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libera critica cinematografica

 
 
 
 
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Voti

Il voto del redattore

  • voto
  • 3.5/5
  • valutazione
  • Un saggio di virtuosismo tecnico e un disturbante rimescolamento emotivo. Forse Buñuel avrebbe apprezzato.
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Il voto dei lettori

  • voto medio
  • 1.6/5
  • numero votanti
  • Questo film è stato votato da 61 lettori
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Info

Stay - Nel Labirinto della Mente

di Marc Forster

 
    Dati
  • Titolo originale: Stay
  • Soggetto: David Benioff
  • Sceneggiatura: David Benioff
  • Genere: Drammatico - Thriller
  • Durata: 99 min.
     
  • Nazionalità: U.S.A.
  • Anno: 2006
  • Produzione: New Regency Pictures, Epsilon Motion Pictures, Regency Enterprises
  • Distribuzione: 20th Century Fox Italia
  • Data di uscita: 00 00 0000
 
 
 
 
 
 
 
 
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Recensione

Forgive Me Forgive Me Forgive Me

di Fabrizio Ferrero

Scelgo a caso Stay essendo per metà certo di avere a che fare con il solito prodottino americano godibile per i novanta minuti della visione, carino, patinato, ma assolutamente privo della speranza di avere un qualsiasi appiglio sulla mia memoria cinematografica. A malapena conosco il soggetto: so solo che ci sono McGregor e Naomi Watts. Le possibilità di reazione si estendono dalla quasi immediata amnesia retrograda dopo l'uscita dalla sala, lungo uno spettro che potrebbe arrivare a comprendere contumelie inconsulte, improperi illegali e distruzione di oggetti inutili tramite lancio.
Il plot narrativo è piuttosto scarno: Sam, uno psichiatra della Columbia University sostituisce una collega in preda ai sintomi del burnout e ne rileva temporaneamente i pazienti. Fra questi c'è Henry, uno studente d'arte che, alla seconda seduta con Sam, annuncia di concedersi ancora tre giorni di vita: si suiciderà a mezzanotte del sabato successivo, giorno del suo compleanno. Lo psichiatra si imbarca quindi in un'impresa impossibile: cercare di impedire che Henry porti a compimento i suoi propositi.
Questo pretesto, sommato a New York e all'inventiva di Marc Forster, già autore di Finding Neverland e Monster's Ball, dà luogo a quello che è forse il film più bizzarro, angosciante e "surrealista" dal punto di vista visivo, di questo inizio 2006.
Chiariamo fin da subito una cosa: non è un film horror, né un thriller nell'accezione classica del termine, non ci sono bambine terribili, né serial killer psicopatici, né persone segregate, né luoghi infestati da presenze malefiche. E c'è poca America, fortunatamente; solo una Manhattan inusuale, lontana dalle romanticherie alleniane, gelida e cruda al di là di ogni incubo nakatiano, lontana dalle solite architetture downtown e/o Upper East Side e/o East Village, illuminata da una luce diurna lattiginosa che sospende oggetti e cose in un limbo indecidibile, per poi lasciare spazio ad un notturno senza glamour, labirintico (finalmente la distribuzione italiana ha azzeccato qualcosa, per caso: legge dei grandi numeri) e piovoso.
L'incipit quasi cita Film Blu: una ruota priva di pneumatico rotola sull'asfalto sprizzando scintille. Partenza: la struttura narrativa, ma più ancora il linguaggio cinematografico diventano elementi che vanno a connotare una dimensione che è quella tipica del sogno, anzi, dell'incubo o della psicosi, materia trattata con vero piglio surrealista: morphing, raccordi arditi o volutamente sbagliati, moltiplicazioni e ripetizioni di microscene, alterazioni spazio-temporali, in un paio di casi sovrapposizione ed intercambiabilità di due personaggi.
Sam, dal suo letto, si trova direttamente in sella ad una bicicletta; il riflesso su un palloncino argentato si trasforma in un dipinto di Goya; l'atrio di un edificio diventa un acquario; uno scorcio con colori da pellicola scaduta ed una fontana in ralenti diventano una cartolina su una scrivania; Sam rivive due, a volte tre volte il medesimo spazio-tempo in rapida successione; una scala a chiocciola "ingoia" una ragazza e diventa infinita. Razionalmente sarei tentato di giudicare questi espedienti come facili trucchetti dell'illusionista che, comunque, sa come usare le forme del cinema; emotivamente la gestalt del film possiede un potere che non avevo previsto di concedere: spinge alla ricerca immediata di un qualsiasi supporto digitale oltreoceano, alla visione ripetuta e compulsiva.
Il sound design possiede un'accuratezza quasi lynchiana: drones continui e rimbombanti, lugubri sirene di rimorchiatori in lontananza, pianti di neonati fuori contesto così come sono fuori contesto alcune battute pronunciate un po' da chiunque, rumori di traffico con mezzi di soccorso "europei", il tutto allontanato e derealizzato diminuendone la definizione auditiva: si ha la sensazione di essere ubriachi e febbricitanti.
La colonna sonora di Asche & Spencer è malinconica, depressa e notturna, coadiuvata da una Angel dei Massive Attack rabbioso-compressa, nel momento in cui Henry, all'interno di un locale di pole dance passa in rassegna alcuni volti grotteschi e poi fantasmatizza sgranatissimi filmini di famiglia su uno schermo inesistente.
Lynch è sempre dietro l'angolo anche se qui manca la sua mâitrise e la sua strabordante ironia nera; Kubrick è tirato in ballo in modo molto più esplicito in una sequenza delirante e figlia di Shining, girata in una grande casa vuota e bianca.
Ewan McGregor, britannicamente vestito di tweed o con pantaloni senape ridicolmente corti, tentando di adeguarsi allo stile di recitazione straniata/angosciata che predomina in Stay, sconfina, trotterellando, fuori parte; Naomi Watts offre una prova nella media delle sue possibilità nella parte di Lila, fidanzata pittrice ed ex-suicida di Sam, comunque anni luce sopra The Ring e sequel. Il vero centro dell'attenzione è Ryan Gosling (Henry), quasi un fuoriuscito dagli Interpol con movenze caveiane/godanesche, depresso, istrionico, riottoso, artistoide ossessionato dal pittore immaginario Tristan Rêveur.
Depressione, morte ed arte sembrano essere i tre vortici intorno a cui le immagini ed i suoni di Stay si accumulano; e le letture sono principalmente due: o si acquisisce come il solito thrillerino ben fatto oppure si abbassano le difese e si lascia vagare il proprio inconscio.
Da vedere i titoli di coda, nella loro malinconica poesia.

