Il voto del redattore
- voto
- 4/5
- valutazione
- Se avete perso il lavoro, guardatelo con le dovute cautele
Il voto dei lettori
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- 4.3/5
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Cacciatore di teste
di Constantin Costa Gavras
- Dati
- Titolo originale: Le Couperet
- Soggetto: Tratto dal romanzo "The Ax", di Donald Westlake
- Sceneggiatura: Constantin Costa Gavras, Jean-Claude Grumberg
- Genere: Giallo - Sociale
- Durata: 122 min.
- Nazionalità: Belgio, Francia, Spagna
- Anno: 2006
- Produzione: KG Productions, France 2 Cinema, Studiocanal, Les Films du fleuve, RTBF, Scope Invest, Wanda Vision S.A., Canal+, Eurimages, Wallimage
- Distribuzione: Fandango
- Data di uscita: 00 00 0000
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- Sito ufficiale italiano
Una questione di sopravvivenza...
di Roberta Folatti
Distacco ironico, paradosso, umorismo nero rendono godibilissimo il nuovo film di Costa Gavras, ma al fondo del Cacciatore di teste c'è una riflessione molto seria sul mondo di oggi, sulle sue dinamiche spietate, sull'isolamento in cui rinchiude gli individui rendendoli vulnerabili e al tempo stesso pericolosi.
Bruno Davert è un uomo di quarant'anni con un buon posto di lavoro nel ramo della carta, una moglie e due figli che tengono a lui, un tenore di vita soddisfacente. Cambia macchina ogni due anni, ha una bella casa, il lavoro che fa lo realizza.
Ma cosa scatta nella mente di un uomo normale quando subisce un licenziamento (ditta "delocalizzata" in un paese dell'est, un classico ormai) e tutti i suoi tentativi di riproporsi, spedendo curricula e facendo colloqui, si dimostrano completamente vani?
Si può cadere nella più cupa depressione, ci si può adattare a fare lavori più umili o magari buttarsi in qualche opera di volontariato. Bruno Davert non fa nulla di tutto questo. Lui analizza "lucidamente" la situazione e, sfruttando le sue capacità logiche di manager pluripremiato, conclude che l'unico modo per riottenere la posizione perduta è eliminare i suoi diretti concorrenti.
Eliminarli nel modo più drastico. Uno dopo l'altro.
E' fortunato - se così si può dire - perchè il suo è un campo molto specifico e quelli arrivati al suo livello non sono molti. Cinque, al massimo sei. Il ragionamento di Bruno è delirante ma ineccepibile: liberandosi di questi sei, che potrebbero essere più appetibili sul mercato, una ditta in cerca di determinate competenze non potrà che scegliere lui. Gli sceneggiatori, lo stesso Costa Gavras e Jean Claude Grumberg, e prima ancora l'autore del romanzo da cui è tratto il film Donald Westlake, sono bravi a farci entrare, a poco a poco, nella logica del protagonista. Se dapprima il suo ragionamento ci appare abberrante, col passare del tempo finiamo per convincerci che ha ragione lui. La sua è una guerra e in certe particolari condizioni tutto è lecito.
Bruno combatte la sua personalissima guerra economica per mantenere il tenore di vita della sua famiglia. I suoi nemici non sono i padroni, coloro che licenziano senza scrupoli badando solo alla convenienza, ma i suoi colleghi, con cui in altre epoche si sarebbe alleato, avrebbe condiviso rapporti di solidarietà e sostegno reciproco.
Questo è un racconto amorale, spiegano regista e sceneggiatore, spinge all'identificazione per poi suscitare riflessioni, e il film può essere classificato come fanta-sociale, genere parallelo alla fantascienza destinato ad avere molta fortuna in quest'epoca.
La vicenda del protagonista è paradossale, estrema, ma aiuta a raccontare la società odierna, dove la perdita del lavoro equivale a una progressiva spersonalizzazione. Lo psicologo nero a cui si rivolge la moglie di Bruno, vedendolo sempre più strano e distante, dice al manager disoccupato: - Tu non sei il tuo lavoro.
Ed è questo il punto cruciale. Essere chiusi fuori, subire una battuta d'arresto in un percorso professionale in cui si è investito molto, troppo, non significa solo perdere benessere e privilegi, ma perdere se stessi, non riconoscersi più. La reazione di Bruno, per il quale da principio uccidere è come fare zapping in televisione, è frutto dei meccanismi spietati (e malati) dell'economia e di una competitività feroce, che esclude qualsiasi forma di solidarietà. Un'economia che porta grandi benefici a un gruppo sempre più ristretto di persone, che difende il proprio piccolo paradiso con le unghie e coi denti.
Il film ha saputo trovare il giusto equilibrio tra drammaticità e comicità, sfiorando il grottesco, senza peraltro farcisi catturare. Un film da vedere, per rendersi conto degli estremi a cui potrebbe giungere questa nostra debilitatissima società dei consumi e della produttività esasperata. Da un momento all'altro ci si aspetta che Bruno, che lascia indizi ovunque e non si muove certo da professionista del crimine, venga scoperto. Ma il finale scelto è meno scontato, anche se decisamente più inquietante.
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