La storia di Aron Ralston, escursionista che è rimasto bloccato per cinque giorni in un crepaccio. Lì ripensa alla propria vita, a chi ha incontrato poco prima dell'incidente e decide di voler vivere a tutti i costi.
Il voto del redattore
- voto
- 4.5/5
- valutazione
- Un regista che ritrova la verve dei tempi migliori, un protagonista degno di questo nome, una sceneggiatura che non perde colpi. Missione compiuta.





Il voto dei lettori
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- dal 25 01 2008
- genere Drammatico
- tipo Biografico
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- genere Drammatico
- tipo Biografico
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127 ore
di Danny Boyle
- Dati
- Titolo originale: 127 Hours
- Soggetto: Aron Ralston (autobriografia)
- Sceneggiatura: Simon Beaufoy, Danny Boyle
- Genere: Drammatico - Biografico
- Durata: 94 min.
- Nazionalità: USA, UK
- Anno: 2010
- Produzione: Cloud Eight Films, Everest Entertainment, Darlow Smithson Productions, Pathé
- Distribuzione: 20th Century Fox
- Data di uscita: 25 02 2011
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James Franco, mattatore in solitaria
di Francesca Paciulli
Il
trailer è uno spettacolo. Parte con lo sguardo spavaldo di Aron
Ralston (James
Franco)
che parla dritto in telecamera e quasi si prende gioco dello
spettatore. Di lì a poco lo ritroviamo in uno sperduto canyon dello
Utah, in sella alla sua bici da trekking; lungo il percorso, come in
ogni “teen movie” che si rispetti (perché è questo che
inizialmente il trailer suggerisce), incrocia due graziose
escursioniste (Amber
Tamblyn e Kate
Mara)
e, neanche a dirlo, le conquista al primo scambio di battute: gli
basta sorridere e spacciarsi per guida. C’è persino spazio e tempo per
il solito tuffo a perdifiato giù dalla scogliera (The
Beach insegna). Fermi qui. Niente è come sembra. Cambio di registro. Aron
- e questo il trailer lo rivela all’improvviso - è intrappolato in
un crepaccio buio e profondo: il braccio incastrato sotto il peso di
un macigno. “Io
posso fare tutto da solo”,
ringhia a muso duro alla videocamera con cui da ore si riprende.
Anche sopravvivere per più di cinque giorni, in un crepaccio sospeso
sul nulla. Ha poca acqua, scarse risorse di cibo, solo la videocamera
e una manciata di ricordi a tenergli compagnia nelle ore più buie e
desolate della sua giovane vita. Probabilmente le ultime.
Adrenalinico,
di forte impatto emotivo, sorretto da una splendida prova in
solitaria di James Franco (candidato all’Oscar per questa
interpretazione: non ci fosse stato sulla sua strada Colin
Firth e il suo re con balbuzie, la statuetta sarebbe stata tutta sua), 127
Ore rappresenta un po’ il ritorno alle origini per Danny
Boyle.
Scrollatosi finalmente di dosso la leziosità di The Millionaire, il regista inglese ripesca dalla cronaca recente la drammatica disavventura dello scalatore americano Aron Ralston e la riporta sul grande schermo in un film nel quale rispolvera la verve degli anni passati (Trainspotting, 28 giorni) e nel quale, in una riuscita commistione di linguaggi, dosa con sapienza pathos e humour.
Dopo
un inizio vorticoso con musica a palla, masse in delirio, feste da
urlo, maratone affollate, seguiamo un ventiseienne fissato per le
imprese un po’ pazze, Aron Ralston, vagare spensierato per il Blue
John Canyon, nello Utah. In sella alla sua mountain bike sembra
padrone del mondo e del suo destino: ancora non sa di averlo messo
duramente alla prova.
Nessuno sa della sua improvvisa decisione di
concedersi un bel giretto in solitaria tra le gole del Blue John
Canyon: né sua madre – che ha chiamato quando Aron era in doccia
–, né suo padre, con il quale ha qualche conto in sospeso, né la
sua ex, a cui avrà modo di ripensare spesso di lì a qualche ora, né
gli amici. Così dopo essere precipitato in uno stretto crepaccio,
viene travolto da un masso che gli schiaccia il braccio destro. Per
127 ore, Aron può fare affidamento solo sulle proprie forze,
conducendo un viaggio all’interno di se stesso che lo porterà alla
sola scelta possibile. E per fortuna che nello zaino non ha
dimenticato di infilare un coltellino svizzero. Inserito insieme al
favorito Il
discorso del re e al pugilistico The
Fighter nella rosa dei migliori film candidati agli Oscar, 127
Ore offre all’ex co-protagonista di Spiderman uno dei ruoli più coinvolgenti di una carriera in ascesa: gli basta
un solo sguardo, capace di passare dalla spavalderia alla sofferenza,
per agganciare lo spettatore. E non lasciarlo più.
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