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libera critica cinematografica

 
 
 
 
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Voti

Il voto del redattore

  • voto
  • 3.5/5
  • valutazione
  • In principio era il verbo e poi vennero un po' di corna. O era il contrario.
  •  
 
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Il voto dei lettori

  • voto medio
  • 4.1/5
  • numero votanti
  • Questo film è stato votato da 3 lettori
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Info

I giochi dei grandi

di John Curran

 
    Dati
  • Titolo originale: We Don't Live Here Anymore
  • Soggetto: Andre Dubus (racconti)
  • Sceneggiatura: Larry Gross
  • Genere: Drammatico - Psicologico
  • Durata: 101'
     
  • Nazionalità: USA
  • Anno: 2004
  • Produzione: Front Street Productions, Renaissance Films
  • Distribuzione: BIM
  • Data di uscita: 00 00 0000
 
 
 
 
 
 
 
 
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Recensione

Desperate Housewives giocano

di Sara Troilo

Nei dintorni di un campus universitario abitano i due amici Jack (Mark Ruffalo) e Hank (Peter Krause), entrambi professori. Terry (Laura Dern) e Edith (Naomi Watts) sono le rispettive mogli dei due uomini, molto amiche l'una dell'altra ed entrambe casalinghe con villetta e figli da accudire. La casa di Jack e Terry e' scura, sempre in disordine e piuttosto sporca, i loro figli sono rumorosi; la casa di Edith e Hank e' bianca, pulita e ordinatissima, la loro figlia assai silenziosa. Due ambienti a netta e opposta connotazione ma quasi indistinguibili a causa della patina di cinismo che li avvolge e quattro personaggi che declinano questo cinismo in modo differente.

Da questo punto di partenza cosa aspettarsi, messe da parte le varianti "vicino di casa terrorista, assassino, pusher insospettabile", se non l'adulterio (e proprio Adultery si intitola uno dei due racconti di Andre Dubus che hanno ispirato il film)? Infatti Edith e Jack hanno una relazione consolidata e Terry ed Hank ne iniziano una piu' o meno a meta' film. Facce tese e sguardi sfuggenti sottolineano la pesantezza del clima, ripicche e incomprensioni sono i meccanismi con i quali interagiscono le due coppie, molto spesso la regia sfiora la didascalia nella volonta' di rimarcare un concetto che nella sceneggiatura (premiata al Sundance Film Festival) si lascia soltanto intuire, come accade nella scena in cui Jack sta decidendo se lasciare la famiglia o meno: stacchi continui su Jack e sui suoi figli che giocano su una roccia a strapiombo sul fiume, la tensione sale, aleggia l'ineluttabile, la mossa di Jack da' la misura esatta della scelta fatta. L'indagine delle motivazioni individuali viene lasciata da parte, soltanto gli avvenimenti (a dire il vero molto pochi) hanno importanza. Il regista John Curran tenta di non giudicare i personaggi e di non appesantire la narrazione con il risultato di metterci di fronte a un evento a tratti parossistico, ma mai bidimensionale. Il ritmo e l'incastro dei quattro fedifraghi sono perfetti, cosi' come la recitazione degli attori, tutti pienamente in parte.

Il fatto e' che il filone di coppie adulte annoiate e senza speranza e' stato abbondantemente rappresentato al cinema e non ci sarebbe stata male un'affermazione morettiana riadattata per l'occasione: "voi siete imbruttiti… io sono una splendida trentenne!", eppure le risatine catartiche in sala mi hanno regalato un'altra prospettiva. Evidentemente Curran e' riuscito a dare una toccatina veloce a qualche nervo scoperto perche' quelle erano le tipiche risate che manifestano un disagio. Di certo il merito va alla sceneggiatura che non fa mai calare l'attenzione e che fa ruotare attorno a un perno mai svelato i quattro adulti che giocano, ma c'e' qualcosa che va oltre, c'e' il superamento del cinismo per una via abbastanza sottile.

Si e' detto della caratterizzazione opposta delle due famiglie al centro della narrazione, plateale, scoperta e caricata, tuttavia questa dicotomia e' superata dalla profonda diversita' dei quattro personaggi che si intrecciano partorendo un tao in cui il nero e il bianco si mescolano. Il terzo gradino di questo percorso e' la nuova separazione dei due nuclei familiari in nome di una sola caratteristica fondante, nella famiglia di Terry e Jack si comunica, in quella di Edith ed Hank regna il silenzio. Del resto, se uno sceneggiatore premiato non crede nel potere salvifico della parola, chi potrebbe mai farlo?

 
 
 
 
 
 
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Commenti
 

I lettori hanno scritto 1 commento

 
 
utente
Tino
  • commento Sono perfettamente d'accordo: tema già stra-rappresentato ma Curran è bravo e il film non stanca. Certo, niente a che vedere con film di ben altra levatura. Direi un 3 ma anche il 3,5 ci può stare.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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