Marcel Marx arriva a Le Havre con la moglie Arletty e abbandona la propria vita precedente, qui incontra un piccolo profugo per il quale deciderà di lottare.
Il voto del redattore
- voto
- 4.5/5
- valutazione
- Poesia, umorismo lieve, malinconia e un grande complotto
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Miracolo a Le Havre
di Aki Kaurismäki
- Dati
- Titolo originale: Le Havre
- Soggetto: Aki Kaurismäki
- Sceneggiatura: Aki Kaurismäki
- Genere: Commedia - Sociale
- Durata: 103 min.
- Nazionalità: Francia, Germania, Finlandia
- Anno: 2011
- Produzione: Pandora Filmproduktion, Pyramide Productions, Sputnik, Yleisradio
- Distribuzione: Bim Distribuzione
- Data di uscita: 25 11 2011
Gli angeli di Kaurismaki
di Roberta Folatti
Quelle facce. Quegli abiti. Quelle rughe. I film di Aki Kaurismaki hanno un impatto visivo unico.
La firma del regista sta prima di tutto nella scelta degli attori che hanno volti totalmente demodé. Ogni epoca, se ci fate caso, ha i suoi canoni, una sorta di uniformità dei tratti, vedendo i film di Kaurismaki non capisci in che anni siano stati girati. Un salto indietro nel tempo di sessant’anni, il ritorno a un periodo in cui l’immagine era secondaria e contava invece la sostanza. Ma non sono solo gli attori coi loro volti poco levigati a testimoniare questa ricerca dell’essenziale; gli oggetti stessi, così radi, solitari e profondamente dignitosi ne “parlano” in continuazione. Gli attrezzi da lustrascarpe, il mazzo di fiori per la malata in ospedale, l’armadio in cui si nasconde il ragazzino in fuga, l’abito giallo avvolto nella carta grezza, tutti svettano con discrezione dentro inquadrature riempite di silenzi significativi.
In Miracolo a Le Havre non c’è nulla che pesi, né i dialoghi scarni né le inquadrature malinconiche, e nemmeno una storia che potrebbe essere drammatica ed è invece leggera, quasi impalpabile. A cominciare dall’apertura del container fermo da giorni nel porto e da cui non esce che un flebile vagito. Il film è una favola o, se vogliamo, la descrizione di un mondo che Kaurismaki spera esista ancora.
Protagonisti una coppia ormai trentennale, un poliziotto dal volto emaciato, un ragazzo africano che esce dagli stereotipi dell’immigrato analfabeta in fuga dalla povertà, un cane di nome Laika. E a fare da controcanto il quartiere di pescatori dove vivono Marcel e Arletty: la panettiera, il fruttivendolo, la proprietaria del bar e i suoi avventori. Tutti si ritrovano uniti in una missione “umanitaria”, quella di far arrivare il giovane clandestino dalla madre a Londra,difendendolo dalle ottuse persecuzioni di una polizia senza cuore. Commissario a parte naturalmente.
In Francia nascondere, ospitare, in poche parole aiutare un clandestino è un reato perseguito con una certa fermezza, ma la tenacia particolare con cui questo ragazzino viene cercato diventa il simbolo di un atteggiamento comune a tanti abitanti dell’Europa. Quel sentirsi invasi, quella paura dell’estraneo anche se è povero e disorientato, quella diffidenza ostinata verso chi ha una provenienza geografica e culturale diversa dalla nostra. Sentimenti che annebbiano il nostro giudizio e ci rendono crudeli, insensibili, come la figura del vicino di casa di Marcel, che spia il protagonista e fa il delatore con la polizia.
Ma nel film di Kaurismaki prevale di gran lunga la solidarietà, la gente del quartiere si allea tacitamente per proteggere il piccolo perseguitato, per loro è una cosa naturale schierarsi con il più debole, specie se si tratta di un bambino. Ed è qui forse che realtà e tensione ideale prendono strade differenti, e si è obbligati a chiedersi cosa sarebbe successo nel nostro mondo immerso nell’indifferenza…
All’interno di questa vicenda più sociale c’è la storia d’amore tra Marcel e Arletty, così poco cinematografica nei suoi toni sommessi, nella sua pudicizia, in quella sua struggente malinconia. Ma Miracolo a Le Havre non è solo poesia, in tutto il film scorre una vena di umorismo che ben si identifica col volto ironico, vissuto, a tratti imperscrutabile del protagonista. Così si ride, ci si commuove, si sorride come in ogni film pienamente riuscito. E si ondeggia al ritmo del rock di Little Bob, al secolo Roberto Piazza, vera star di quella parte della Francia.
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