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libera critica cinematografica

 
 
 
 
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Voti

Il voto del redattore

  • voto
  • 4/5
  • valutazione
  • Come raccontare un problema drammaticamente attuale, e anche un po' tabù, con sapienti punte di leggerezza
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Il voto dei lettori

  • voto medio
  • 4.1/5
  • numero votanti
  • Questo film è stato votato da 8 lettori
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Info

Paradise Now

di Hany Abu-Assad

 
    Dati
  • Titolo originale: Paradise Now
  • Soggetto: Hany Abu-Assad ,Bero Beyer, Pierre Hodgson
  • Sceneggiatura: Hany Abu-Assad ,Bero Beyer, Pierre Hodgson
  • Genere: Drammatico - Sociale
  • Durata: 98'
     
  • Nazionalità: Germania, Olanda, Francia
  • Anno: 2005
  • Produzione: Bero Beyer
  • Distribuzione: Lucky Red
  • Data di uscita: 00 00 0000
 
 
 
 
 
 
 
 
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Recensione

Un mondo a parte

di Roberta Folatti

A Nablus le videoteche noleggiano i filmati-testamento degli attentatori suicidi e addirittura quelli che riprendono le esecuzioni dei collaborazionisti. Basta questo per intuire lo scarto difficilmente colmabile tra la realtà dentro quei confini, chiusi da fili spinati e carriarmati, e la realtà fuori, la nostra, di persone (relativamente) libere e normali. Come si fa a superare questa alterità e mettere a contatto i due mondi?

Hany Abu-Assad, con grande coraggio, prova a raccontare la storia di due ragazzi di Nablus, amici sin dall'infanzia, che si offrono per una missione suicida e scelgono di farlo insieme, come se oltre a se stessi, alla causa palestinese immolassero anche la loro amicizia.

A scanso d'equivoci, Paradise now non è un film che giustifica la violenza, adducendo le condizioni di vita nei territori palestinesi come una ragione valida per uccidere civili israeliani, ma la sua descrizione di due giovani come tanti altri (che fuori da lì avrebbero esistenze non dissimili a quelle dei nostri fratelli, fidanzati, figli) scatena dentro molti interrogativi. Il fatto, innegabile anche per chi si diverte a dipingere a tinte fosche il duello tra bene e male, tra civiltà e barbarie, è che i kamikaze sono esseri umani, con un bagaglio di vita magari più penoso e tragico, ma con le nostre stesse sensazioni e debolezze, con affetti familiari e amicizie come i nostri. E questo, anzichè rendere il film uno scandaloso inno alla violenza, è proprio ciò che fa intravedere la possibilità di un cambiamento, perchè, se non si tratta di mostri nè di fanatici impenetrabili ai dubbi, la speranza che si fermino e prendano una strada diversa si fa molto più concreta.

Illuminanti a questo proposito le parole del produttore e cosceneggiatore Bero Beyer: "Paradise now mostra la tragedia del diventare assassini e assassinati allo stesso tempo. Tratta l'attacco suicida in una maniera che sfata il mito del mostro e il mito del martire, riportandoli alla loro vera dimensione, la dimensione umana. Il semplice fatto che siano esseri umani è di importanza cruciale per comprendere da dove vengono, come possono diventare e come fare affinchè i motivi delle loro scelte vengano meno". Paradise now  non è un documentario e nemmeno un film pesante, la storia che racconta è a tratti avvincente. Abu-Assad non ha tesi precostituite da ribadire, lui stesso spiega che il suo intento era fare un thriller. E infatti la tensione sale nella seconda parte del film, quando i due amici, Said e Khaled, imbottiti di esplosivo, vengono lasciati al confine con Israele. Una zona poco controllata, un varco nella rete, una corsa verso il territorio dell'odiato oppressore. Ma le cose non vanno come previsto e ai due giovani rimane il tempo per ripensare alle proprie scelte, per capire se la vita è un peso così gravoso da trovare senso solo nel sacrificio omicida e nell'annullamento.

La pellicola di Abu-Assad, presente a Berlino e candidata all'Oscar come miglior film straniero, sa trovare i lati umoristici anche in una vicenda come questa, mostrandoci i risvolti assurdi, paradossali dell'imprigionamento di una popolazione in pochi chilometri quadrati di territorio. "La gente a Nablus - ha raccontato Kais Nashef, che interpreta Said - non può uscire dalla città se non passa per asfissianti posti di blocco. E' una cosa così faticosa che la maggior parte ci rinuncia. Rimanere bloccati nello stesso posto per anni rende la vita molto dura. E rende aggressive le persone." Ma lo spazio per ironizzare Abu-Assad se lo concede, come nella scena in cui  a uno dei due protagonisti viene chiesto da quanto tempo non va al cinema e lui risponde che l'ultima volta è stata quando gli hanno dato fuoco. Parlare di temi così drammatici senza un filo di umorismo risulterebbe insopportabilmente gravoso, e Hany Abu-Assad, palestinese cresciuto nei Paesi Bassi, si può permettere stacchi di leggerezza nel raccontare l'odissea del suo popolo e i dilemmi di esistenze al bivio.

 
 
 
 
 
 
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