già incontrato in Elephant, anche se di fatto il modello più vicino sono i ragazzini di Da morire invischiati in un delitto loro malgrado e filmati da una sfavillante Nicole Kidman in carriera.


L'apatia adolescenziale non è né un tema semplice, né tantomeno inedito ed è qui che risiede la grandezza dell'autore che lo tratta riuscendo ad impedire allo spettatore di emettere giudizi anche di fronte alla bravata di un ragazzo che provoca la morte di un uomo e se ne cura fino a un certo punto. Il senso di responsabilità non esiste, come non c'è traccia di pietà o di empatia; ad Alex interessano principalmente due cose nella vita: se stesso e la tavola da skate e interessarsi a sé e avere una passione sono probabilmente già enormi conquiste per lui. Ciò di cui si sente la mancanza è una sana ribellione, ma anche uno scatto di nervi, un urlo, mentre tutto accade senza che in Alex si verifichi alcunché, nessuna reazione, mai. C'è un unico momento di autocoscienza apparente (al di là del racconto scritto) e di dolore ed è un attimo dilatato nel tempo: la doccia del ragazzino al ritorno dal Paranoid Park ripresa da diverse angolazioni, con luci ora accecanti ora flebili. Una doccia traumatica e, va da sé, assai diversa da quella hitchcockiana dello Psycho di Van Sant, di cui però c'è una traccia anche qui, una sorta di eco tecnologica, riflessiva e lisergica.


Il racconto procede per anticipazioni temporali, flashback, sovrapposizioni di tempo. Il quaderno è il perno del film: ci guida con il suo numero di pagine che man mano decresce e il momento in cui il ragazzo ci scrive sopra corrisponde al momento in cui si riordinano le idee e ciò avviene contemporaneamente per noi e per Alex. Lui scrive e per scrivere è obbligato a ricordare e a riflettere sugli eventi di quella notte che per noi sono apparizioni nel buio, un buio magnifico grazie a quel Chris Doyle che collabora praticamente da sempre con Wong Kar-wai. E dal buio la vicenda si fa chiara e ci appare ad un tratto svelando il mistero dell'accaduto. Nessuna enfasi, solo un gioco con chi guarda che vorrebbe sapere che cosa ha fatto davvero Alex da subito e invece deve attendere e arrivarci con calma. 


Le riprese sono in parte in digitale e in parte in super8, una commistione di mezzi che riflette sia la confusione mentale del protagonista che il cross-over di linguaggi che mette in campo il regista. I salti sulle rampe sono girati con il super8 e accompagnati dalle musiche di Rota per lo più e sono i momenti in cui lasciarsi andare completamente alle immagini (e alla musica). La colonna sonora è altrettanto funzionale alla commistione di linguaggi e al tempo stesso bellissima, a volte emozionante (mi viene in mente l'Elliott Smith che commenta il finale), a volte straniante a partire dai titoli di testa. Nino Rota e la sua musica sono stati scelti da Gus Van Sant per fare da contraltare ad alcuni momenti del film, musiche scelte da Giulietta degli spiriti e Amarcord, opere che rimandano ad anni e ambientazioni lontanissimi dalle atmosfere metropolitane in cui si muove il giovane skater protagonista. Abbandonarsi all'incedere della narrazione è una strategia vincente da parte dello spettatore in modo da godere di ogni salita e di ogni silenzio, di quel poco di suspance che il regista mette in campo e del punto di vista del protagonista che vede i propri genitori fuori fuoco o privi della testa, del tutto incapaci di guidarlo o di dargli un suggermento. E quando mancano tutti i punti di riferimento ecco che emerge una ragazzina con il consiglio giusto: scrivi.


Certo lo spessore è, per ammissione stessa dei protagonisti, inesistente; dei grandi temi come la guerra non frega niente a nessuno e quando ci si trova di fronte la foto di un uomo tagliato a metà l'unica reazione è la risata. Perchè di ragazzini si tratta (e dei loro occhi che lo slow motion rende tanto significativi), gli stessi ragazzini che invece si nutrono di velocità, di ritmi forsennati e che un film come questo faticherebbero a vedere. Quegli adolescenti che trovano la soluzione nella scrittura. Sorprendente dal momento che, per quanto sia un momento egoriferito (e quanti ce ne stanno nella vita di un adolescente!), è comunque un atto di presa di coscienza e di confronto. Niente TV verità, né ricette per genitori afflitti dai figli che attraversano questa età così difficile, ma un passaggio leggero di camera che è anche intenso e rispettoso. Un'indubbia conferma del talento di Van Sant.

 
 
 
 
 
 
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Commenti
 

I lettori hanno scritto 10 commenti

 
 
Antinoo
  • indirizzo IP 88.45.225.213
  • data e ora Martedì 22 Gennaio 2008 [17:05]
  • commento la scena della doccia, anche tecnicamente. E una frase della ragazzina dal consiglio giusto, quello di scrivere: "indirizza la lettera a qualcuno di cui ti fidi. Ciò nessun adulto e nessun insegnante.
 
 
 
 
 
Antinoo
  • indirizzo IP 88.45.225.213
  • data e ora Martedì 22 Gennaio 2008 [17:06]
  • commento E questo che dovrebbe far riflettere le tante anime belle che poi si chiedono "com'è possibile" ad ogni evento di cronaca nera che riguardi gli adolescenti. E rilancio con "Skins" nuova serie di Mtv
 
 
 
 
 
Antinoo
  • indirizzo IP 88.45.225.213
  • data e ora Martedì 22 Gennaio 2008 [17:09]
  • commento Realizzata da autori massimo 23enni, che vale più di tanta brodaglia sociologica servita come dibattito generazionale. E, inoltre, Nicholas Hoult, già visto in About a Boy è cresciuto benissimo.
 
 
 
 
 
Antinoo
  • indirizzo IP 88.45.225.213
  • data e ora Martedì 22 Gennaio 2008 [17:10]
  • commento Ed è il Mio nuovo Personal God: se avessi avuto a 17 anni il cervello di adesso, sarebbe il Mio gemello interiore, e IO un mostro.
 
 
 
 
 
Sara Troilo
Sara Troilo
  • indirizzo IP 213.140.11.139
  • data e ora Lunedì 28 Gennaio 2008 [16:44]
  • commento Sì, il menefreghismo fa paura, è davvero orribile perchè evidentemente ingestibile e reso benissimo dal regista che filma senza mai prevaricare.
 
 
 
 
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