 
 
 
 
 
 
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Commenti
 

I lettori hanno scritto 26 commenti

 
 
utente
Fabrizio
  • indirizzo IP 151.37.172.243
  • data e ora Sabato 08 Aprile 2006 [16:23]
  • commento Rabbit, inconscio tutto attaccato. E quindi secondo te il cinema è un'esperienza razionale di appercezione di uno stimolo ottico-cromatico? Uhm, per fortuna che non sei ministro della cultura.
 
 
 
 
 
utente
Fabrizio
  • indirizzo IP 151.37.172.243
  • data e ora Sabato 08 Aprile 2006 [16:29]
  • commento E poi, che cosa è una "recensione" se non pensiero? Tentativo di pensare ciò che si è esperito, pensare l'emozione. Perché vedi, il cinema è un'esperienza emotiva oltre che estetica.
 
 
 
 
 
utente
Bel film
  • indirizzo IP 87.17.201.164
  • data e ora Venerdì 16 Giugno 2006 [1:59]
  • commento A me pare chiaro: il ragazzo in fin di vita, negli attimi in cui riacquista coscienza costruisce una storia fantastica con i volti dei personaggi intorno a lui. E' la sua mente il regista del film
 
 
 
 
 
utente
Fabrizio
  • indirizzo IP 151.41.162.42
  • data e ora Venerdì 16 Giugno 2006 [15:56]
  • commento A parte che non è del tutto vero (riguardati la fine), ti rendi conto di avere spoilerato? Non è un atteggiamento intelligente. Per niente.
 
 
 
 
 
utente
lapardaflora
  • indirizzo IP 213.140.17.98
  • data e ora Lunedì 26 Giugno 2006 [12:03]
  • commento abbassare le difese e lasciarsi andare: per chi conosce malattia psichiatrica e autolesionismo sarà un tuffo nel dolore personale e nella realtà. Al diavolo gli altri! Grande Gosling1
 
 
 
 
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