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libera critica cinematografica

 
 
 
 
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Voti

Il voto del redattore

  • voto
  • 3.5/5
  • valutazione
  • Una donna lascia il marito per tre ore, e rientrata a casa, pronuncia parole affilate come lame: - Sono tornata solo perché pensavo che non mi amassi.
  •  
 
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Il voto dei lettori

  • voto medio
  • 2.9/5
  • numero votanti
  • Questo film è stato votato da 6 lettori
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Info

Gabrielle

di Patrice Chéreau

 
    Dati
  • Titolo originale: Gabrielle
  • Soggetto: Tratto dal romanzo "Il ritorno" di Joseph Conrad
  • Sceneggiatura: Patrice Chéreau e Anne-Louise Trividic
  • Genere: Drammatico - Sentimentale
  • Durata: 90 min.
     
  • Nazionalità: Francia, Italia
  • Anno: 2005
  • Produzione: Azor Films, Arte France Cinema, Studiocanal, Love Strams Productions, Albachiara e altri
  • Distribuzione: Mikado
  • Data di uscita: 00 00 0000
 
 
 
 
 
 
 
 
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Recensione

Il mondo gelido di Jean e Gabrielle

di Roberta Folatti

Se anche il film non lascia del tutto soddisfatti, regala il pretesto per rileggere Joseph Conrad e scoprire un piccolo racconto, una quarantina di pagine, che è un gioiellino di analisi psicologica e messa alla berlina delle convenzioni alto-borghesi. Si tratta de Il ritorno, datato 1897, una scrittura secca, implacabile, che denuda le anime dei due protagonisti: a parlare è soltanto il marito, ma il silenzio di lei, i suoi sguardi, le sue brevi esclamazioni finiscono di tratteggiare le laceranti incomprensioni di una coppia di quei tempi, incapace di dialogo e di una vera intimità.
Il film Gabrielle è liberamente ispirato a questo racconto anche se tenta una sorta di attualizzazione della vicenda, introducendo il sesso e un piccolo tocco di suspense, intorno alla rivelazione del nome del rivale. Ma la differenza più rilevante sta nel dare voce e consistenza alla figura femminile, i pensieri di lei, inespressi o appena accennati nel testo originale, vengono confidati da Gabrielle alla serva prediletta, sua fedele ascoltatrice e al tempo stesso ambiguamente dalla parte del signore.
La storia è semplice, quasi scarnificata. Jean, brillante uomo d'affari, pienamente inserito nella buona società di cui si sente uno dei pilastri, torna a casa un giorno e al posto della moglie Gabrielle, trova una sua lettera.
Poche righe per dire che se ne è andata con un altro.
Il mondo ordinato e solido di Jean, privo di dubbi e puntellato da un rigido ancoraggio alle convenzioni, va in pezzi, l'agognato controllo di sé, emblema dell'appartenenza a una classe superiore, rischia di far posto ai temutissimi sentimenti e allo spettro della passione. Ma il colpo finale alle sue certezze lo dà il ritorno di sua moglie, dopo sole tre ore dal presunto abbandono.
Si apre una crudele e sottilissima guerra di nervi, in cui Gabrielle, col suo ostinato silenzio, sembra punire il marito per averla privata della passione. Nel film l'incalzare delle domande di lui porterà la donna a confessargli ogni dettaglio del tradimento, nel libro non si arriva a questo ma il crescendo di delirante e morbosa curiosità che ha preso Jean, frammisto allo stupore di scoprirsi "esposto", è descritto magnificamente.

"Per un momento egli smise di essere un personaggio sociale con una posizione, una carriera e un nome appiccicato su tutto ciò, come un'etichetta con la formula su una complicata miscela. Egli era un semplice essere umano tolto al delizioso suo mondo di larghi e piazze. Si trovò solo, nudo e spaventato, al pari del primo uomo nel giorno del primo peccato".

Il regista di Gabrielle, Patrice Chéreau, scava con la macchina da presa nei volti dei suoi protagonisti, Isabelle Huppert e Pascal Greggory, tallonandoli da vicino, spiando ogni cambio d'espressione, ogni piega del viso. Anche l'ambiente serve al regista a tratteggiare la freddezza di fondo, la paralisi della volontà e del sentire: l'abitazione grandiosa in cui vive la coppia, i saloni, gli arredi bellissimi ma inutili, le stanze troppo vuote e buie, riflettono l'interiorità dei personaggi, incapaci di vivere davvero. Dove Conrad, con poche argutissime pennellate, descrive l'ipocrisia di quel mondo, Chéreau mostra con immagini significative. I due protagonisti, attorniati di nugoli di cameriere che provvedono persino a vestirli e a svestirli, sono abituati a mettere distanza, non solo tra sé e i propri sentimenti, ma anche tra sé e il proprio corpo, le cui sensazioni sono considerate sconvenienti.
Il solo fatto di ricevere una lettera dalla moglie, situazione insolita e non prevedibile, comunica a Jean un fastidio misto ad agitazione. Pascal Greggory è bravissimo nel rappresentare l'iniziale seccatura dell'uomo per questo fatto imprevisto e poi lo spavento, l'umiliazione, il tormento che si fanno strada attraverso l'ipocrisia di fondo.
Dopo il ritorno di Gabrielle, Jean, superato lo shock, decide che le cose devono tornare come prima, senza che nessuno sappia, e le offre magnanimamente il suo perdono… ma è a questo punto che la vicenda esce definitivamente dai binari della consuetudine e della normalità.
La donna invece di accettare la clemenza del marito, scoppia in una risata straniante, provocatoria, indecifrabile, che nel romanzo di Conrad si amplifica a dismisura. A quel punto l'autocontrollo di Jean è messo al tappeto, ridicolizzato e non gli resterà che la fuga.
Forse per rendere la letterarietà del film, Chéreau si serve di enormi didascalie, che sostituiscono la parola nei momenti clou, oltre a dare i tempi della storia, e creano un effetto visivo dissonante. E poi il rallenti, l'alternanza di bianco e nero e colore e un uso particolare della luce.
Un percorso tra cinema e letteratura che val la pena d'essere fatto, anche se Conrad è inarrivabile.

 
 
 
 
 
 
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